Inadempimento del conduttore e risoluzione del contratto di locazione per mancato pagamento dei canoni

11 Gennaio 2024

Il Tribunale di Massa ribadisce il principio, già pacifico in giurisprudenza, secondo il quale, ai fini dell’azione di sfratto per morosità - che certamente rappresenta domanda di risoluzione del vincolo per inadempimento del conduttore, azionata in via sommaria -  sulla parte attrice grava unicamente l’onere di provare la sussistenza di una legittima fonte di obbligazione (nello specifico, rappresentata dal contratto di locazione), adducendo l’inadempimento grave della parte conduttrice, mentre incombe su quest'ultima la prova del fatto modificativo/estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ex art 2697, comma 2, c.c.

Massima

L'intimazione di sfratto per morosità rappresenta l'esercizio, in forme speciali, di un'azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento, congiuntamente ad un'azione di condanna del conduttore al rilascio.

Il caso

La società attrice adiva il Tribunale di Massa al fine di far dichiarare la risoluzione, sia del contratto di locazione ad uso diverso da abitazione concluso nel 2012, sia della modifica al contratto, avvenuta l'anno successivo, per grave inadempimento della conduttrice all'obbligo di pagamento dei canoni, delle utenze, interessi e spese, anche di registro, nonchè di confermare, conseguentemente, l'ordinanza di rilascio già resa ex art. 665 c.p.c., in danno della stessa conduttrice dell'immobile locato, con condanna della convenuta, nonchè dei soci solidalmente e illimitatamente responsabili, al pagamento, in proprio favore, dei canoni non versati.

Si costituiva in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto dell'intimazione di sfratto per morosità e, in via riconvenzionale, di accertare e dichiarare il locatore inadempiente per gli interventi di manutenzione straordinaria e obbligare lo stesso al risarcimento dei danni subiti dalla convenuta a causa della negligenza e del comportamento illecito ( ex art. 2043 c.c. e/o art. 1218 c.c.) del locatore.

La questione

Si tratta di stabilire se, nella fattispecie in esame, possa essere accolta la domanda del ricorrente di risoluzione del contratto di locazione ad uso diverso da abitazione per inadempimento di non scarsa importanza della parte conduttrice, posto che l'obbligazione di pagamento del canone di locazione è la principale obbligazione posta a carico dei conduttori.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Massa dichiara risolto per inadempimento grave della conduttrice il contratto di locazione stipulato dalle parti e la condanna a versare a favore dell'attrice una certa somma per canoni scaduti, oltre interessi dalle singole scadenze al saldo.

Condanna, altresì, la convenuta al rilascio immediato dell'immobile - ove non già avvenuto - e respinge ogni altra domanda delle parti, compresa quella riconvenzionale proposta dalla stessa. La convenuta viene condannata, infine, alla refusione delle spese di lite in favore della società attrice.

Osservazioni

Il contratto stipulato dalle parti risale al 2012. Per circa un decennio il conduttore ha goduto del bene senza sollevare alcuna eccezione e senza obiezioni, manifestando dubbi sulla consistenza dei locali soltanto in sede giudiziale, dove è stato convenuto per il proprio inadempimento. Il giudice toscano ritiene non meritevole di accoglimento l'eccepita nullità del contratto per l'asserita indeterminatezza del bene oggetto di locazione. Il fondo oggetto di causa risulta descritto nella premessa del contratto, risulta che il conduttore lo ha esaminato e lo ha ritenuto adatto alle proprie necessità, avendone chiaramente contezza in ordine alla consistenza.

Il Tribunale adìto ritiene inammissibile la prova dedotta dalla convenuta in ordine agli asseriti pagamenti in contanti. Infatti, il capitolo di prova dedotto dalla convenuta appare al giudice del tutto decontestualizzato e generico, omettendo di riferire modalità di tempo e di luogo, così che rimettere al teste la deposizione sui pagamenti senza specificare con quali modalità siano avvenuti, da parte di chi e in quale luogo siano stati effettuati, lasciando risposta totalmente aperta, costituisce capitolazione non conforme al dettato dell'art. 244 c.p.c. e finisce per violare  il diritto di difesa della parte in quanto rende, di fatto, impossibile articolare la prova contraria.

La Suprema Corte ha in più occasioni affermato che la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non soltanto che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma altresì che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un'adeguata difesa (Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2021, n. 24377; Cass. civ., sez. VI, 12 ottobre 2011, n. 20997; Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2009, n. 9547; Cass. civ., sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 1808).

D'altronde, il giudice, nell'avvalersi della facoltà di cui all'art. 253, comma 1, c.p.c., può rivolgere al teste tutte quelle domande che reputa utili a chiarire i fatti oggetto della deposizione. La facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ha, tuttavia, natura esclusivamente integrativa e non può di certo tradursi in un'inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell'articolazione probatoria (Cass. civ., sez. VI, 5 ottobre 2022, n. 28924; Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3280; Trib. Ivrea 13 ottobre 2020, n. 773; Trib. Pavia 13 febbraio 2020, n. 245; Trib. Trento  24 maggio 2016, n. 568).

Il giudice di prime cure ritiene infondata anche la richiesta di risarcimento dei danni subiti dalle attrezzature della convenuta a seguito dei distacchi di corrente, non sussistendo alcuna prova che tali lamentati danni si riferiscano a conseguenze causalmente connesse con la condotta di parte attrice. Inoltre, reputa incomprensibile il nesso di causa che si pretenderebbe di stabilire fra il furto subito e la condotta del locatore; né risulta in alcun modo provato che le lamentate infiltrazioni abbiano causato un minore godimento del bene, che legittimasse una riduzione dei canoni, né risultano documentati gli esborsi che la conduttrice afferma di aver sostenuto per interventi di manutenzione straordinaria.

Per quanto attiene, poi, all'autoriduzione del canone durante il periodo emergenziale, lo stesso Tribunale, richiamando un proprio provvedimento (ord. 25 ottobre 2022), ha ribadito che non può ritenersi sussistente alcun automatismo connesso alle restrizioni di quel momento. Pertanto, nell'ipotesi in cui ci sia una diminuita possibilità di utilizzazione  - che però, nel caso in esame, non è stata né specificamente dedotta, né provata -  riconducibile a fatto non imputabile alle parti, e costoro non giungano a una riduzione negoziale, dovrà essere specificamente provata l'incidenza delle misure sull'attitudine del bene a rendere l'utilità dedotta in contratto, a fronte della quale potrà eventualmente essere richiesta, giudizialmente, una riconduzione ad equità del vincolo sinallagmatico.

D'altronde, la normativa emergenziale anti Covid-19 non ha previsto una sospensione/esenzione dell'obbligo di corrispondere i canoni di locazione o di diminuirne l'importo ad nutum del conduttore. Sono state contemplate semplicemente delle agevolazioni di carattere fiscale in favore di imprese la cui attività è stata sospesa a seguito dell'emanazione di misure restrittive anti coronavirus.

Certamente, obbligazioni fondamentali che derivano dal contratto di locazione sono quelle del locatore di trasferire alla controparte la detenzione del bene locato e quella del conduttore di pagamento del canone. Il mancato adempimento dell'una o dell'altra obbligazione altera in maniera decisiva il sinallagma contrattuale ed impone lo scioglimento del rapporto. Non è consentito al conduttore di un immobile di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, neppure nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene ricollegabile al fatto del locatore, atteso che la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore.

Per aversi grave inadempimento, tale da legittimare la risoluzione del contratto di locazione, la valutazione non può essere settoriale e fatta per compartimenti stagni, ma deve essere attuata avendo presente non solo la scadenza dei canoni e il loro importo, ma altresì il comportamento della parte inadempiente, operandosi un equilibrato bilanciamento tra il legittimo diritto del locatore alla puntuale prestazione del conduttore e il legittimo diritto del conduttore a non vedersi risolto il contratto, in mancanza di una sua colpa generatrice di grave inadempimento (Trib. Roma 12 gennaio 2022, n. 446).

Nella vicenda in esame, parte ricorrente - che agisce per la risoluzione del vincolo contrattuale - ha assolto all'onere di provare l'esistenza di una legittima fonte (negoziale o legale) del suo diritto (nel caso di specie, il contratto di locazione), adducendo la circostanza dell'inadempimento grave della conduttrice, mentre la convenuta, gravata dal provare il fatto modificativo/estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, non ha assolto a tale onere.

Inoltre, ad avviso del giudice toscano, a fronte di una morosità individuata dal locatore in circa ventimila euro (non oggetto di contestazione dalla controparte), l'eventuale versamento in contanti della convenuta - che, in ogni caso, non è stato provato - lascerebbe residuare una morosità pari a quasi settemila euro, importo che, a fronte della prestazione dedotta in contratto, rappresenta circa una annualità e, dunque, un inadempimento grave, di non scarsa importanza, ai sensi dell'art. 1455 c.c.

Secondo la dottrina maggioritaria l'intimazione di sfratto per morosità rappresenta l'esercizio in forma speciale dell'azione costitutiva di risoluzione per inadempimento e di quella di condanna al rilascio dell'immobile. Anche per la giurisprudenza nell'intimazione di sfratto per morosità è implicita la domanda di risoluzione per inadempimento (Cass. civ., sez. III, 8 agosto 1995, n. 8692) e la valutazione dell'importanza dell'inadempimento, al fine della risoluzione del contratto, comporta apprezzamenti di fatto istituzionalmente devoluti al giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità se correttamente ed adeguatamente motivati (Cass. civ., sez. III, 24 agosto 1978, n. 3955).

Di certo, nella valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento è necessario considerare il peso oggettivo della mancata prestazione sull'equilibrio contrattuale, dovendo altresì, dal punto di vista soggettivo, considerare l'interesse del creditore alla prestazione mancata. Si precisa, dunque, che ciò che rileva è l'importanza dell'inadempimento con riferimento all'interesse del creditore da valutarsi non solo con riferimento alla sua entità, criterio in sé astratto ed avente la funzione di impedire uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, ma anche in concreto, tenuto conto di elementi soggettivi che pure incidono sull'importanza dell'inadempimento.

Era onere della parte convenuta - come si è detto - addurre eventuali fatti estintivi e modificativi, ex art. 2697 c.c., dell'altrui pretesa, ma essa li ha meramente enunciati, salvo poi lasciarli destituiti di ogni prova (venendo meno all'onere che alla stessa incombeva).

Riferimenti

Masoni, L'estinzione del rapporto di locazione. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2011, 131;

Masoni- Grasselli, Le locazioni, Padova, 2013, cap. XVI.

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