È necessario il consenso unanime dei condomini per derogare al criterio legale di ripartizione delle spese

28 Dicembre 2023

Il Tribunale della Spezia giunge ad affermare che il criterio di ripartizione delle spese, previsto dall'art. 1123, comma 1, c.c., non può essere derogato con maggioranza qualificata, occorrendo, invece, una deliberazione approvata con il consenso unanime dei condomini.

Massima

La disciplina legale di ripartizione delle spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio è, in linea di principio, derogabile. Non è, però, sufficiente una deliberazione approvata con una maggioranza qualificata, essendo invece necessario il consenso unanimemente espresso dai condomini.

Il caso

Nel 2018, l'assemblea condominiale di un supercondominio ha approvato a maggioranza dei presenti la proposta di ripartire le spese di gestione e di manutenzione delle parti comuni in parti uguali e di ripartizione secondo millesimi delle spese straordinarie e per innovazioni. Successivamente, ha rigettato, sempre a maggioranza dei presenti, la proposta di revisionare la precedente delibera in materia di spese. Sempre in seguito, l'assemblea ha deliberato a maggioranza l'assenso ad aderire alla procedura di mediazione promossa da un gruppo di condomini dissenzienti, avente ad oggetto la nullità delle delibere assembleari precedentemente assunte, nonché il pagamento dell’indennità di mediazione e la prosecuzione della procedura con mandato all’amministratore a concludere accordo di mediazione che prendesse atto della revoca delle delibere impugnate.

Un condomino, comproprietario insieme alla madre e alla sorella di un’unità immobiliare sita al primo piano di una palazzina e di un box in un'altra palazzina, ha adìto il Tribunale di La Spezia chiedendo l'annullamento della delibera assunta dall’assemblea condominiale relativamente all’assenso dato all’apertura della procedura di mediazione e alla revoca delle delibere precedenti con le quali era stato modificato a maggioranza qualificata dei partecipanti il criterio di ripartizione delle spese condominiali.

Si è costituito in giudizio il Condominio, rilevando preliminarmente la non integrità del contraddittorio, vertendosi in materia di accertamento della proprietà di singoli beni, nonché la nullità della domanda per indeterminatezza degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della stessa; nel merito, ha chiesto al Tribunale di respingere la domanda attorea, perchè totalmente infondata, con vittoria di spese e condanna dell’attore ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

Sono intervenuti volontariamente in giudizio, aderendo alle richieste di parte attrice, due condomini, proprietari di unità immobiliari siti nello stesso complesso residenziale.

Nel corso del giudizio, è intervenuta la madre dell'attore, divenuta proprietaria esclusiva degli immobili di cui già era comproprietaria con la figlia e il figlio (attore nel presente giudizio), facendo proprie le domande e deduzioni di quest’ultimo.

È stata altresì disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini del complesso residenziale di riferimento.

La questione

Si tratta di stabilire se, al fine di derogare al criterio di ripartizione delle spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni - previsto dall'art. 1123, comma 1, c.c. - sia sufficiente una deliberazione assunta con maggioranza qualificata oppure sia necessaria una unanimità dei consensi.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di La Spezia ritiene nulle le delibere con le quali, a maggioranza qualificata, erano stati modificati i criteri legali di riparto delle spese e legittima la deliberazione, oggetto di impugnazione, con la quale le suddette delibere sono state revocate. Quindi ha rigettato in toto l'impugnazione avverso la delibera condominiale, ritenendola destituita di fondamento, condannando parte attrice e parti intervenute, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali sostenute dal Condominio e dei condomini chiamati in causa costituiti. Non ha però ritenuto sussistenti gli elementi giustificativi di una condanna ex art. 96 c.p.c. di parte attrice e delle parti intervenute, e, pertanto, ha rigettato la domanda risarcitoria.

Osservazioni

L'attore, a fondamento della domanda di annullamento della delibera assembleare con la quale era stato modificato il criterio di ripartizione delle spese condominiali, afferma che, nel complesso residenziale in esame, coesisterebbero beni di proprietà esclusiva, beni condominiali e beni in comunione (come la piscina e il campo da tennis), ai quali dovrebbero applicarsi i criteri di ripartizione delle spese previsti dagli art. 1100 e ss. c.c.e non quelli indicati negli artt. 1117 ss. c.c., ripristinati illegalmente dalla delibera impugnata. Afferma che, anche nell'ipotesi in cui venga sostenuta la condominialità di detti beni, i criteri di ripartizione delle spese dovevano essere quelli previsti rispettivamente dall'art. 1123, comma 1, c.c., per le spese di conservazione, e comma 2 per le spese d'uso.

Rileva particolarmente in questa sede affrontare la questione circa la condominialità o mera comproprietà di alcuni beni - peraltro, non specificatamente indicati nel caso in esame - tra alcuni condominii soltanto. Siamo, nel caso de quo, sicuramente al cospetto di un supercondominio, composto da otto differenti fabbricati, legati tra loro da parti, impianti (es. idrico e fognario) e servizi comuni (campo tennis, piscina, parcheggio auto e natanti, ecc.).

Giova ricordare - come recentemente ribadito dalla Suprema Corte - che, ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell'originario costruttore né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici, abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 1117 c.c. in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando, di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati la titolarità pro quota su tali parti comuni e l'obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione (Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2023, n. 23153).

Il termine supercondominio viene comunemente impiegato per designare una pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni in rapporto di accessorietà con i fabbricati.

L'avverbio super viene utilizzato per indicare un'organizzazione al di sopra di quella dei singoli condominii degli edifici separati, che continuano, dunque, a mantenere la propria autonomia.

Secondo l'orientamento consolidatosi in giurisprudenza, la disciplina del condominio negli edifici è applicabile, in virtù di interpretazione estensiva, anche in caso di supercondominio, quando cioè i beni di cui all'art. 1117 c.c. siano comuni ad una pluralità di edifici distinti, ciascuno dei quali costituente un condominio autonomo, purché fra beni comuni e beni oggetto di proprietà esclusiva sussista un rapporto di accessorietà in virtù di un collegamento materiale o funzionale.

Trova, invece, applicazione la normativa della comunione ordinaria per i beni e gli impianti, anche posti nello stesso complesso residenziale, privi della relazione di accessorietà, ma dotati di una propria autonoma utilità (Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 2003, n. 14791; Cass. civ., sez. II, 7 luglio 2000, n. 9096).

La dottrina, al riguardo, era divisa.

Una parte sosteneva che, nel supercondominio coesisterebbero parti in condominio e parti in comunione e ad ognuna di esse doveva applicarsi la relativa disciplina, essendovi parti comuni legate da un rapporto di accessorietà con le unità immobiliari ed altre suscettibili di autonomo godimento, utili più agli abitanti degli immobili che agli immobili stessi (per esempio, centri sociali, asili nido, impianti sportivi, ecc.). La scelta della normativa da applicare andava effettuata sulla base della diversa funzione realizzata dai beni comuni. Se detti beni non erano necessari per l'esistenza o per l'uso delle unità abitative, avrebbero trovato applicazione le norme dettate in tema di comunione. Diversamente, se le cose comuni erano in rapporto di accessorietà con le porzioni immobiliari si sarebbero applicate le norme sul condominio.

Altra parte della dottrina optava per l'applicazione del regime della comunione e altra ancora era favorevole all'applicabilità della disciplina condominiale.

La questione relativa alla disciplina applicabile nel caso di supercondominio è stata poi risolta direttamente dal legislatore, il quale, con la legge l. n. 220/2012 di riforma del condominio, ha espressamente introdotto l'art. 1117-bisall'interno del codice civile. Ha dunque previsto l'applicabilità delle disposizioni contenute negli artt. 1117 ss. c.c., in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomini di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'art.1117.

Ciascun condomino, in presenza di un supercondominio è obbligato a contribuire alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni e per la prestazione dei servizi comuni a più condominii di unità immobiliari o di edifici, in misura proporzionale al valore millesimale della proprietà del singolo partecipante (Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2023, n. 1141).

La tesi sostenuta da parte attrice - secondo la quale parti comuni sarebbero la piscina e il campo da tennis, il frutteto, area giochi, il lavaggio auto e deposito natanti, i percorsi di collegamento a tali beni con siepi e zone verdi e che, per tali beni, non sussisterebbe alcuna relazione di accessorietà con i beni di proprietà esclusiva ovvero quelli di proprietà condominiale, ma che essi sarebbero dotati di autonoma utilità - non è ritenuta meritevole di accoglimento dal giudice di prime cure, per il quale i beni elencati dall'attore sono tutti destinati ad essere al servizio del complesso residenziale e, conseguentemente, idonei al godimento comune oltre che all'accrescimento del valore commerciale delle singole unità abitative di proprietà esclusiva e, pertanto, tali da far ritenere sussistente una presunzione legale di condominialità ex art. 1117, comma 1, n. 2) e 3), c.c.

Detta presunzione di condominialità non è stata superata da parte attrice e dalle parti intervenute. Anzi, esistono una serie di documenti atti a confermare la condominialità dei beni oggetto di discussione.

Come sostenuto dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2022, n. 21086), i criteri di ripartizione delle spese condominiali, ai sensi dell'art. 1123 c.c., possono essere derogati e la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione può essere contenuta sia nel regolamento condominiale (che si definisce di “natura contrattuale”), ovvero in una deliberazione dell'assemblea che venga approvata all'unanimità o con il consenso di tutti i condomini.

Le delibere di cui si discute sono state assunte con una maggioranza qualificata, insufficiente a rendere legittima la modificazione dei criteri legali di riparto delle spese. Il Tribunale adìto giunge, dunque, a ritenerle nulle.

Ne consegue la legittimità e validità della delibera, oggetto di impugnazione nel presente giudizio, che sostanzialmente non ha fatto altro che ripristinare il criterio legale di ripartizione delle spese condominiali, illegittimamente sostituito con le delibere revocate e palesemente nulle.

Infine, il giudice ligure ritiene non applicabile il criterio di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. di ripartizione delle spese in base all'uso, come richiesto dall'attore, in caso di ritenuta condominialita dei beni.

L'art. 1123, comma 2, c.c., nello stabilire in deroga al comma 1, la ripartizione fra i condomini delle spese inerenti la conservazione e il godimento della cosa comune non in base al valore della proprietà di ciascuno ma all'uso che ciascun condomino può fare della cosa stessa, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di comproprietà sulle parti comuni.

In altre parole, nell'applicazione di tale norma, deve aversi riguardo non al godimento effettivo bensì al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa comune, atteso che quella del condomino è un'obbligazione propter remche trova fondamento nel diritto di comproprietà sulla cosa comune. Pertanto, il fatto che il condomino, pur potendo godere della cosa comune, di fatto non la utilizzi, non lo esonera dall'obbligo di pagamento delle spese suddette.

Riferimenti

Cistaro, Supercondominio, delibere assembleari e tutela giurisdizionale, in Immob. & proprietà, 2023, 79;

Mascia, Condominio e supercondominio, in Corr. giur., 2019, 977;

De Tilla, Qual è la normativa applicabile nel caso di spazi o beni comuni a più edifici costituenti autonomi condomini: comunione, supercondominio o condominio complesso?, in Giust. civ., 1990, I, 1086;

Bordolli, La ripartizione delle spese condominiali, Milano, 2011, 91.

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