Indebita compensazione di crediti inesistenti e non spettanti: differente regime dei termini per l’azione di accertamento e delle sanzioni applicabili

30 Gennaio 2024

Le sentenze in commento affrontano la medesima questione di fondo in tema di indebita compensazione di crediti di imposta, perché inesistenti o non spettanti (ovvero non compensabili), in relazione ai differenti profili del termine di accertamento e delle sanzioni.

Massima

«In tema di compensazione di crediti o eccedenze d'imposta da parte del contribuente, all'azione di accertamento dell'erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all'art. 27, comma 16, d.l. n. 185/2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza - alla luce anche dell'art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471/1997, come modificato dal d.lgs. n. 158/2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l'inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600/1973 e all'art. 54-bis d.P.R. n. 633/1972; ove sussista il primo requisito ma l'inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l'attività di accertamento. In tal caso è applicabile la sanzione di cui all'art. 27, comma 18, d.l. n. 185/2008, vigente ratione temporis, ovvero, se più favorevole, quella prevista dall'art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471/1997 quando il credito utilizzato è inesistente, ove ricorrano tutte le suindicate condizioni previste dall'art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471/1997, come modificato dal d.lgs. n. 158/2015; laddove, invece, l'inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600/1973 e all'art. 54-bis d.P.R. n. 633/1972, ma in sede di controllo formale o automatizzato, si applicano le sanzioni previste dall'art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471/1997 ovvero dall'art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471/1997 come modificato dal d.lgs. n. 158/2015 qualora ratione temporis applicabile».

  

Il caso

Nel primo caso, posto all'attenzione e risolto da Sez. Un., 11 dicembre 2023, n. 34419, la ricorrente società ha impugnato l'avviso di accertamento emesso in relazione all'indicazione di crediti di imposta per acquisto, di macchinari per stampa in rotativa, in realtà utilizzati non solo per la destinazione formale prevista per il credito di imposta (prodotti editoriali in lingua italiana, ai sensi dell'art. 8, comma 2, lett. a), l. 7 marzo 2001, n. 62), ma anche per altri prodotti editoriali.

L'impugnazione era stata rigettata dalle Corti tributarie di merito per l'utilizzo promiscuo dei macchinari acquistati.

Tra i motivi di ricorso la società ricorrente ha eccepito la decadenza della potestà accertativa dell'amministrazione finanziaria, trattandosi di ripresa per il 2006.

Nel secondo caso, oggetto di Sez. Un., 11 dicembre 2023, n. 34452,  Il ricorrente ha impugnato l'avviso di accertamento emesso per il recupero di  di crediti di imposta indebitamente compensati da una società per le annualità 2014, 2015, 2016 e 2017. L'azione di recupero dell'amministrazione finanziaria traeva origine dal processo verbale di verifica per i crediti d'imposta spettanti in relazione agli investimenti per aree svantaggiate ai sensi della legge n. 296 del 2006, effettuati nelle annualità 2007, 2008 e 2009, per i quali era stato concesso nulla osta dal 2014, già indebitamente compensati nel 2010 (e, in parte, nel 2014), e nuovamente riutilizzati, in compensazione, negli anni successivi (dal 2014 al 2017).

Entrambi i Collegi rimettenti hanno ravvisato un contrasto interpretativo interno alla Sezione Tributaria sulla distinzione tra crediti d'imposta inesistenti e crediti d'imposta non spettanti, nella specie rilevante ai fini della misura delle sanzioni applicabili ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, come modificato dall'art. 15 d.lgs. n. 158 del 24 settembre 2015, e del diverso regime (dei termini) di accertamento e sanzionatorio tributario, richiamando l'esigenza di un più armonico intervento chiarificatore sulla nozione stessa di credito inesistente e sulla sua differenziazione rispetto al credito non spettante, al fine della individuazione del regime normativo applicabile in tali casi.

La questione

Le questioni (unicità o pluralità dei termini di accertamento e del regime delle sanzioni) poste hanno come tratto comune l'individuazione della nozione di “inesistenza” del credito indicato in compensazione o in eccedenza d'imposta dal contribuente, i suoi presupposti costitutivi e requisiti, alla luce anche dell'art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471/1997, come modificato dal d.lgs. n. 158/2015, e la sua equipollenza o differenza rispetto al concetto di “non spettanza” (o non compensabilità) del credito, da cui discende la chiave solutiva del termine decadenziale per l'azione di accertamento dell'erario (quesito risolto dalla prima sentenza in commento) e del regime sanzionatorio applicabile ratione temporis, previsto dall'art. 27, comma 18, d.l. n. 185/2008, ovvero, se più favorevole, dall'art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471/1997 (quesito affrontato e risolto dalla seconda sentenza in commento).

Il contrasto giurisprudenziale segnalato attiene alla questione di fondo della equiparabilità delle due fattispecie di inesistenza e non spettanza dei crediti indicati in compensazione, riverberandosi la soluzione della differenziazione e  corretta individuazione dei relativi concetti sulla individuazione dei regimi normativi applicabili.

Secondo un primo più remoto orientamento, ritenuto maggioritario dai Collegi di legittimità rimettenti, le nozioni di “credito inesistente” e “credito non spettante” sarebbero equiparabili, non sussistendo alcuna differenza logica o concettuale tra i due termini.

In particolare, si è affermato che «l'art. 27, comma 16, d.l. 185/2008, conv. l. 2/2009, non intende elevare l'inesistenza" del credito a categoria distinta dalla "non spettanza" (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico giuridico), ma intende solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche, talora complesse, riguardanti l'investimento generatore del credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 d.P.R. n. 600/1973 per il comune avviso di accertamento». Ne consegue che, «ogniqualvolta il credito derivante dall'operato investimento non sussiste, per ciò solo deve ritenersi inesistente nel senso precisato dalla norma» (Cass., Sez. trib., 21 aprile 2017, n. 10112; Cass. sez. trib., 2 agosto 2017, n. 19237; Cass. Sez. 5, 30 ottobre 2020, n. 24093; Cass. Sez. 5, 13 gennaio 2021, n. 354; Cass. Sez. 5, 5 novembre 2021, n. 31859; cui, da ultimo, ha aderito l'ordinanza Sez. 5, 29 agosto 2022, n. 25436).

In dissenso a questa interpretazione si sono poste le sentenze “gemelle ” Sez. 5, 16 novembre 2021, n. 34443, n. 34444 e n. 34445, poi più di recente ribadite da Sez. 5, 20 febbraio 2023, n. 5243.

In tali arresti (nella specie, le sentenze n. 34444 e n. 34445 del 2021), la S.C., dopo aver rilevato che la nozione di credito inesistente è stata positivamente dettata con «il "nuovo" art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997, come introdotto dall'art. 15 del d.lgs. n. 158/2015», conclude nel senso di ritenere che il precedente orientamento «vada necessariamente superat[o] anche per effetto della citata novella, non tanto e non già perché quest'ultima sia direttamente applicabile alla fattispecie, ratíone temporis, bensì perché nella stessa definizione positiva di "credito inesistente" può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell'originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d'imposta indebitamente utilizzati».

Tale secondo orientamento fa leva sulla interpretazione letterale e sulle differenze lessicali delle citate norme, succedutesi nel tempo: l'art. 27, comma 16, d.l. n. 185/2008, ha ad oggetto «la sola "riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241", mentre la «novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestualmente abrogato art. 27, comma 18, d.l. cit. (...) e mira quindi a specificare il contenuto del precetto originario, così ancorando la nozione di "credito inesistente" ad una dimensione "non reale" o "non vera", ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza».

La soluzione della questione di fondo, come si vedrà,  orienta le difformi conclusioni degli orientamenti in contrasto.

Le soluzioni giuridiche

Credito inesistente” e “non spettante”: definizione e differenze strutturali

Nelle due sentenze in commento le Sezioni Unite civili esaminano le differenti nozioni e caratteri di “credito inesistente” e “non spettante”, gli elementi distintivi tra tali fattispecie, tale da indirizzare l'interprete in ragione dei presupposti che condizionano l'applicabilità delle norme di riferimento, nei due diversi casi, alla individuazione del corretto regime giuridico in tema di termini di accertamento e sanzioni.

Il dato normativo, secondo le Sezioni unite indica una chiara differenza tra le due nozioni

L'art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471/1997, come modificato dall'art. 15, d.lgs. n. 158/2015, ha fornito, per la prima volta, una esplicita definizione positiva di credito inesistente («Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633»).

Accanto a tale definizione, il legislatore, al comma 4 dell'art. 13 cit., parimenti modificato dalla novella del 2015, ha fornito una autonoma definizione della nozione di credito non spettante, individuato con la locuzione «utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti».

Le due categorie, dunque, appaiono strutturalmente distinte e, sul piano logico, alternative: il credito è inesistente, oppure esiste ma è non spettante, quasi come se fosse giuridicamente inesistente.

In tal senso, le Sezioni unite ipotizzano, in via generale, ai fini della determinazione dell'inesistenza del credito, le ipotesi di più comune verificazione:

“a) la fattispecie che fonda l'agevolazione o il credito d'imposta non è mai venuta ad esistenza ma, semplicemente, è stato solo realizzato un simulacro dei presupposti su cui si fonda la pretesa”, tale da presupporre la “normale connotazione fraudolenta della condotta, mirata a fornire solo un'ingannevole rappresentazione dei presupposti di fatto e normativi”, quale attività fittizie riferibili a spese mai sostenute dal contribuente dichiarante; ad essa vanno aggiunti i casi dei crediti Iva generati da operazioni soggettivamente od oggettivamente inesistenti, in quanto assimilabili a quelli oggetto di condotta fraudolenta.

Rispetto a tale prima tipologia di crediti “radicalmente inesistenti” non viene immediatamente in rilievo il possibile indebito utilizzo, profilo che è subordinato alla verifica della effettiva inesistenza delle operazioni che li generano.

Le Sezioni Unite, poi, individuano una seconda fattispecie, caratterizzata dalla carenza di un elemento costitutivo o qualificante il credito di imposta. Per tali casi, secondo le Sezioni unite, “la verifica richiede l'esegesi puntuale delle norme che istituiscono l'agevolazione, tenuto conto dei principi regolatori della specifica imposta.“

Analizzano, dunque, in via sistematica la varietà di tipologie di crediti d'imposta, al fine di ancorare a parametri strutturali, di carattere generale, l'esistenza di un credito di imposta, ossia indicare quali siano gli elementi idonei ad assumere natura costitutiva e quali, invece, abbiano carattere accessorio o riguardino la sola efficacia della pretesa.

Nella specie:

- un primo carattere strutturale è costituito dalla “istanza del contribuente”, requisito costitutivo talvolta richiesto dalla legge ai fini del riconoscimento di un beneficio o di un contributo di imposta (la presentazione di un'apposita dichiarazione, autonoma o confluente nella dichiarazione annuale, come, ad esempio, il credito d'imposta per l'attività di ricerca ex art. 14 d.m. n. 593/2000, che va indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel corso ovvero quello previsto per le agevolazioni per l'acquisto della prima casa ex art. 1, nota II bis, della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986);

- inoltre, requisito costitutivo può assumere “la previsione di obblighi di facere e/o di non facere, talvolta connotati da attività formali, talvolta da adempimenti sostanziali da parte del destinatario della posizione soggettiva. Si tratta, in definitiva, di forme espressive e sintomatiche dell'interesse a fruire della agevolazione del credito (si pensi, ad esempio, ai  benefici fiscali relativi alla cd. "prima casa", in cui  l'acquirente è tenuto, ai sensi dall'art. 1, nota II bis, comma 1, lett. a), della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, a trasferire – al di là dell'ipotesi riconnessa all'attività lavorativa esercitata – la propria residenza entro i diciotto mesi dall'acquisto nel comune ove è ubicato l'immobile; ovvero, ai sensi dell'l'art. 33, comma 3, l. n. 388/2000, per l'agevolazione prevista per il trasferimento di terreni edificabili, che postula un facere da parte dell'acquirente, che, in attuazione degli strumenti urbanistici, entro i cinque anni successivi deve procedere all'edificazione; ovvero ancora, la complessa disciplina sul credito per gli investimenti nelle aree svantaggiate ex art. 8 l. n. 388/2000: che, ai sensi dell'art. 62, comma 1, lett. f) e g), della l. n. 289/2002, stabilisce che la fruizione del beneficio è consentita entro il secondo anno successivo a quello di presentazione di autonoma istanza, imponendo di «materialmente adibire il bene oggetto dell'investimento alla funzione produttiva sua propria entro due anni da quando lo stesso si è reso disponibile all'impresa»; ed infine, come nel caso oggetto della pronuncia, di richiesta di agevolazione di cui all'art. 8, comma 2, lett. a), legge 7 marzo 2001, n. 62, per « investimenti per i quali è previsto il credito di imposta di cui al comma 1 (che) hanno ad oggetto: a) beni strumentali nuovi, ad esclusione degli immobili, destinati esclusivamente alla produzione dei seguenti prodotti editoriali in lingua italiana: giornali, riviste e periodici, libri e simili, nonché prodotti editoriali multimediali»);

- in terzo luogo, elemento strutturale può essere la previsione della indicazione di termini finali e di condizioni risolutive per la fruizione del credito d'imposta, che funge da elemento  integrativo  della presentazione dell'istanza da parte del contribuente. È il caso del credito di imposta per il trasporto merci di cui al d.l. n. 265/2000, che deve essere esercitato, ai sensi dell'art. 4, comma 3, d.P.R. n. 277/2000, entro l'anno solare in cui è sorto, attraverso la compensazione prevista dall'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997, salva la possibilità, in caso di eccedenza, di chiedere il rimborso entro i sei mesi successivi a tale anno.

Le Sezioni Unite, di contro, escludono che sia idonea ad incidere, ai fini della perfezione della fattispecie costitutiva, l'inosservanza di meri adempimenti procedurali di carattere strumentale o accessorio o la previsione di soglie o limiti di valore, che postulano l'esistenza del credito nella sua integrità, ma ne limitano la efficacia nei confronti dell'erario (in caso di credito Iva, al più dovrà tenersi conto della armonizzazione del tributo, che può essere assolto da diverso soggetto debitore in relazione alle operazioni imponibili).

Da tale disamina le Sezioni Unite derivano che “la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante ha, innanzitutto, carattere strutturale e trae il suo fondamento logico giuridico dal complessivo sistema ordinamentale tributario: l'una (“l'inesistenza”) ha un valore obbiettivo, mentre l'altra (la “non spettanza”) ha un carattere dinamico ancorato al presupposto, antitetico, dell'esistenza del credito.

L'opzione ermeneutica per la distinzione e non equiparabilità delle ipotesi di inesistenza e non spettanza del credito, come emergente dal dato normativo sopra analizzato, ha portato le Sezioni Unite, in un tratto motivazionale comune alle due pronunce in esame, a privilegiare il secondo e più recente approccio interpretativo tra quelli in contrasto. Da tale soluzione deriva la differenziazione dei regimi giuridici applicabili, in tema di termini di accertamento e di sanzioni, ai due diversi tipi di crediti oggetto di indebita compensazione.

Le soluzioni, come detto, traggono spunto dall'esegesi dei testi normativi, che già contemplano la differenza strutturale e concettuale tra crediti inesistenti e crediti non spettanti.

Con il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, per la prima volta, era emersa, sul piano positivo, l'esistenza di una dicotomia tra le due categorie concettuali. L'art. 35 del d.l. n. 223/2006 ha, infatti, introdotto l'art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000, che ha sancito l'illiceità penale della condotta di colui che «non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o inesistenti». Ai fini della illiceità penale, la distinzione, pur positivamente affermata, non comportava, tuttavia, diversità di disciplina poiché entrambe le condotte (alternative nella formulazione del precetto) restavano soggette al medesimo regime sanzionatorio.

Al contempo, sul piano della disciplina tributaria, l'art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dall'art. 15, d.lgs. 24/09/2015 n. 158, ha fornito, per la prima volta, una esplicita definizione positiva di credito inesistenteSi intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633»).

Accanto a tale definizione, il legislatore, al comma 4 dell'art. 13 cit., nel testo modificato dalla novella del 2015, ha fornito una autonoma definizione della nozione di credito non spettante, individuato con la locuzione «utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti».

La differente definizione normativa fotografa i tratti distintivi strutturali e funzionali delle due ipotesi.

Il regime giuridico applicabile dei crediti indicati in compensazione: il più ampio termine per l'accertamento dei crediti inesistenti (art. 27, comma 16, d. l. n. 185/2018)

Con il d.l. n. 185 del 2008 il legislatore, limitatamente all'ambito tributario, ha posto l'attenzione sulla necessità di differenziazione del regime giuridico dei termini di accertamento nelle due ipotesi.

In particolare, l'art. 27, commi da 16 a 18, nel testo ratione temporis vigente ha previsto (comma 16) che, in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del c.p.p. per il reato previsto dall'art.10-quater, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l'atto di cui all'art. 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17, d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.

Ai fini delle sanzioni (comma 18), l'utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi.

L'impianto normativo è rimasto sostanzialmente inalterato nella sua struttura anche dopo l'intervento del d lgs. n. 158 del 2015.

L'art. 15 del d.lgs. n. 158/2015 ha lasciato inalterato il comma 16 (e il comma 17, che disciplinava il regime intertemporale) dell'art. 27 cit. e ha disposto l'abrogazione del comma 18 (con decorrenza dal 1° gennaio 2016 ex art. 32, comma 2, d.lgs. n. 158 del 2015), contestualmente, introducendo, in sua sostituzione, i nuovi commi 4 e 5 dell'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997.

In particolare, la novella del 2015 ha introdotto un nuovo regime sanzionatorio, distinguendo le ipotesi di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti (comma 4) da quello di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute per il quale resta in vigore il pregresso regime sanzionatorio (comma 5). Il legislatore, a tal fine, ha dato una esplicita definizione di “credito inesistente”, in cui  “manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo” e che, per tale motivo, “non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”, e, dunque, sia verificabile solo all'esito di attività di verifica endoprocedimentale e non mediante verifica della dichiarazione formale o “a tavolino”.

In modo speculare, il nuovo regime sanzionatorio  ha interessato anche il precetto penale, differenziando il regime edittale previsto per le due ipotesi.

L'art. 9 d.lgs. n. 158/2015 novella l'art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000, nel nuovo testo (in vigore dal 22 ottobre 2015), ha previsto, infatti, la pena della reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro (comma 1). Ciò a fronte della più grave pena edittale della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni per chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.»

Il più severo regime giuridico previsto dall'art. 27, commi 16-20, per i termini di accertamento e per le sanzioni pecuniarie tributarie, e dal nuovo testo dell'art. 10-quater d. lgs. n. 74/2000, per le sanzioni penali nel caso di compensazione di crediti inesistenti è giustificato dal fatto che le condotte a tal fine rilevanti sono caratterizzate da profili abusivi, occulti o fraudolenti, che, in quanto tali, sono rilevabili solamente attraverso riscontri di coerenza contabile del modello di versamento e non meramente cartolari poiché non emergenti dalle dichiarazioni presentate (o da esse falsamente emergenti) o dal mero raffronto con i relativi modelli di versamento.

Ne è derivata, nel caso di specie in cui la società contribuente ha indicato in compensazione crediti per investimenti oggetto del beneficio di cui all'art. 8, comma 2, lett. a), legge 7 marzo 2001, n. 62, la ritenuta applicabilità del più ampio termine di accertamento di otto anni, imponendo la norma, quale elemento costitutivo del credito, l'obbligo di non impiegare i beni acquistati per la stampa in lingue diverse dall'italiano, in vista dell'obbiettivo di incrementare l'attività editoriale nella lingua nazionale. La esclusività della destinazione dei macchinari di stampa oggetto di investimenti in credito di imposta, secondo le Sezioni Unite, si riferisce all'impiego effettivo dei beni per tale finalità, la cui persistenza va necessariamente ancorata alla durata del periodo per cui è concesso il beneficio, ossia, come specificato dal comma 1 della norma, per il «periodo d'imposta in cui l'investimento è effettuato ed in ciascuno dei quattro periodi di imposta successivi».

Tali crediti sono da ritenersi, per definizione, inesistenti all'atto del loro utilizzo in compensazione, perché estinti, per la decadenza dall'agevolazione, verificatasi nel 2006.

Il diverso regime delle sanzioni applicabili nei casi di indicazione in compensazione di crediti inesistenti o non spettanti

Il contrasto tra i due orientamenti, in relazione all'impianto delle sanzioni, dalla complessiva ricostruzione del quadro normativo sopra analizzato, viene risolto dalle Sezioni Unite (Sez. UU., 11 dicembre 2023, n. 34454) ancora una volta privilegiando l'orientamento che ritiene che la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, positivizzata dal legislatore, legittimi una diversa disciplina sanzionatoria tributaria.

Le Sezioni Unite segnalano, che, era già emerso, in tema di trattamento sanzionatorio, in giurisprudenza un orientamento che riteneva che la condotta di indebita compensazione dei crediti – senza, però, distinguere tra le diverse ipotesi - fosse soggetta alla sanzione di cui all'art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471/1997, poiché l'indebita compensazione comportava un minor versamento delle imposte dovute (pari a quelle illegittimamente compensate) e, quindi, si traduceva in una ipotesi di omesso versamento d'imposta (ex multis, Cass.,Sez. 5, 15 aprile 2011, n. 8681; Sez. 5, 4 aprile 2018, n. 8247).

Come visto, l'art. 15 del d.lgs. n. 158/2015 ha lasciato inalterato il  comma 16 (e il comma 17, che disciplina il regime intertemporale) dell'art. 27 d.l. n. 185/2008 cit., disponendo però l'abrogazione del comma 18 (con decorrenza dal 1° gennaio 2016 ex art. 32, comma 2, d.lgs. n. 158/2015) e, contestualmente, introducendo in sostituzione i nuovi commi 4 e 5 dell'art. 13 d.lgs. n. 471/1997.

Con siffatta modifica normativa è stato previsto un nuovo regime sanzionatorio, che differenzia i casi  di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta - esistenti - in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti (comma 4), per i quali si applica una sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato, da quelli di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute, per i quali resta in vigore la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Il legislatore fornisce, inoltre, una espressa definizione di “credito inesistente”, sopra citata, che esprime una dimensione non reale o non veritiera del credito, in quanto frutto di condotta artificiosa, in sintonia con le modifiche apportate dall'art. 15 del d. lgs. n. 158/2015) all'art. 13, comma 5, d. lgs. n. 471/1997.

Ne è derivata, nel caso di specie in cui la società contribuente ha indicato in compensazione per diverse annualità crediti di imposta già utilizzati in precedenti dichiarazioni, tali da ritenersi inesistenti all'atto delle successive indicazioni, che l'operazione ha realizzato una compensazione indebita, sussumibile, sotto il profilo delle sanzioni tributarie applicabili, nell'art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471/1997 fino al 2015 e, a decorrere dal 1° gennaio 2016, che ha introdotto la suindicata più grave previsione sanzionatoria.

Osservazioni

Con le sentenze in commento le Sezioni Unite ricostruiscono, attraverso l'esegesi del dato normativo, le differenze strutturali tra “crediti inesistenti” e “non spettanti”, ai fini della indebita indicazione in compensazione, derivando da tale nucleo motivatorio comune, le soluzioni ai contrasti giurisprudenziali segnalati in tema di individuazione dei termini di accertamento e di disciplina sanzionatoria tributaria applicabili alle due distinte fattispecie.

Come affermato nelle due pronunce, l'impianto normativo complessivo differenzia i casi, costituenti violazione più grave) in cui la compensazione riguarda “crediti connotati da una condizione di inesistenza qualificata – assenza di elementi costitutivi - dalla non verificabilità in sede di controllo formale”, da quelli relativi alla insussistenza di caratteri formali (compensabilità, quale manifestazione della non spettanza) dei crediti utilizzati.

In concreto, le Sezioni Unite individuano la ratio dei differenti regimi normativi, ossia della previsione di un più ampio termine di accertamento e di sanzioni più gravi per i crediti inesistenti, nella fraudolenza e artificiosità dei crediti, “all'uopo creati” dal contribuente ai fini della compensazione, e dalla inapplicabilità in concreto di una mera verifica formale della dichiarazione ei crediti utilizzati in compensazione.

Deve evidenziarsi che, nella formulazione del principio che definisce nei suoi caratteri strutturali i “crediti inesistenti”, in contrapposizione ai crediti “non spettanti”, ai requisiti tratti dalla definizione normativa introdotta dall'art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471/1992,  come modificato dal d.lgs. n. 158/2015 (il credito è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo) le Sezioni unite richiamano il requisito aggiuntivo, pure previsto dalla stessa norma, che l'inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati o formali (“di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”) che deve necessariamente sussistere unitamente al primo.

Si individua, quindi, in via residuale la categoria dei crediti “non spettanti”, che si realizza “se manca (anche solo) uno di tali requisiti”.

Allo stesso modo, per il regime sanzionatorio penale ove il precetto distingue, con differente regime edittale, tra le due diverse condotte, previste ai commi 1 e 2 della nuova formulazione dell'art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000.

Osservano, in conclusione, le Sezioni Unite come “la definizione di crediti inesistenti e crediti non spettanti debba intendersi senza soluzione di continuità - rientrando nella nozione della prima quali elementi costitutivi entrambi i requisiti ora esplicitamente previsti dall'art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471/1997 e già inclusi nell'art. 27, comma 16, d.l. n. 185/2008 ed assumendo rilevanza residuale quella di cui all'art. 13, comma 4 – e unitaria tra ambito penale e tributario.

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