Anche quando lo stato è locatore la protrazione dl rapporto, per le scadenze successive alla prima, deriva direttamente dalla legge

02 Febbraio 2024

Con l’ordinanza in commento, il Supremo Collegio, richiamando la giurisprudenza in cui la P.A. è parte del contratto quale conduttrice - ipotesi di gran lunga più frequente nella pratica - ma con argomentazioni di fondo valide anche per il caso opposto (come quello di specie) in cui la P.A. assume nel rapporto la posizione di locatrice, ha cassato la sentenza impugnata la quale, in ragione della natura pubblica dell'Ente locatore, aveva escluso la rinnovazione automatica del contratto di locazione, ed ha dichiarato la nullità, per contrasto a norma imperativa, della clausola del contratto di locazione ad uso non abitativo inter partes, che prevedeva l'obbligo per la parte privata di restituzione dell'immobile alla scadenza dei nove anni.

Massima

Ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se stipulati dallo Stato o da altri Enti pubblici territoriali in qualità di locatori, è applicabile la disciplina dettata dagli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978, in quanto, in base a tali norme, a differenza dell'ipotesi regolata dall'art. 1597 c.c., la protrazione del rapporto, anche alle scadenze successive alla prima, non costituisce l'effetto di una tacita manifestazione di volontà - successiva alla stipulazione del contratto e presunta in virtù di un comportamento concludente - ma deriva direttamente dalla legge; ne consegue che il contratto dovrà intendersi automaticamente rinnovato in mancanza di tempestiva disdetta, la quale, inoltre, alla prima scadenza, potrà ritenersi idonea ad impedire la rinnovazione solo se esercitata per uno dei motivi di cui all'art. 29 con le modalità ed i termini ivi previsti.

Il caso

La causa, giunta all'esame dei giudici di legittimità, traeva origine da una domanda, proposta da un locatore (Stato/Ente pubblico) nei confronti di un conduttore, volta alla condanna di quest'ultimo al risarcimento del danno, da mancata tempestiva riconsegna del compendio immobiliare, dato in comodato dal primo al secondo.

Tale domanda era stata accolta dal giudice adìto, con sentenza confermata in sede di gravame, ma la Cassazione, in accoglimento - per quanto di ragione - del ricorso proposto dal conduttore, aveva cassato la sentenza di appello, rinviando la causa al giudice di secondo grado affinché, esclusa la natura di comodato del contratto intercorso inter partes, valutasse quale era la disciplina ad esso applicabile, traendone le dovute conseguenze.

Pronunciando, dunque, in sede di rinvio, la Corte territoriale, inquadrato il contratto intercorso tra le parti nell'àmbito del contratto di locazione, aveva mantenuto ferma la condanna, a carico del conduttore, al pagamento di una determinata somma a titolo di risarcimento danni, ma aveva anche condannato il locatore al pagamento di una data somma a titolo di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale.

Per quel che qui rileva, il giudice distrettuale - premesso che la più corretta qualificazione del rapporto era da ritenere quella della locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo - aveva escluso, tuttavia, che, nella specie, da tale qualificazione, potesse conseguire la rinnovazione del contratto alla scadenza in applicazione degli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978, ritenendo a tanto ostare la natura pubblica dell'Ente concedente; e ciò in applicazione del principio secondo cui la volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l'atto scritto ad substantiam, sicchè, nei confronti della P.A. locatrice, non era configurabile il rinnovo tacito del contratto, né rilevava, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni.

Considerato anche l'ipotesi, fatta salva da quel principio, che la rinnovazione dell'originario contratto stipulato in forma scritta fosse prevista da apposita clausola, nella specie ciò era escluso dalla contraria previsione, prevista nel contratto inter partes , a tenore della quale “il comodatario che riceve immediatamente in consegna il bene oggetto del presente contratto, si impegna a restituirlo entro nove anni dalla data di stipula, prorogabile per altri nove anni con il consenso di entrambe le parti”.

Per l'annullamento di tale sentenza, il conduttore proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se fosse corretta, da parte del giudice di appello, la premessa del ragionamento - che aveva portato ad adottare le statuizioni di cui sopra - secondo la quale, nella specie, fosse da escludersi, per la natura pubblica in capo all'Ente locatore, l'applicabilità degli artt. 28 e 29 della l. n. 392/1978, in tema di rinnovazione del contratto di locazione ad uso diverso in mancanza di disdetta per uno dei motivi tassativamente indicati.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondato il primo motivo del ricorso, con conseguente assorbimento dei restanti.

Invero, secondo il consolidato indirizzo della magistratura di vertice, anche ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione stipulati dallo Stato o da altri Enti pubblici territoriali in qualità di conduttori di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978, è applicabile la disciplina dettata dagli artt. 28 e 29 in tema di rinnovazione che accorda al conduttore una tutela privilegiata in termini di durata del rapporto.

Invero, a differenza dell'ipotesi regolata dall'art. 1597 c.c., la protrazione del rapporto alla sua prima scadenza, in base alle richiamate norme della c.d. legge sull'equo canone, non costituisce l'effetto di una tacita manifestazione di volontà successiva alla stipulazione del contratto e che la legge presume in virtù di un comportamento concludente e, quindi, incompatibile con il principio secondo il quale la volontà della P.A. deve essere necessariamente manifestata in forma scritta, ma deriva direttamente dalla legge (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2023, n. 9759; Cass. civ., sez. III, 9 settembre 2022, n. 26620; Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2019, n. 34162; Cass. civ., sez. III, 3 settembre 2019, n. 21965; Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2017, n. 7040; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2016, n. 14367; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2007, n. 16321; Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2004, n. 14808; Cass. civ., sez. III, sez. un. 9 luglio 1997, n. 6227; Cass. civ., sez. III, 4 agosto 1994, n. 7246; Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1991, n. 12167).

Gli ermellini riconoscono che i summenzionati precedenti si riferiscono tutti ad ipotesi in cui la P.A. è parte del contratto quale conduttrice - “ipotesi comprensibilmente di gran lunga più frequente nella pratica” - ma le argomentazioni che ne stanno alla base sono certamente valide anche per il caso opposto, come nella specie in cui la P.A. venga ad assumere nel rapporto la posizione di locatrice, non ravvisandosi alcuna ragione logica o giuridica che a tale conclusione possa opporsi.

Peraltro - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - il suesposto principio non è in contrasto con quello affermato nelle decisioni richiamate in sentenza, circa i modi di formazione e manifestazione della volontà negoziale degli Enti pubblici e la loro incompatibilità con il meccanismo della rinnovazione tacita, nessuna di esse riferendosi all'ipotesi qui considerata di cui agli artt. 28 e 29 della legge c.d. sull'equo canone, ed essendo tale principio reso in tale ipotesi inconferente dal rilievo secondo cui la protrazione del rapporto alla sua prima scadenza in base alle richiamate norme della l. n. 392/1978 non costituisce l'effetto di una tacita manifestazione di volontà - successiva alla stipulazione del contratto e che la legge presume in virtù di un comportamento concludente e, quindi, incompatibile con il principio secondo il quale la volontà della P.A. deve essere necessariamente manifestata in forma scritta - ma deriva direttamente dalla legge.

Conclude il Supremo Collegio ritendo “nel giusto” la ricorrente quando rileva che a tanto nemmeno può ostare l'espressa previsione, in contratto, dell'impegno assunto dalla parte privata di restituire l'immobile “entro nove anni dalla data di stipula, prorogabile per altri nove anni con il consenso di entrambe le parti”, trattandosi di clausola in contrasto con norma imperativa di legge e come tale da ritenere nulla, con la conseguente automatica eterointegrazione del contratto ai sensi del comma 2 dell'art. 1419 c.c. (Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 2004, n. 20906; Cass. civ., sez. III, 25 novembre 2002, n. 16580; Cass. civ., sez. III, 19 aprile 1996, n. 3733).

Mette conto, d'altronde, rammentare che il principio richiamato, pur essendo testualmente riferito alla prima scadenza contrattuale (e alla corrispondente prima rinnovazione), debba ritenersi applicabile, allo stesso modo, anche alle scadenze successive alla prima, tenuto conto che lo stesso testo dell'art. 28 della l. n. 392/1978 - una volta ritenuto applicabile anche ai contratti di locazione conclusi dalle Pubbliche Amministrazioni - non giustifica alcuna ragionevole distinzione della prima rinnovazione automatica dalle successive, se non ai soli fini del diniego alla prima scadenza, esercitabile dal locatore esclusivamente per cause tassative (Cass. n. 6227/1997, cit.; Cass. n. 26620/2022, cit.).

Osservazioni

La pronuncia in commento ribadisce l'orientamento - oramai consolidato - espresso dalla Suprema Corte in materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, stipulati dallo Stato o da altri Enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, ai sensi dell'art. 42 della l. n. 392/1978 - ossia immobili adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali, scolastiche nonché a sedi di partiti e sindacati - sottolineando i principi vigenti ogniqualvolta la P.A. agisce iure privatorum (qui in àmbito locatizio).

A ben vedere, l'art. 42 della l. n. 392/1978 è una norma redatta con una formulazione non del tutto chiara, atteso che, al comma 2, stabilisce che, a tali contratti, aventi la durata (minima di sei anni) prevista dal comma 1 dell'art. 27, si applicano le disposizioni degli artt. 32 e 41, nonché le disposizioni processuali di cui al titolo I, capo III, ed “il preavviso per il rilascio di cui all'art. 28”.

In giurisprudenza, si era affermato (Cass. n. 14808/2004, cit.; Cass. n. 7246/1994, cit.) che anche i contratti di locazione di immobili destinati a “particolari attività” fossero soggetti, in virtù dell'espresso rinvio contenuto nell'ultimo comma dell'art. 42, al regime della tacita rinnovazione alla prima scadenza in mancanza di disdetta.

Tuttavia, se la questione della soggezione delle suddette locazioni al congegno del rinnovo in difetto di disdetta non sembrava suscitare soverchi dubbi, non altrettanto poteva dirsi per la diversa questione dell'applicabilità, in occasione della prima scadenza contrattuale, della peculiare disciplina del diniego di rinnovazione.

Secondo un primo indirizzo (di matrice dottrinale), il richiamo al “preavviso per il rilascio di cui all'art. 28” determinerebbe l'assoggettamento dei contratti di locazione di cui all'art. 42 all'intera disciplina dettata, in via generale, dalla legge quanto alla durata e al rinnovo, inclusa, quindi, anche quella del diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza.

Tale soluzione - già seguita da una parte della giurisprudenza di merito - è stata recepita anche da quella di legittimità, la quale aveva osservato che la volontà del legislatore di sottrarre le locazioni in parola all'obbligo della disdetta motivata alla prima scadenza avrebbe richiesto un richiamo, nell'art. 42, al solo comma 1 dell'art. 28 (Cass. n. 7246/1994, cit.; Cass. n. 12167/1991, cit.; Cass. n. 11756/1991, cit.).

Altra parte della dottrina (maggioritaria) aveva sostenuto, viceversa, che il richiamo contenuto nell'art. 42 dovrebbe inteso restrittivamente, nel senso che il locatore, alla prima scadenza contrattuale, ben potrebbe intimare disdetta pura e semplice (e non, quindi, motivata), senza far valere il proposito di impiegare l'immobile per una delle destinazioni individuate dall'art. 29.

A sostegno di detta soluzione, si era osservato che il legislatore, nel dettare la norma dell'art. 42, aveva mostrato di voler predisporre una tutela “minima” verso quei rapporti di locazione relativi ad immobili destinati allo svolgimento di attività che, sia per i soggetti che le pongono in essere, sia per le finalità in vista delle quali sono svolte, rivestivano particolare rilievo sociale; non senza sottolineare, tuttavia, che la tutela apprestata dalla disposizione fosse meramente formale, in quanto dal corpus della disciplina protezionistica risultavano espunte, riguardo alle locazioni di immobili destinati a particolari attività, proprio quelle norme (artt. 28, 34, 38, 39 e 40) che maggiormente avevano di mira l'interesse specifico del conduttore allo svolgimento continuato dell'attività nei medesimi locali.

E si è ancora evidenziato che il legislatore del 1978 avesse considerato i contratti de quibus, proprio in relazione alla durata, in maniera differenziata rispetto a quelli di cui all'art. 27: la l. n. 94/1982 aveva così avvertito la necessità di una norma espressa (art. 15-bis, ultimo comma) per estendere la proroga stabilita per gli altri contratti (ex art. 67); la legge n. 61/1989 aveva escluso, poi, gli stessi dal beneficio della sospensione, con norma (art. 7) che il giudice delle leggi aveva reputato costituzionalmente legittima.

Anche il Supremo Collegio (v., in particolare, Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1995, n. 12947), ponendosi in consapevole contrasto con le precedenti decisioni, era pervenuto al medesimo risultato interpretativo: si è rilevato che il comma 2 dell'art. 42 conteneva uno specifico richiamo al preavviso per il rilascio disciplinato dall'art. 28, il che impediva di ritenere che, per eventi di fondamentale importanza, quali erano durata e rinnovazione di una serie di locazioni comprendenti un'amplissima gamma di attività, anche di rilievo, il legislatore avesse inteso rinviare all'art. 28 con un semplice richiamo al preavviso di rilascio, disciplinato dal comma 1 della norma, tralasciando di menzionare la ben diversa ipotesi del diniego della rinnovazione alla prima scadenza contrattuale.

La questione era stata, quindi, rimessa per la composizione del contrasto alle Sezioni Unite, le quali, aderendo al primo dei summenzionati orientamenti, hanno optato per la soluzione estensiva (Cass. S.U. n. 6227/1997, cit.).

Trattasi di una soluzione che la dottrina ha sottoposto a severe critiche, ma la soluzione patrocinata dal supremo organo di nomofilachia può ritenersi, in seguito, definitivamente stabilizzata - ne sono espressione le sentenze puntualmente citate nella pronuncia in commento - nel senso, quindi, che, ai contratti di locazione contemplati dall'art. 42 della legge n. 392/1978, per effetto del richiamo operato dal comma 2 al “preavviso per il rilascio di cui all'art. 28”, debba applicarsi integralmente la disciplina della durata contemplata dall'art. 28, compresa, quindi, la parte concernente il diniego motivato di rinnovazione del contratto alla prima scadenza da parte del locatore.

Riferimenti

Celeste - Petrelli, Le locazioni a uso diverso dall’abitazione, Milano, 2023, 128;

Meale, I contratti attivi e passivi di acquisto o di locazione di immobili della P.A., in Giur. it., 2018, 1979;

Flammini, Contratto di locazione e Pubblica Amministrazione: il problema del rinnovo tacito, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 277;

De Tilla, Pubblica Amministrazione: scrittura ad substantiam e rinnovo tacito sono compatibili, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 7, 73;

Pomarico, Brevi note sulla giurisprudenza in tema di contratti di locazione nei quali è interessata la Pubblica Amministrazione, in Enti pubblici, 1996, 425;

Centofanti, Locazione ed acquisto di immobili di proprietà privata da parte delle Amministrazioni dello Stato, in Riv. amm., 1994, 83;

Annunziata, Obbligazioni pecuniarie degli Enti pubblici con riguardo al pagamento di canoni locatizi, in Arch. loc. e cond., 1986, 19;

De Cupis, Tutela giuridica del locatario nei confronti dell'Ente pubblico-locatore, in Giur. it., 1984, III, 418.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.