Condizioni per l’esenzione del conduttore dalla responsabilità a seguito di incendio dell’immobile locato

29 Novembre 2023

Nell’ipotesi di incendio della cosa locata, l'art. 1588 c.c. pone, a carico del conduttore, una presunzione di colpa, nel senso che quest’ultimo risponde della perdita o deterioramento del bene, qualora non provi che il fatto si sia verificato per “causa a lui non imputabile”; tale presunzione è, però, superabile qualora lo stesso conduttore dimostri, in concreto, di avere adempiuto diligentemente i propri obblighi di custodia e con la prova positiva che il fatto, da cui sia derivato il danno o il perimento della cosa, è addebitabile ad una causa a lui esterna e non riconducibile in alcun modo alla sua persona, oppure al fatto di un terzo qualora l'uso della cosa locata da parte del medesimo terzo non sia stato consentito e, anzi, addirittura vietato. 

Massima

Nell'ipotesi di incendio della cosa locata, cagionato da fatto del terzo, il conduttore, per andare esente dalla responsabilità ai sensi dell'art. 1588 c.c., ha l'onere di provare di non aver ammesso il terzo, anche temporaneamente, all'uso o al godimento del bene locato, oppure di aver posto in essere tutte le misure idonee a prevenire il fatto medesimo.

Il caso

La causa - sottoposta di recente all'esame del Supremo Collegio - originava da un'azione in via surrogatoria promossa da una Compagnia assicuratrice nei diritti della propria assicurata, la quale conduceva in locazione due unità immobiliari, adibite a macelleria, nelle quali si era sviluppato un incendio di vaste proporzioni, che si era esteso a tutto l‘edificio del locatore; a quest'ultimo era stato corrisposto l'indennizzo assicurativo in base ad una polizza che copriva il rischio di incendio entro i limiti del massimale e, a tal fine, l'attrice adduceva che la conduttrice fosse da considerare, ex art. 1588 c.c., responsabile dei danni provocati dall'incendio appiccato dal suo coniuge, con il quale gestiva l'attività di macelleria nell'immobile locato.

La conduttrice, costituitasi in giudizio, eccepiva che l'incendio era stato doloso e non imputabile a lei ma al coniuge, e domandava, in subordine, la compensazione con l'indennizzo cui aveva diritto nei confronti dell'attrice per la polizza di assicurazione del rischio locativo.

Il Tribunale adìto rigettava la domanda, ritenendo accertata la natura dolosa dell'incendio: in particolare, individuava nel marito della conduttrice l'autore dello stesso incendio, escludendo la responsabilità della convenuta, da un lato, perché non era stata contestata la sua estraneità all'iniziativa incendiaria, e, dall'altro, perché considerava che, sulla base del principio dell'id quod plerumque accidit, tra i normali eventi conseguenti all'immissione di un terzo familiare nel godimento della cosa locata non rientrasse l'eventualità che tale terzo decidesse di incendiare l'immobile.

La Compagnia assicuratrice impugnava detta decisione, insistendo per vedere riconosciuta la responsabilità della conduttrice ai sensi dell'art. 1588 c.c., mentre l'appellata chiedeva il rigetto del gravame, deducendo l'esclusiva responsabilità del marito nella causazione dell'incendio.

La Corte d'Appello riformava la decisione di prime cure e condannava la conduttrice a corrispondere all'appellante l'importo di euro 736.896,89, oltre alle spese di lite.

La conduttrice presentava ricorso per cassazione.

La questione

Posto che non si era mai specificamente contestata l'estraneità della conduttrice, essendo stato il marito ad incendiare l'immobile - circostanza, peraltro, accertata in modo incontrovertibile nel processo penale che aveva individuato nel coniuge l'unico responsabile dell'incendio doloso - si trattava di verificare se, nel caso concreto, fosse stato applicato correttamente, nei confronti della stessa conduttrice, il disposto dell'art. 1588 c.c., non essendo stato dimostrato che il marito avesse posto in essere il comportamento causativo del danno con la sua consapevolezza o con la sua compartecipazione.

Ad avviso della ricorrente, il conduttore risponde del fatto del terzo, solo se quest'ultimo utilizza l'immobile in linea con le indicazioni ricevute dal conduttore e non risponde, invece, per responsabilità oggettiva, e di qui la conseguenza dell'erroneo richiamo delle nozioni “di sfera di vigilanza e di controllo” da parte del conduttore o di “potestà regolatrice delle modalità d'uso e godimento da parte di terzi della cosa locata”, potendo il conduttore dimostrare in concreto che il danno si è verificato per causa a lui non imputabile; nel caso di specie, essendosi l'incendio sviluppato per un comportamento doloso del terzo, imprevedibile ed inaspettato, la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere ogni sua responsabilità.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tali doglianze infondate.

Invero, la giurisprudenza ritiene che la responsabilità di cui all'art. 1588 c.c. introduca, a carico del conduttore, una presunzione semplice di responsabilità.

A favore di tale opzione qualificatoria, si è soliti addurre il mutamento terminologico che la previsione codicistica ha subìto nel passaggio dal codice civile del 1865 a quello attuale: l'originaria formulazione usava l'espressione di “danno incolpevole”, mentre quella di “danno non imputabile” utilizzata dall'art. 1588 c.c. rende la disposizione più prossima a quella presente nell'art. 1218 c.c., sicché, a carico del conduttore, sorge una presunzione semplice di responsabilità, che egli può vincere dimostrando che gli eventi dannosi sono derivati da una causa non imputabile.

Pur non essendo stato tipizzato, il contenuto della prova liberatoria, posto a carico del conduttore dall'art. 1588 c.c., è lo stesso dell'inadempiente di cui all'art. 1218 c.c.: la norma - la quale sostanzialmente riproduce la suddetta disposizione generale (Cass. civ., sez. III, 5 aprile 1995, n. 3999) - importa che il conduttore, per vincere tale presunzione, deve dare la prova, piena e completa, non solo del dato obiettivo della perdita (o del deterioramento), ma altresì dell'assenza di colpa (Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1991, n. 12346 e Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1996, n. 7604), e cioè, che non vi sia nesso causale tra l'obbligo di custodia (e la correlativa propria condotta, commissiva o omissiva), e la perdita (o il deterioramento), e che, dunque, tali eventi si siano verificati per caso fortuito, forza maggiore o factum principis, mentre, a norma del comma 2 dello stesso art. 1588, non è sufficiente a vincere la presunzione de qua la colpa di terzi cui il conduttore, anche temporaneamente, abbia affidato l'uso o il godimento della cosa e, dunque, anche la sua custodia (v., in termini, Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n.10126; cui adde, non citata in motivazione, Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2018, n. 22823, in tema di alluvione).

Non basta - secondo gli ermellini - che il conduttore dimostri di avere diligentemente custodito il bene e/o di avere scrupolosamente osservato tutti gli obblighi nascenti dal contratto (v. anche le risalenti Cass. civ., sez. III, 18 agosto 1962, n. 2599; Cass. civ., sez. III, 17 giugno 1968, n. 1981; Cass. civ., sez. III, 21 giugno 1971, n. 1939), atteso che egli è onerato della prova che gli accadimenti dannosi sono derivati da causa “estranea ai suoi doveri di condotta”, imprevedibile da parte di un debitore di media diligenza o, se pur prevedibile, inevitabile, nonostante l‘adozione delle misure suggerite dalla comune prudenza allo scopo di evitare il danno (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1959, n. 1610).

Anche il fatto del terzo integri gli estremi della “causa non imputabile”, ma - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - soltanto a certe condizioni, nel senso che deve trattarsi di un soggetto che venga in relazione con la cosa locata senza il consenso, tacito o esplicito, del conduttore; in buona sostanza, il terzo non deve rientrare nel novero delle persone che il conduttore abbia ammesso anche temporaneamente all'uso o al godimento della cosa, perché, altrimenti, il conduttore è responsabile; sono tali quelle persone la cui partecipazione al godimento della cosa locata rientra nell'esplicazione del diritto di cui il conduttore è titolare, con la conseguente responsabilità (ad esempio, conviventi del conduttore, domestici, ospiti, dipendenti).

Peraltro, il fatto che il conduttore sia chiamato a rispondere del fatto di detti terzi però non introduce - come asseriva la ricorrente - una “responsabilità oggettiva” a suo carico, ma costituisce un'estensione dell'obbligo, ex art. 1587 c.c., di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa locata per l'uso determinato dal contratto o per l'uso che altrimenti può presumersi dalle circostanze, nel senso che il conduttore è tenuto ad usare la stessa diligenza affinchè le persone che ha ammesso, anche temporaneamente, all'uso o al godimento della cosa non violino detto obbligo contrattuale (v. la datata, ma sempre attuale, Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1955, n. 2104).

In altri termini, il conduttore risponde della condotta di tali soggetti, perché ha effettuato delle scelte in ordine alle modalità d'uso della cosa locata, svolgendosi l'attività del terzo entro la sfera di vigilanza del conduttore, senza che al terzo venga attribuito un autonomo potere nell'uso della res.

In proposito, il Supremo Collegio (Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1990, n. 9757) aveva, da tempo, affermato che, in tema di responsabilità del conduttore per perdita e deterioramento della cosa locata verificatisi nel tempo in cui ha ammesso il terzo al godimento della cosa, l'art. 1588 c.c. va interpretato nel senso il conduttore non è più responsabile quando detti eventi si configurano rispetto al terzo - tenuto ad osservare nel suo godimento lo stesso grado di diligenza del conduttore - come non dipendenti da causa a lui imputabile.

In base ai richiamati principi, il fatto che la conduttrice non sia stata ritenuta responsabile dell'incendio in sede penale potrebbe assumere rilievo ai fini dell'esclusione della responsabilità di cui all'art. 1588 c.c. (Cass. civ., sez. III, 14 giugno 1994, n. 5775; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2001, n. 4799; Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2550); tuttavia, proprio in sede penale, si era accertato che l'incendio era stato cagionato dal marito, del cui comportamento la conduttrice è chiamata a rispondere per avere scelto di esercitare con lo stesso o per suo tramite l'attività di macelleria nell'immobile ottenuto in locazione; la sentenza penale nulla dice, infatti, quanto alla non addebitabilità alla conduttrice della condotta del terzo riconosciuto autore dell'incendio, in quanto sulla stessa conduttrice incombeva l'obbligo di vigilare e di mantenere il controllo della cosa locata e, in caso di danni (da incendio) riportati dalla cosa locata, era onerata di offrire la prova di aver esercitato con la diligenza necessaria la prestazione accessoria di custodia del bene locato, dovuta a norma degli artt. 1588 e 1177 c.c. (il quale ultimo prevede, in generale, che l'obbligo di consegnare una cosa prevede quello di custodirla fino alla consegna).

Orbene, nel caso di specie, il giudice a quo aveva accertato che la conduttrice aveva ammesso il marito all'incondizionato godimento della cosa locata, in quanto gestore del negozio di macelleria, e che non aveva allegato elementi di fatto utili a negare che l'uso dell'immobile da parte del marito fosse avvenuto contro la sua volontà, né aveva fornito elementi idonei a ritenere che essa non poteva prevedere o impedire il fatto: si tratta di circostanze correttamente intese come tali da non poter escludere, sulla scorta dello standard delle misure custodiali adottabili, che vi fosse stato un comportamento, quanto meno colposo, da parte del conduttrice che si fosse tradotto in una anche involontaria cooperazione nella produzione dell'evento, in violazione dell'obbligazione accessoria della custodia.

Alla prova di aver adempiuto gli obblighi di custodia a suo carico, si aggiunge - ad avviso dei giudici di legittimità - ai fini di andare esente da responsabilità, la dimostrazione che il fatto da cui è scaturito il danno o il perimento della cosa in custodia sia dipeso da circostanza non imputabile al conduttore, conformemente alla regola generale contenuta nell'art. 1218 c.c. (argomentando anche da Cass.  civ., sez. III, 27 luglio 2015, n. 15721).

Pertanto, una volta accertato che niente aveva dimostrato la conduttrice onde escludere la sua mancanza di diligenza e/o per addebitare i danni cagionati dall'incendio ad una causa non imputabile - non avendo dato la dimostrazione positiva che l'incendio era estraneo non solo alla sua volontà, ma anche alla sua sfera di controllo, il giudice distrettuale era giunto alla giusta conclusione che non potesse andare esente da responsabilità, anche in ragione del fatto che la condanna esclusiva del in sede penale non equivaleva ad un giudicato di assoluzione del coniuge per i danni ex art. 1588 c.c.; anzi, proprio l'accertamento che l'incendio era stato dolosamente appiccato dal marito era valso ad escludere la ricorrenza di una causa non imputabile che operasse a favore della conduttrice, essendole interamente ascrivibili le conseguenze della scelta di avere consentito al marito il pieno ed incondizionato godimento della res (d'altronde, la “posizione del terzo ammesso”, per qualsiasi titolo, al godimento della cosa è equiparabile a quella del conduttore e il “fatto non imputabile” deve essere pertanto considerato da questa prospettiva, così Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2019, n.25779).

Ne consegue la responsabilità del conduttore per la perdita o deterioramento della cosa locata per fatto del terzo, ai sensi dell'art. 1588, comma 2, c.c., permane ove il danno si sia verificato nel tempo in cui egli ha consentito al terzo il godimento o l'uso della cosa, purché si tratti di fatti ricollegabili a scelte del conduttore nelle modalità d'uso e nella vigilanza della cosa locata, e non quando l'uso della cosa locata da parte del terzo non sia stato consentito o, addirittura, vietato (v., più di recente, Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2015, n. 12706; Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2018, n. 2347).

Osservazioni

In effetti, la ricorrente era partita dal presupposto, errato, che l'accertamento della esclusiva responsabilità del coniuge nel processo penale implicasse l'acquisizione di una prova piena e completa della sua estraneità ai fatti, ma, al contrario, il processo penale ha acclarato che l'incendio è stato provocato dal comportamento di un soggetto, sì terzo rispetto al contratto, ma del cui operato la ricorrente era tenuta a rispondere, salvo che avesse dimostrato - prova, però, non sussistente nel caso di specie - che il marito avesse usato il bene contro la sua volontà o nonostante il suo divieto o che avesse posto in essere tutte le misure atte a prevenire il fatto poi verificatosi.

La sentenza in commento offre lo spunto per qualche breve osservazione in ordine alla corretta perimetrazione della responsabilità, in capo al conduttore, in caso di perdita (non ovviamente nel senso di smarrimento, ma di sostanziale distruzione) o di deterioramento (nel senso di grave alterazione nei suoi elementi principali ed essenziali) della cosa locata, allorquando l'inadempimento dello stesso conduttore sia avvenuto nelle more del rapporto locatizio, esulando, ad ogni buon conto, quel deterioramento, anch'esso fonte di responsabilità risarcitoria del conduttore, accertato al momento della riconsegna dell'immobile (disciplinato dal successivo art. 1590 c.c.). 

Nello specifico, l'art. 1588 c.c. stabilisce, al comma 1, che “il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa che avvengono nel corso della locazione, anche se derivanti da incendio, qualora non provi che siano accaduti per causa a lui non imputabile”.

Tale responsabilità risarcitoria va correlata alla violazione dell'obbligazione essenziale dello stesso conduttore di cui al precedente art. 1587, n. 1), c.c., consistente nell'osservanza della diligenza del buon padre di famigliaex art. 1176 c.c. nel servirsi della cosa locata per l'uso determinato dal contratto (o per l'uso che può altrimenti presumersi secondo le circostanze).

Il comma 2 aggiunge che l'inquilino “è pure responsabile della perdita e del deterioramento cagionati da persone che egli ha ammesse, anche temporaneamente, all'uso o al godimento della cosa” locata: qui l'ascrivibilità del fatto del terzo si giustifica perché trattasi di eventi che attengono, comunque, ad una scelta del medesimo conduttore, presumendosi che la condotta del terzo rientri nella sua sfera di vigilanza,

Il codice previgente faceva riferimento solo ai familiari e ai subconduttori, mentre l'attuale versione si rivela più generale; ad ogni buon conto, non dovrebbero ritenersi terzi, dell'operato dei quali il conduttore debba rispondere, coloro che sono ammessi nel godimento per obbligo del loro ufficio o che sono entrati nell'immobile di loro iniziativa, come gli agenti di polizia, i fattorini delle poste, gli ispettori delle aziende erogatrici del gas, acqua, energia elettrica, ecc.

Ora, in forza dell'art. 1588 c.c., il conduttore risponde qualora non provi che il fatto si sia verificato per causa a lui non imputabile, ponendo così una presunzione di colpa a carico del conduttore, superabile soltanto con la dimostrazione che la causa dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non sia a lui imputabile, onde, in difetto di tale prova, la causa sconosciuta o anche dubbia della perdita o del deterioramento della cosa locata rimane a suo carico (Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2006, n. 17429; Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15818, chiarendo che la destinazione dell'immobile ad uso di deposito di materiali infiammabili può accentuare l'obbligazione di diligenza del buon padre di famiglia, posta a carico del conduttore dall'art. 1587 c.c., ma non vale ad esonerarlo dalla responsabilità scaturente dall'art. 1588 c.c. o ad attenuarla; v., altresì, Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2006, n. 11005, la quale ha affermato che la prova di aver adempiuto diligentemente l'obbligo di custodia non è necessariamente assorbita dall'evento naturale, stante l'eventuale possibilità che il danno conseguente sia, comunque, prevenuto o impedito dalla diligente condotta dell'obbligato).

Ne discende che, a tal fine, non è sufficiente che il conduttore non sia stato ritenuto responsabile in sede penale, perché la sua assoluzione non comporta, di per sé, l'identificazione della causa, ma occorre che questa sia nota e possa ritenersi non addebitabile al conduttore medesimo (Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2250; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2002, n. 16762).

Al riguardo, si è, altresì, precisato che la totale distruzione dell'immobile locato a seguito di incendio comporta l'estinzione della locazione, per la permanente impossibilità per il conduttore di godere del bene, con la conseguente cessazione della sua obbligazione per il corrispettivo, riguardo al periodo successivo alla perdita dell'immobile, sino alla scadenza del rapporto originariamente stabilita; ove, però, il conduttore non superi la presunzione di colpa sancita a suo carico dall'art. 1588 c.c. e la risoluzione del contratto derivi da fatto allo stesso addebitabile a titolo di inadempimento, al locatore spetta il risarcimento del danno, che deve comprendere, per un verso, il danno emergente, derivante dal deterioramento della cosa locata (inclusi i danni derivanti alle parti comuni dell'edificio in cui l'immobile è posto), e, per altro verso, il lucro cessante, commisurato ai canoni dovuti in base al contratto e fino al suo spirare convenzionale, come mancato guadagno correlato all'evento risolutivo dal locatore non voluto (Cass.  civ., sez. III, 17 maggio 2010, n. 11972).

Peraltro, anche se l'art. 1588 c.c. pone a carico del conduttore l'obbligazione di tenere indenne il locatore della perdita e del deterioramento della cosa locata, la corrispondente responsabilità, se derivante da incendio, non è esclusa o limitata qualora la cosa sia stata assicurata, a norma del successivo art. 1589 c.c., poiché l'assicurazione incide solo sulla posizione soggettiva del locatore indennizzato, nel senso che questi, una volta ricevuto il pagamento dell'indennizzo, può pretendere dal conduttore la differenza tra l'indennizzo corrisposto dall'assicuratore e il danno effettivo sofferto (Cass.  civ., sez. III, 21 ottobre 2005, n. 20357).

In argomento, si è puntualizzato (Cass.  civ., sez. III, 3 ottobre 2007, n. 20751) che, in tema di assicurazione contro i danni alla cosa, il principio secondo cui, in linea generale, va escluso che il conduttore possa avere interesse all'assicurazione del rischio del perimento o deterioramento della res intesa come cespite patrimoniale, trova un limite qualora il rischio della perdita della cosa - nella specie, a causa di incendio - sia pattiziamente posto a carico del conduttore medesimo e sia, quindi, legittimamente trasferito dal proprietario-locatore all'utilizzatore-conduttore, sicché l'assicurazione di questo rischio comporta l'insorgere, in capo a quest'ultimo, di un interesse giuridicamente qualificato all'assicurazione per la perdita del bene, inteso come cespite e non come fonte di reddito, e la conseguente legittimazione a chiedere l'indennizzo.

Riferimenti

Chiesi, Commento all’art. 1588 c.c., in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 131;

Falabella, Incendio della di cosa assicurata, in IUS Condominio e locazione.it, 10 giugno 2019;

Gallo, Obbligazioni del conduttore e deterioramento della cosa locata, in Contratti, 2009, 285;

Pontanari, Incendio della cosa locata e risarcimento danni, in Immob. & proprietà, 2008, 36;

De Tilla, La responsabilità per incendio della cosa locata, in Arch. loc. e cond., 2002, 304;

Pizzotti, La responsabilità del conduttore-assicurato e la responsabilità del coassicuratore delegatario in caso di incendio della cosa locata, in Resp. civ., 2001, 1216;

Carrato, Principi giurisprudenziali sparsi in tema di responsabilità per incendio dell'immobile locato, in Rass. loc. e cond., 1998, 13;

Nicoli, Responsabilità da custodia per danni da propagazione di incendio e contratto di locazione, in Giust. civ., 1998, I, 846.

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