Il socio che incarica un legale di agire nei confronti degli amministratori è un “consumatore”?
03 Gennaio 2024
Massima Nel caso in cui una persona fisica abbia affidato ad uno studio legale l’incarico di agire nei confronti degli amministratori della società di cui egli è socio, per attribuire allo stesso la qualità di consumatore dalla quale dipende l’applicazione della disciplina consumeristica alle clausole del contratto stipulato tra studio professionale e persona fisica, occorre accertare se tale persona abbia agito nell'ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano alla società, quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata. Il caso La presente controversia trae origine da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano a favore dello studio legale Alfa, per un valore pari a 26.547,00 euro a titolo di compensi dovuti da Tizio per l'attività difensiva ricevuta in occasione di una causa avente natura societaria nella quale era risultato vittorioso. La pretesa dello studio Alfa si fondava su una clausola di determinazione del compenso contenuta nell'accordo stipulato con Tizio in forza della quale, nel caso in cui l'importo liquidato giudizialmente fosse stato superiore ai compensi pattuiti con il cliente, la differenza sarebbe spettata allo studio. La somma di € 26.547,00 corrispondeva proprio alla differenza tra le spese legali liquidate dal giudice a favore del cliente e l'importo che quest'ultimo gli aveva già pagato. Tizio proponeva opposizione al decreto ingiuntivo eccependo di aver già saldato il debito con il pagamento di 7.785,00 euro, compenso pattuito nell'accordo stipulato con lo studio legale, nonché la nullità della clausola di determinazione del compenso contenuta nell'accordo per contrarietà al Codice del Consumo, in quanto vessatoria. In subordine, lamentava l'inesigibilità del compenso richiesto dallo studio legale Alfa, rilevando il mancato pagamento delle spese processuali della causa da parte dei soccombenti. Il Tribunale di Milano respingeva con ordinanza il ricorso e condannava Tizio al pagamento delle spese processuali. La valutazione dell'organo giudicante era motivata dal fatto che il compenso era stato pattuito dalle parti in causa per iscritto e che l'importo di 7.785,00 euro corrisposto da Tizio era stato sottratto dalla cifra totale dei compensi liquidati dal giudice a favore del cliente. Inoltre, il cliente, che aveva effettuato una ricognizione scritta del debito formulando una proposta di pagamento rateizzato, aveva successivamente eccepito la nullità della clausola di determinazione del compenso che, invece, secondo la ricostruzione dei giudici del Tribunale di Milano, non poteva essere ritenuta nulla per violazione della disciplina posta dal Legislatore a tutela dei consumatori. Secondo la ricostruzione del Tribunale, infatti, avendo Tizio conferito l'incarico allo studio legale in relazione ad una causa vertente sulla responsabilità ai sensi dell'art. 2476 c. 3 c.c. degli amministratori della società di cui egli era socio al 25%, non risultava possibile riconoscere in capo al ricorrente la qualifica di consumatore. Inoltre, a giudizio del giudice del merito, la clausola non poteva ritenersi nulla per incertezza o aleatorietà nella determinazione del compenso, dal momento che identificava il quantum “con precisione e senza pregiudizio per il cliente” nei termini di cui si è detto. Infine, veniva disattesa anche l'eccezione basata sul fatto che non fossero state corrisposte le spese processuali da parte dei soccombenti dal momento che l'esclusione della doverosità del compenso in tale ipotesi non era una circostanza regolamentata dalle parti in sede di conclusione del contratto. Il Tribunale di Milano, ritenendo l'opposizione di Tizio del tutto infondata, condannava quest'ultimo al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata. Avverso tale decisione, Tizio proponeva ricorso innanzi alla Corte di cassazione con cinque differenti motivi. La questione Ai sensi dell'art. 3 c. 1 lett. a D.Lgs. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo), il consumatore può essere qualificato come quella “persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Il professionista, al contrario, è una persona fisica o giuridica che “agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 c. 1 lett. c D.Lgs. 206/2005). Il fulcro principale della vicenda sottoposta alla Corte di cassazione verte sulla possibilità di escludere la qualifica di consumatore in capo a chi – come Tizio nel caso di specie – richieda l'intervento di uno studio legale al fine di promuovere una causa per responsabilità nei confronti dell'organo amministrativo della società della quale lo stesso è socio. Per quanto qui interessa, Tizio, in primo luogo, censura l'ordinanza impugnata per non avere rilevato la nullità della clausola per la sua incertezza e aleatorietà. Inoltre, il ricorrente censura, seguendo un ordine logico:
La soluzione giuridica La Corte di cassazione, in primo luogo, ritiene che la pattuizione del compenso dovuto al professionista soddisfi i requisiti stabiliti dall'art. 2233 c. 3 c.c. e 13 L. 247/2012, essendo stato pattuito in maniera trasparente e per iscritto. La clausola del contratto che qualifica il compenso dovuto nella differenza tra il maggiore importo liquidato a favore dell'assistito dal giudice della causa societaria (per la quale l'incarico è conferito) e il compenso di 7.875,00 euro pattuito dalle parti viene ritenuta non indeterminata. Per quanto riguarda la possibilità di riconoscere in capo a Tizio la qualifica di consumatore e le conseguenti tutele derivanti dall'applicazione delle norme del Codice del Consumo, tra le quali la nullità ex artt. 36 e 33 c. 2 lett. n) e o) D.Lgs. 206/2005 – che, in particolare, qualificano come vessatorie le clausole che sono finalizzate a n) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione; o) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto – la Corte svolge una breve disamina della giurisprudenza sul tema. In particolare, citando una nota e recente pronuncia a Sezioni Unite, in particolare Cass. SU 27 febbraio 2023 n. 5868, viene richiamata la posizione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea assunta a proposito della nozione di consumatore (ai fini dell'applicazione della Dir. 93/13/CEE sulle clausole abusive) nell'ambito di un contratto di fideiussione prestata da una persona fisica a favore di una società commerciale. La Corte di Giustizia (C.Giust. UE 9 novembre 2015, C-74/15, Tarcau; C.Giust. UE 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitra) aveva affermato che "nel caso di una persona fisica che abbia garantito l'adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell'ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata". La decisione impugnata, secondo la Corte, ha seguito il tracciato della giurisprudenza interna e comunitaria e ha correttamente escluso la possibilità di attribuire la qualifica di consumatore a Tizio sulla base di due ragioni. La prima ragione riguarda la “non trascurabilità” della quota del capitale sociale detenuta da Tizio (il 25% del totale), che impone di ritenere consistente la partecipazione del ricorrente alle vicende societarie. In secondo luogo, viene evidenziato che l'azione proposta da Tizio nei confronti degli amministratori della società fonda la sua legittimazione nella carica ricoperta dallo stesso ricorrente ed è proposta nell'interesse preminente della stessa società. Ciò considerato, la Corte esclude la possibilità di applicare le norme del Codice del Consumo a Tizio. La Corte, rigettando tutti i motivi tranne il quinto – attinente alla condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c., rilevando l'obiettiva opinabilità delle questioni sottoposte al vaglio giudiziale e la necessità di uno scrutinio effettivo – conferma la sentenza impugnata eliminando la condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. e stabilendo la compensazione delle spese tra le parti per soccombenza reciproca. |