I diversi criteri di imputazione di responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia e da rovina di edifici
25 Gennaio 2024
Massima L'obbligo di custodia, nel paradigma dell'art. 2051 c.c., deriva da un effettivo e concreto potere di fatto, mentre nell'art. 2053 c.c. deriva dal titolo di proprietà; ne consegue che, con riferimento alla rovina di edificio, la presunzione di responsabilità legale può essere vinta dalla prova dell'esistenza di un'altra causa dell'evento dannoso avente una efficienza causale del tutto autonoma ed esclusiva rispetto al vizio di costruzione o al difetto di manutenzione, quale il fatto del terzo (o del danneggiato) o il caso fortuito. Il caso Il proprietario di un capannone citava in giudizio il proprietario ed il conduttore in locazione di altro capannone per chiedere i danni derivanti da un incendio propagato da quest'ultimo immobile. La domanda in primo grado era rigettata, con decisione riformata in appello. L'originario attore ha proposto ricorso in Cassazione lamentando la circostanza che il giudice di appello avrebbe ritenuto la responsabilità sulla scorta dell'art. 2051 c.c. in luogo dell'art. 2053 c.c. I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso sul rilievo della esistenza dell'elemento diretto ad elidere la presunzione legale di responsabilità come delineato dall'art. 2053 c.c., ovvero il danno provocato direttamente dall'incendio, elemento diverso dagli elementi strutturali dell'edificio. La questione La questione in esame è la seguente: quali sono gli esatti ambiti di applicazione degli artt. 2051 e 2053 c.c.? La soluzione giuridica La responsabilità ex art. 2051 c.c., secondo la giurisprudenza di legittimità (sin da Cass. civ., sez. un., n. 12019/2011) e la dottrina prevalenti, deve ascriversi al novero della responsabilità oggettiva e come tale implica a carico di colui che ne invoca l'applicazione solamente l'onere di provare il rapporto di custodia e il nesso di derivazione causale tra la res custodita e l'evento di danno. Elementi costitutivi della domanda risarcitoria sono infatti: in primo luogo, la ricorrenza della figura del custode, cioè del titolare di una effettiva e non occasionale disponibilità, sia essa materiale che giuridica, della cosa, in grado di controllarla (anche) in relazione al grado di rischio che su di essa potrebbe incombere, quindi la relazione di custodia; in secondo luogo, il nesso di causa tra la cosa custodita ed il danno lamentato. Per converso, la giurisprudenza di legittimità è orientata a ritenere che l'art. 2053 c.c., rappresenti un'ipotesi di responsabilità oggettiva, il cui carattere di specialità, rispetto a quella di cui all'art. 2051 c.c., deriva dal fatto che essa è posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento; in altri termini, il "responsabile" deve essere individuato in base al criterio formale del titolo, non bastando che egli abbia un potere d'uso sulla res che cagiona il danno; pertanto, la responsabilità può essere esclusa solamente dalla dimostrazione che i danni provocati dalla rovina dell'edificio non debbono ricondursi a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenta i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità (Cass. n. 11053/2008). Osservazioni L'art. 2053 c.c., rappresenta un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che quindi prescinde dall'esistenza dell'elemento psicologico. Si tratta di un'ipotesi, quindi, non di presunzione di colpa (Cass. n. 2481/2009), ma di presunzione di responsabilità (e quindi di responsabilità oggettiva), salvo che non si fornisca la prova liberatoria che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Si ritiene, pertanto, che la norma in questione si ponga in rapporto di specialità rispetto a quella di cui all'art. 2051 c.c. In virtù dell'art. 2053 c.c., sussiste la responsabilità del proprietario nel caso di danni provocati a terzi quale conseguenza della rovina di edificio, intendendosi per tale ogni disgregazione, sia pure limitata e parziale, degli elementi strutturali della costruzione ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati; responsabilità dalla quale il proprietario dell'edificio può andare esente solo fornendo la prova che la rovina non fu dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione (Cass. n. 8876/1998). E' pacifico in dottrina e giurisprudenza, altresì, che l'art. 2053 c.c. consente, sebbene nel suo testo non ve ne sia, per la sua evidente superfluità, espressa menzione, ai fini dell'esonero del proprietario dalla responsabilità, la prova del caso fortuito o della forza maggiore, ovvero di un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato (Cass. n. 12251/1997; Cass., n. 19975/2005). Queste cause esimenti - la speciale espressamente prevista dalla norma e l'altra di portata generale, perché non specifica di taluna fattispecie particolare di danno ma comune ad ogni forma di responsabilità (cfr. l'art. 45 c.p.) - si pongono su un medesimo piano e in rapporto di alternatività, nel senso che è sufficiente, per conseguire l'esonero dalla responsabilità, la prova di una di esse. Del resto, in tema di responsabilità per rovina di edificio, il caso fortuito si configura per lo più in negativo, laddove si dimostri l'assenza del difetto di manutenzione o del vizio di costruzione, ma può accadere che il fortuito sia individuabile in positivo, qualora si verifichi un evento improvviso, esorbitante dall'id quod plerumque accidit, rispetto al quale non vi sia forza umana atta ad impedirlo; un evento insomma assolutamente imprevedibile e inevitabile, dotato di una sua propria ed esclusiva autonomia causale, come, per esempio, quando si sia in presenza di un fenomeno che, scatenando in modo improvviso ed impetuoso le forze distruttive della natura, assume proporzioni così immani e sconvolgenti da travolgere ogni baluardo posto a salvaguardia di uomini e cose (Cass. n. 2981/1976). Dovendo ancorarsi il concetto di fortuito al criterio tradizionale della prevedibilità con l'ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, la quale si risolve in un giudizio di probabilità, nell'infinita serie di accadimenti naturali (o umani) che possono teoricamente verificarsi, non si può far carico al debitore di prevedere e prevenire anche quegli eventi, di provenienza esterna, che presentino un così elevato grado di improbabilità, accidentalità o anormalità da essere parificati, in pratica, ai fatti imprevedibili. Ad ogni modo, la responsabilità oggettiva, posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento ex art. 2053 c.c., può essere esclusa solamente dalla dimostrazione che i danni cagionati dalla rovina dell'edificio non debbono ricondursi a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenta i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità (Cass. n. 11053/2008). In altri termini, sia per il tenore testuale della disposizione che per l'interpretazione che ne viene data dalla giurisprudenza, deve essere considerata rovina ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati, sicché la responsabilità del proprietario di un edificio o di altra costruzione per i danni cagionati dalla loro rovina può ravvisarsi solo in caso di danni derivanti dagli elementi (anche accessori ma) strutturali dell'edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione e perciò parti essenziali degli stessi, ossia di danni derivanti dall'azione dinamica del materiale facente parte della struttura della costruzione e non da qualsiasi disgregazione sia pure limitata dell'edificio o di elementi o manufatti accessori non facenti parte della struttura della costruzione. Questo porta ad escludere che i danni derivanti da un incendio possano rientrare nel fuoco dell'art. 2053 c.c. Da tali premesse, la pronuncia in commento osserva che nella fattispecie posta alla sua attenzione, ai fini della applicazione dell'art. 2053 c.c. è irrilevante accertare l'esistenza di un nesso causale fra l'incendio e lo stato precedente dell'immobile. Sotto altro aspetto, i giudici di legittimità osservano che tra l'art. 2051 c.c. e l'art. 2053 c.c. esiste una interserzione strutturale, avente ad oggetto appunto la custodia. Mentre l'art. 2053 c.c. indica come soggetto responsabile il proprietario, e quindi il titolare del diritto reale o della concessione che legittima il controllo giuridico sul bene, l'art. 2051 c.c. considera responsabile il custode dell'edificio, e la qualifica di proprietario e quella di custode non coincidono necessariamente. ll criterio di responsabilità è dato dalla sussistenza di una situazione di diritto (la proprietà), in contrapposizione alla situazione di fatto alla quale si riferisce l'art. 2051 c.c. In altri termini, l'art. 2051 c.c. prevede una custodia che deriva da un'effettiva e concreta posizione di potere - il potere di fatto -, mentre nell'art. 2053 c.c. deriva solo dal titolo di proprietà. Da tale affermazione, discende che tale responsabilità, intimamente connessa al diritto reale, non viene meno soltanto perché il proprietario ha affidato ad altri l'immobile (per la costruzione di un edificio o per un godimento temporaneo) o perché ricorre un fatto colposo di un terzo o dello stesso danneggiato: tali circostanze, sono considerate dalla Corte di Cassazione, da sole possono generare unicamente un concorso di colpa. Si tratta, quindi, di un'ipotesi, di presunzione di responsabilità (e quindi di responsabilità oggettiva), salvo che non si fornisca la prova liberatoria che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. La responsabilità oggettiva, posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento ex art. 2053 c.c., può essere esclusa solamente dalla dimostrazione che i danni cagionati dalla rovina dell'edificio non debbono ricondursi a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenta i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità (Cass. n. 16231/2005; Cass. n. 11053/2008; Cass. n. 2481/2009, a mente della quale il proprietario sarà tenuto a dimostrare di aver effettuato la manutenzione dell'edificio, che lo stesso non è affetto da vizi di costruzione ovvero che la rovina è intervenuta per caso fortuito, con ciò intendendosi un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, incluso il fatto del terzo o dello stesso danneggiato). Pertanto, in relazione alla responsabilità prevista dall'art. 2053 c.c., è consentito al proprietario la possibilità di provare che la rovina non è imputabile a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione al fine di evitare che la proprietà tout court generi sempre la responsabilità, qualunque sia l'evento che della proprietà abbia coinvolto l'oggetto. Benché la norma non ne faccia menzione, ai fini dell'esonero del proprietario dalla responsabilità è consentita anche la prova del caso fortuito, ovvero di un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, ivi compreso il fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Tale esimente, si pone sul medesimo piano ed in rapporto di alternatività con quella speciale prevista dall'art. 2053 c.c., potendo, quindi, configurarsi il caso fortuito tanto in negativo, quale assenza del difetto di costruzione o manutenzione, quanto in positivo, quale evento imprevedibile ed inevitabile, dotato di una sua propria ed esclusiva autonomia causale. Il fortuito esclude la responsabilità del proprietario poiché esso incide sul nesso causale. Come poc'anzi evidenziato, l'interruzione del nesso di causalità può anche essere l'effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito. Corollario di tale principio è la regola posta dall'art. 1227, comma 1, c.c., nel quale il riferimento alla colpa del danneggiato non è criterio di imputazione del fatto al colpevole (espressione di un principio di autoresponsabilità del danneggiato), bensì requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato. In altri termini, l'art. 1227, comma 1, c.c., nonostante la rubrica dell'articolo, non è tanto norma sul "concorso colposo", quanto piuttosto sul contributo causale del danneggiato. La colpa sussiste non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore-danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche nella violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica. Se tanto avviene in caso di concorso del comportamento colposo del danneggiato nella produzione del danno, tenuto conto di quanto sopra esposto su detto istituto, per eguale ragione il comportamento commissivo o omissivo colposo del danneggiato, che sia sufficiente da solo a determinare l'evento, esclude il rapporto di causalità delle cause precedenti. Non sussiste, d'altra parte, incompatibilità tra la responsabilità oggettiva del proprietario di edificio per il danno causato dalla rovina (anche parziale dello stesso) ed il concorso del fatto colposo del danneggiato. Ove infatti il danno abbia la sua eziologia nella rovina dell'edificio, (non essendo stata provata l'inesistenza né del difetto di manutenzione né del vizio di costruzione) e nel comportamento colposo del danneggiato, con accertamento di esclusiva competenza del giudice di merito, correttamente il giudice dovrà ritenere che nella produzione dell'evento abbiano concorso le due cause e, conseguentemente, ridurre il risarcimento, secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate (in tali termini Cass. n. 1002/2010). In senso analogo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la responsabilità oggettiva, posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento per rovina di edificio (o di altra costruzione) ai sensi dell'art. 2053 c.c., può essere esclusa soltanto dalla dimostrazione che i danni causati dalla rovina dell'edificio non siano riconducibili a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma rilevante come caso fortuito, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenti i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità (Cass. n. 9694/2020). Sulla scorta di tali principi, la pronuncia in commento ha escluso la responsabilità del proprietario del capannone dal quale si è propagato l'incendio giacché tale avvenimento esula dalla struttura dell'art. 2053 c.c., in quanto estraneo rispetto agli elementi strutturali della costruzione. |