La locazione commerciale è valida anche senza la forma scritta
16 Gennaio 2024
Massima L’esistenza di un contratto di locazione commerciale può desumersi anche in assenza di una forma scritta, atteso che, per gli immobili ad uso diverso da quello abitativo, non è prescritta una specifica forma per la prova dell’esistenza e validità dell’accordo negoziale. Il caso La fattispecie nasce dallo sfratto per morosità e dalle correlate vicende negoziali in relazione alle quali, il giudice di prime cure evidenziava che il disconoscimento della sottoscrizione della parte conduttrice, confermata in sede di c.t.u., per effetto dell’attribuzione della firma apocrifa ad altra persona, non rilevano per l’efficacia del contratto di locazione, che era stato concluso verbalmente - ed in forza del quale successivamente era stato dato in comodato ad altro soggetto - la cui esistenza è stata provata attraverso la produzione delle fatture relative al pagamento dei canoni per i periodi pregressi all’intimazione di sfratto. La questione La quaestio juris esaminata dalla Corte di merito genovese verte sulla duplice circostanza che, da un lato, il giudice di primo grado avrebbe ammesso delle prove documentali, prodotte da parte appellata irritualmente e tardivamente, unitamente alla non corretta interpretazione delle prove presenti in atti e, dall’altro che, non sussisteva alcuna responsabilità della parte conduttrice difettando la prova della stessa. Le soluzioni giuridiche I giudici genovesi, preliminarmente, rilevano la tempestività delle produzioni documentali versate nel giudizio di primo grado, in virtù della mancanza di preclusioni temporali nella fase relativa al rito speciale della convalida di sfratto rispetto al successivo giudizio di merito. Infatti, nel procedimento di sfratto, la fase sommaria nella quale il giudice delle locazioni provvede sull'istanza di rilascio dell'immobile, è seguita da quella di merito, ed in tale contesto, la parte può produrre entro il termine fissato per il deposito delle note integrative tutti i documenti che ritiene utili a suffragare le proprie domande, ai sensi degli artt. 667 e 426 c.p.c. In tale ottica, è altresì tempestiva l'istanza di verificazione della scrittura privata poi risultata aprocrifa, trattandosi di istanza istruttoria che, nel rito locatizio, soggiace anch'essa al termine preclusivo delle memorie ai sensi dell'art. 426 c.p.c. Con specifico riferimento alla seconda doglianza mossa alla pronuncia del giudice di prime cure, la Corte osserva che tutti i documenti versati in atti e le correlate difese formulate dalla parte conduttrice evidenziano l'esistenza di un contratto di locazione, atteso che, per gli immobili ad uso commerciale non è prescritta una specifica forma per la prova dell'esistenza e validità dell'accordo negoziale. Non a caso la suddetta parte conduttrice ha concesso successivamente in comodato ad un terzo soggetto il godimento dell'immobile il quale, ha eseguito i diversi pagamenti alla parte locatrice, documentati in atti, afferenti alla locazione dell'immobile ricevuto in comodato. I giudici rilevano, quindi, la circostanza che le parti interessate avessero la piena consapevolezza che si trattasse di una locazione, atteso che la parte conduttrice ha sempre ricevuto dalla locatrice le fatture per il pagamento dei canoni e che alcuni bonifici effettuati dalla comodataria a favore della locatrice espressamente indicano che il versamento è effettuato per pagamento affitto o per canone affitto. I pagamenti del comodatario non incidono sul fatto che il rapporto contrattuale sia intercorso tra la parte locatrice e l'originario conduttore, perché è evidente che, poiché la conduttrice ha ammesso di avere dato in comodato il bene di cui si discute ne doveva avere comunque il possesso o una detenzione qualificata discendente dal rapporto locatizio stipulato “a monte”. Osservazioni La pronuncia in commento della Corte d'Appello di Genova è l'occasione per ribadire il principio che, a differenza di quanto previsto dall'art. 1 della l. n. 431/1998 sulle locazioni abitative - il quale stabilisce che la forma scritta è prevista ad substantiam per stipulare un valido contratto di locazione - una previsione analoga non si evince all'interno della l. n. 392/1978, la quale, per la locazione commerciale, prevede il diverso principio della libertà della forma ai fini della validità del contratto di locazione, con la conseguenza che possono ritenersi validi gli accordi stipulati verbalmente o per facta concludentia. Ciò non toglie che la regola anzidetta della libertà di forma per le locazioni ad uso diverso da abitazione sconta alcune eccezioni, dovendo applicarsi le norme previste dal codice civile sui contratti che necessitano di forma scritta ad substantiam, atteso che l'art. 1350 c.c., afferma che devono effettuarsi per iscritto, a pena di nullità, i contratti di locazione di beni immobili dalla durata superiore a nove anni, che sono anche soggetti a trascrizione presso i registri immobiliari ai sensi dell'art. 2630 c.c. La seconda questione affrontata dalla Corte territoriale ligure attiene alla tempestività delle produzioni documentali allegate in atti, in virtù della mancanza di preclusioni temporali nella fase relativa al rito speciale della convalida di sfratto rispetto al successivo giudizio di merito, potendo la parte produrre entro il termine fissato per il deposito delle note integrative le istanze probatorie utili a suffragare le proprie domande, ai sensi degli artt. 667 e 426 c.p.c. ai sensi del quale, viene disposto il mutamento del rito. In particolare, nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione dello stesso in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., con la conseguenza che, essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese svolte da controparte (Trib. Latina 7 ottobre 2021; Cass. civ., sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 4771). In buona sostanza, la prosecuzione del giudizio, a seguito dell'ordinanza di trasformazione del rito, va intesa come chiusura del procedimento a cognizione sommaria ed apertura del giudizio a cognizione piena, e da tale prospettiva, le preclusioni proprie del rito del lavoro scattano, all'esito dell'adozione dell'anzidetta ordinanza attraverso il deposito, nel termine concesso dal giudice, della memoria integrativa exart. 426 c.p.c. che a sua volta segna il passaggio dal procedimento sommario al merito della controversia locatizia. Pertanto, in ordine ai limiti posti all'integrazione degli atti introduttivi con le memorie previste dall'art. 426 c.p.c., l'opposizione dell'intimato, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5955; Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2021, n. 17955; Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2017, n. 7430), determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento a cognizione piena, il cui petitum e causa petendi sono costituiti dalla domanda di accertamento e condanna, e nel quale le parti in causa possono esercitare tutte le facoltà relative alle rispettive posizioni, compresa per il locatore la possibilità di proporre una domanda nuova. Ad analoga conclusione - sebbene con motivazione parzialmente diversa - perviene altra giurisprudenza di merito, laddove afferma che il passaggio da un rito all'altro non dà luogo ad un nuovo e diverso processo rispetto a quello instaurato con il rito sommario di convalida dell'intimato sfratto rappresentandone piuttosto la semplice prosecuzione, ragione per cui l'intimante potrà modificare le domande contenute nell'originario atto introduttivo (Trib. Roma 3 ottobre 2019), e il conduttore ha la possibilità di dedurre nuove eccezioni e spiegare domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2021, n. 17955; Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2010, n. 15399; Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006, n. 21242). L'unico limite alla sostituzione della domanda rispetto a quella originaria consiste nella necessità che - fermo restando l'elemento identificativo soggettivo delle persone - la domanda modificata debba pur sempre riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo o, comunque, essere a questa collegata. Riferimenti Cuffaro, Le locazioni per uso non abitativo, in Arch. loc. e cond., 2018, 582; Murgo, Le locazioni ad uso commerciale nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 95; Preden, Il requisito della forma scritta, in Rass. loc. e cond., 2004, 310; Izzo, Convalida di sfratto e mutamento di rito: domanda riconvenzionale e domande nuove in Giust. civ., 2006, 332; Salari, L'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ed il passaggio dalla fase sommaria a quella di merito, in Rass. loc. e cond., 2005, 20; Faggiano, In tema di mutamento di rito ex art. 426 c.p.c., in Rass. loc. e cond., 2001, 247. |