Il locatore non deve essere necessariamente il proprietario del bene locato purché ne abbia la disponibilità

29 Dicembre 2023

Con l’ordinanza in commento, i giudici di legittimità ribadiscono che, ai fini della locazione, di regola, si presenta irrilevante la titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale in capo al locatore, puntualizzando che il diritto di proprietà, in capo a quest’ultimo, assume rilievo solo quando alla controversia, centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore, si sovrappongano o si aggiungano questioni che investano la titolarità del diritto reale sul bene locato, conseguendone - tra l’altro – che la prova della sussistenza del diritto reale non può essere pretesa dal conduttore per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto locatizio.

Massima

Ai fini della legittimazione a concedere un bene in locazione, è sufficiente che il locatore ne abbia la disponibilità, sulla base di un rapporto giuridico che comprenda il potere di trasferirne al conduttore la detenzione o il godimento, di modo che il conduttore non può opporre al locatore la mancanza di titolarità di un diritto reale sulla cosa per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal contratto, rilevando la suddetta titolarità solo allorquando si controverta degli effetti del medesimo nei rapporti interni tra le parti, come nel caso in cui vi sia controversia fra il locatore e il terzo che si affermi proprietario dell'immobile e si debba decidere dei conseguenti effetti sul rapporto locativo.

Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2016, n. 27012; Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22346

Il caso

La causa, giunta all’esame del Supremo Collegio, originava da due azioni promosse dal locatore nei confronti del conduttore.

Con la prima, il locatore deduceva che, con scrittura privata del 21 settembre 2000, aveva concesso in locazione per anni sei al conduttore un locale destinato a supermercato, e che il conduttore si era sottratto al pagamento dei canoni di locazione dal mese di settembre 2007 al mese di aprile 2009, intimando, quindi, sfratto per morosità con contestuale citazione per la convalida.

Con la seconda, l’attore assumeva che il conduttore si era resa moroso nel pagamento anche dei successivi canoni di locazione di maggio, giugno e luglio 2009.

In entrambi i giudizi, il conduttore si costituiva in giudizio resistendo.

Riunite le cause, il Tribunale dichiarava la risoluzione del contratto di locazione concluso tra le parti per grave inadempimento imputabile al conduttore, condannando quest’ultimo al rilascio immediato dell'immobile, nonché a corrispondere al locatore le somme dovute a titolo di canoni scaduti.

Il conduttore proponeva impugnazione davanti alla Corte d'Appello, ma il gravame veniva rigettato.

Avverso tale sentenza, il conduttore proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se, nella fattispecie in esame, si fosse concretizzata la violazione dell'art. 295 c.p.c., che disciplina la sospensione necessaria del giudizio nelle more della definizione di altra controversia avente natura pregiudiziale; in particolare, il ricorrente lamentava che il giudizio de quo avrebbe dovuto essere sospeso, stante la pendenza della causa avente ad oggetto l’accertamento della simulazione contrattuale, di vendita e di locazione del bene, avente carattere pregiudiziale.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale doglianza infondata.

In via preliminare, si è rilevato che, nel preteso giudizio pregiudicante, era intervenuta una sentenza di primo grado, il che rendeva applicabile al caso di specie - non l'art. 295 c.p.c., bensì - l'art. 337, comma 2, c.p.c., ai sensi del quale la sospensione non è obbligatoria, ma rimessa ad una valutazione del giudice di merito.

Orbene, la Corte territoriale, pur invocando in motivazione l'art. 295 e non l'art. 337, comma 2, c.p.c., ha comunque esercitato un suo potere di valutazione della fattispecie ed ha ritenuto di escludere la sospensione del giudizio di appello, affermando, in via dirimente, che, ai fini della stipula del contratto di locazione, fosse sufficiente che il locatore avesse la sola disponibilità del bene, a prescindere da ogni questione concernente l'asserita simulazione dell'atto di acquisto.

Con tale motivazione, il giudice distrettuale ha fatto corretta applicazione dell'orientamento della magistratura di vertice, secondo cui il detentore non è tenuto a dimostrare di avere un diritto “reale” sul bene per poterlo concedere in locazione e per poter esercitare i diritti derivanti dal rapporto, essendo sufficiente che, del bene stesso, egli abbia la disponibilità, sulla base di un rapporto (o di un titolo) giuridico che comprenda il potere di trasferire al conduttore la detenzione o il godimento del bene stesso (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2004, n. 23086; Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8411; Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2010 n. 12976; Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22346).

Ciò non significa, ovviamente, che sia liberamente ammessa la locazione di cosa altrui e che la mancanza di titolarità del diritto reale sul bene sia sempre e comunque irrilevante; significa solo che la dimostrazione della sussistenza del diritto reale non può essere pretesa dal conduttore per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto (così come non potrebbe essere opposta dal locatore per rendersi a sua volta inadempiente verso il conduttore).

Aggiungono gli ermellini che il diritto di proprietà del locatore assume rilievo solo quando alla controversia, centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore, si sovrappongano o si aggiungano questioni che investano la titolarità del diritto reale sul bene locato: se, per esempio, vi sia controversia fra il locatore ed il terzo che si affermi proprietario dell'immobile e si debba decidere dei conseguenti effetti sul rapporto locativo (v., sul tema, i perspicui rilievi di Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8411).

In altri termini, solo quando si discuta degli effetti del contratto nel rapporto interno tra locatore e conduttore vale il principio sopra richiamato, nel senso che la natura “personale” dei diritti e degli obblighi che ne derivano preclude alle parti - e, in particolare, al conduttore, la cui posizione interessa in questa sede - di opporre al locatore la mancata titolarità del diritto reale, per sottrarsi alle sue obbligazioni (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015 n. 17030).

Questa ragione del decidere - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - si rivela dirimente rispetto agli ulteriori passaggi motivazionali della impugnata sentenza, ivi compreso quello secondo cui l'altro processo si sarebbe concluso in maniera sfavorevole rispetto al conduttore, e, in quanto tale, essa è idonea a sorreggere da sola la decisione assunta dalla Corte d'Appello.

Osservazioni

In buona sostanza, i giudici di legittimità ribadiscono che, ai fini della locazione, di regola, si presenta irrilevante la titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale in capo al locatore.

Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha, infatti, natura personale, sicchè chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, non rilevando che il locatore non sia anche il proprietario o il titolare di altro diritto reale sul bene locato.

Ciò non implica che sia ammessa la locazione di cosa altrui o che la mancanza di titolarità del diritto reale sul bene sia sempre e comunque irrilevante: tuttavia, la dimostrazione della sussistenza del diritto reale non può essere pretesa dal conduttore per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto (così come, simmetricamente, non potrebbe essere opposta dal locatore per rendersi a sua volta inadempiente verso il conduttore).

La natura personale del rapporto che si instaura tra locatore e locatario consente a chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, di concederlo validamente in locazione, compreso il nudo proprietario, la cui legittimazione a chiedere l'adempimento dell'obbligo di versamento dei canoni non può essere, quindi, contestata dal conduttore convenuto, adducendo l'esistenza della posizione dell'usufruttuario, in quanto essa è estranea al rapporto personale di godimento insorto con la locazione.

Del pari, la legittimazione a locare un immobile è stata riconosciuta anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a fortiori, a chi, acquistato il possesso (o la detenzione) sulla scorta di un valido ed efficace titolo giuridico, abbia conservato tale possesso, non opponendosi il proprietario, dopo la scadenza dell'efficacia di tale titolo (Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8411).

Conseguono a tali affermazioni due importanti principi di carattere processuale: 1) colui che sia convenuto in giudizio dal locatore per la restituzione dell'immobile locato non può, avvalendosi di un'eccezione de iure tertii, contestare la legittimazione dell'attore allegando la mancanza del diritto reale sul bene in capo al medesimo o il trasferimento a terzi della proprietà del bene, oppure, ancora, la perdita da parte del medesimo della relativa disponibilità (Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 2004, n. 1940); 2) in caso di simultanea pendenza di un giudizio relativo al rilascio di un immobile concesso in locazione e di altro relativo alla proprietà dello stesso bene in capo al locatore, non ricorrono i presupposti per la sospensione necessaria del primo di essi poiché l'accertamento della proprietà dell'immobile locato non integra una questione pregiudiziale in ordine alla legittimazione a locare (Cass. civ., sez. VI/III, 10 luglio 2014, n. 15788).

Residua, nondimeno, un àmbito in cui il diritto di proprietà del locatore assume rilievo: ciò avviene quando alla controversia, centrata sui rapporti meramente personali fra locatore e conduttore, si sovrappongano o si aggiungano questioni che investano la titolarità del diritto reale sul bene locato, come accade, ad esempio, allorché vi sia controversia fra il locatore e il terzo che si affermi proprietario dell'immobile e si debba decidere dei conseguenti effetti sul rapporto locativo.

Stante il divieto espresso contenuto all'art. 1024 c.c. è, invece, preclusa la stipulazione di contratti di locazione al titolare di un diritto d'uso o di abitazione; parimenti, è esclusa la possibilità di una locazione di cosa propria o, più correttamente, di cosa di cui si abbia il godimento in base a titolo diverso dalla locazione (ad esempio la locazione a favore dell'enfiteuta, del superficiario, dell'usufruttuario): da un lato, infatti, si verserebbe in presenza di un contratto nullo per impossibilità dell'oggetto, e, dall'altro, verrebbe a mancare la funzione di scambio (godimento verso pagamento del canone) in cui si sostanzia la causa stessa del contratto.

In dottrina, alcuni sostengono, invece, che sono legittimati a locare, senza che ciò leda alcun diritto di terzi, oltre al proprietario, anche l'usufruttuario, l'enfiteuta, il superficiario, il creditore anticretico, il sequestratario e lo stesso conduttore.

Riferimenti

Chiesi, Codice delle locazioni commentato diretto da Celeste, Milano, 2020, 14;

Izzo, La locazione dell'usufruttuario tra la tutela del nudo proprietario e quella imperativa del conduttore, in Giust. civ., 2009, I, 1732;

De Tilla, Quando ad affittare è il non proprietario, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 1, 78;

Cattaneo, Rapporto di locazione: responsabilità del proprietario e del conduttore, in Giur. it., 2000, 291;

De Tilla, Locazione del non proprietario e poteri dispositivi, in Rass. loc. e cond., 1996, 71.

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