Danno da perdita del rapporto parentale nell'ipotesi in cui il coniuge superstite risulti economicamente più abbiente del coniuge deceduto

Laura Pastorelli
15 Dicembre 2023

La Cassazione si domanda se, ove il coniuge superstite risulti economicamente più abbiente di quello deceduto, sia possibile escludere la configurabilità di un danno da lucro cessante da perdita prematura del congiunto?  

Massima

Il danno da lucro cessante, il cui risarcimento compete ai prossimi congiunti di un soggetto deceduto per fatto illecito di un terzo allorquando esso si prospetti, sulla scorta di parametri di regolarità causale alla stregua di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto, come effettivamente probabile, deve ravvisarsi sussistente in caso di morte del coniuge ex art. 143 c.c., tenuto all'assistenza morale e materiale dell'altro coniuge e alla collaborazione nell'interesse della famiglia, nonché alla contribuzione ai bisogni della famiglia in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo.”

Il caso

Tizio decedeva a seguito di un sinistro stradale intercorso con il veicolo condotto da Caio. La coniuge di Tizio instaurava un giudizio contro Caio, nonché contro la Compagnia assicuratrice di quest’ultimo, al fine di far accertare le responsabilità del conducente e, per l’effetto, ottenere una condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni derivanti dal decesso del proprio coniuge. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attorea e, dopo aver dichiarato Caio responsabile del sinistro per il 75%, condannava lo stesso al pagamento, in solido con la Compagnia assicuratrice, dei danni non patrimoniali patiti dall’attrice, rigettando la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali. In parziale riforma della predetta sentenza, impugnata dalla coniuge di Tizio, la Corte d’Appello disponeva che le somme liquidate in favore degli attori fossero incrementate degli interessi legali, confermando la sentenza per il resto. In ragione dell'accoglimento soltanto parziale, la coniuge di Tizio ricorreva avverso la pronuncia della Corte territoriale, cui la Compagnia assicuratrice resisteva con controricorso.  

La questione

Qualora il coniuge superstite risulti economicamente più abbiente del coniuge deceduto, è possibile, per ciò solo, escludere la configurabilità di un danno da lucro cessante da perdita prematura del congiunto?  

Le soluzioni giuridiche

Nel caso in esame, i giudici di legittimità si occupano della questione concernente la risarcibilità dei pregiudizi subiti per decesso del coniuge in conseguenza dell'altrui fatto illecito, occupandosi, in particolare, della risarcibilità del danno patrimoniale futuro in favore del coniuge superstite.

Dopo aver rammentato come il risarcimento dei pregiudizi patrimoniali sia subordinato all'accertamento circa la perdita di utilità economiche di cui già si beneficiava e di cui si sarebbe presumibilmente continuato a fruire in futuro (Cass. civ. 20 marzo 2017, n. 7054), la Corte evidenzia come la valutazione inerente alla configurabilità del danno da lucro cessante non possa in alcun modo essere condizionata dalla maggior abbienza del coniuge sopravvissuto. Invero, a parere della Corte, quest'ultima circostanza non può di per sé condurre ad escludere la sussistenza di un sistematico contributo del defunto a favore della coniuge superstite. Siffatta affermazione contrasterebbe, invero, con quanto esplicitato nell'art.143 c.c., relativo ai reciproci diritti e doveri dei coniugi: nel delineare un obbligo contributivo ex lege ai bisogni della famiglia in capo ad entrambi i consorti, la disposizione costituisce il fondamento normativo di tale pretesa pecuniaria, rappresentata dalla presumibile perdita economica di risorse che il coniuge deceduto avrebbe destinato al superstite (la moglie, nel caso che ci occupa). Ed è proprio in virtù dell'art. 143 c.c. che quest'ultimo figura tra i soggetti legittimati all'esperimento dell'azione risarcitoria, a maggior ragione se si considera che tale danno è oramai riconosciuto con riferimento alle ipotesi più disparate.

Giova, invero, evidenziare come la giurisprudenza riconosca al coniuge superstite la possibilità di agire in giudizio per ottenere altresì il risarcimento di quelle utilità economiche poste al di fuori dell'ambito di doverosità giuridica delineata dall'art. 143 c.c. Si tratterebbe, nello specifico, di utilità aventi origine consuetudinaria, risarcibili qualora emerga, nel contesto familiare, la ricorrenza di pratiche di vita improntate a regole etico- sociali, tali da rendere presumibile la sussistenza di un continuativo apporto patrimoniale (Cass. civ. 25 marzo 2002, n. 4205; Cass. civ. 25 agosto 2006, n. 18490).

La giurisprudenza (richiamata dalla pronuncia in esame, onde pervenire alle proprie conclusioni) ha, inoltre, ritenuto potenzialmente configurabile un danno da lucro cessante anche qualora la vittima primaria sia rappresentata da figlio minore, laddove quest'ultimo, con ragionevole probabilità, avrebbe contribuito ai bisogni della famiglia una volta raggiunta l'indipendenza economica (Cass. civ. 28 agosto 2007, n, 18177); da moglie casalinga, atteso che il lavoro domestico viene pacificamente considerato prestazione suscettibile di valutazione economica (Cass. civ. 3 novembre 1995, n. 11453; ma anche Cass. civ. 2 febbraio 2007, n.2318); infine, da soggetto disoccupato (Cass. civ. 25 febbraio 2020, n. 5099).

Ciò posto, nel caso di specie, i richiamati principi di diritto sono rimasti disattesi dalla Corte d'Appello, nonostante la prova presuntiva circa la sussistenza del danno da lucro cessante non fosse stata superata da elementi di segno contrario. Invero, i giudici di merito pervenivano alla conclusione secondo cui non poteva riscontrarsi alcun danno patrimoniale futuro in capo alla consorte, per il solo fatto della maggior abbienza. Ciò in quanto la maggior forza economica della predetta avrebbe consentito, di per sé, di “escludere la sussistenza di un sistematico contributo del marito a favore della coniuge, così come dopo il decesso, alla luce delle risultanze reddituali, non è emerso alcun decremento della situazione reddituale della predetta, anzi”.

La pronuncia si poneva, pertanto, in contrasto con il summenzionato dovere contributivo ex art. 143 c.c. e risultava ingiustificata nella parte in cui non aveva considerato la perdita del reddito prodotto dalla società appartenente ai coniugi. Si trattava, invero, di una società gestita esclusivamente dal marito che, per tre dei cinque anni successivi al suo decesso, aveva chiuso gli esercizi in perdita, determinando, per la consorte in vita, un rilevante decremento reddituale, in alcun modo valorizzato dai giudici di merito nella propria decisione.

Osservazioni

Nella pronuncia oggetto di analisi, la Suprema Corte si sofferma sulle possibili modalità di accertamento dell'an del danno in esame, nonché sui criteri utilizzabili per la determinazione del relativo quantum debeatur.  

Con riferimento al primo profilo, la decisione evidenzia come il rapporto di coniugio sussistente tra de cuius e il danneggiato presenti particolare rilevanza con riguardo all'onere probatorio del danno da mancato guadagno. Giova infatti evidenziare come il danno patrimoniale futuro non possa mai considerarsi in re ipsa, dovendo l'attore allegare e provare l'attuale o (verosimile) futura corresponsione di utilità economiche da parte del coniuge deceduto.

A tal proposito, i giudici di legittimità evidenziano, richiamando la precedente giurisprudenza sul punto, come la prova di siffatto danno possa essere fornita anche per mezzo di presunzioni, da rapportarsi alla situazione concreta, con riferimento tanto al reddito presumibile del defunto, quanto alla volontà di destinazione dello stesso (Cass. civ. 6 dicembre 2018, n. 29830). Il ricorso ad un sistema presuntivo è, del resto, pacificamente ammesso in giurisprudenza, ben potendo tali presunzioni fondarsi su dati ricavabili dal notorio e massime di esperienza, da cui risulti che il defunto avrebbe destinato utilità economiche o parte del proprio reddito al coniuge, in base ad un criterio di normalità (Cass. civ. 25 marzo 2002, n. 4205).

In punto di quantum, invece, la Cassazione osserva come, una volta accertato l'an debeatur, debba procedersi alla relativa liquidazione in base ad una valutazione equitativa circostanziata, che tenga conto del legame di solidarietà familiare e delle prospettive di reddito professionale. Invero, nel procedimento diretto alla concreta liquidazione del danno da lucro cessante, deve essere considerata anche la potenzialità espansiva della capacità di guadagno del de cuius, atteso che tali incrementi patrimoniali, purché prevedibili al momento della morte, avrebbero verosimilmente aumentato il patrimonio del defunto. Di qui, dopo aver determinato il reddito annuo al momento della morte (costituente la base di calcolo per la liquidazione del danno in esame) lo stesso dovrà essere equitativamente aumentato, onde tener conto di siffatte potenzialità espansive (Cass. civ. 27 giugno 2007, n. 14845; Cass. civ. 13 marzo 2012, n. 3966).

Dalla somma così ottenuta sarà poi necessario detrarre la cd. quota sibi, ovvero la quota di reddito che il defunto avrebbe presumibilmente destinato ai propri bisogni, nonché il carico fiscale e le spese per la produzione di reddito.

A questo punto, il criterio preferibile per procedere alla quantificazione del danno patrimoniale futuro è quello della capitalizzazione (come alternativa al criterio equitativo puro). A tal proposito, la Suprema Corte ha più volte affermato che, “il giudice di merito resta libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili, purché aggiornati e scientificamente corretti (Cass, civ. 14 ottobre 2015, n. 20615).

Pertanto, la quota di reddito ricavata potrà essere moltiplicata per il coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie di cui alle nuove Tabelle di attualizzazione del danno patrimoniale futuro pubblicate dall'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano in data 25 maggio 2023.

Si tratta, invero, dei nuovi criteri per la capitalizzazione anticipata di una rendita, elaborati al fine di sostituire i precedenti criteri approvati con il r.d. n. 1403/1922, considerati ormai non più attuali.

Guida all'approfondimento

  • M.FRANZONI, Il danno patrimoniale e non patrimoniale da perdita delle relazioni parentali, in Resp. civ. e prev., 2003, p. 981 e ss;
  • L. MUNARO, Danno patrimoniale futuro dei congiunti, in IUS Responsabilità civile.it.;
  • M. RIDOLFI, La morte e il diritto di chi rimane, in IUS Responsabilità civile;
  • M. ROSSETTI, L’assicurazione obbligatoria della r.c.a., Torino, 2010, p. 457 e ss.;
  • M. STRONATI, Risarcimento del danno patrimoniale da perdita del congiunto: consistenza del relativo onere probatorio, in Ridare.it, giurisprudenza commentata del 18 febbraio 2019.

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