Regime impatriati anche con dichiarazione “ultratardiva”

16 Febbraio 2024

Al ricorrere dei presupposti di fatto per l’accesso al regime fiscale dei cd “lavoratori impatriati”, la norma agevolativa non prevede alcuna specifica decadenza in caso di presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione integrativa “ultratardiva”.

Massima

Costituisce principio generale dell'ordinamento quello secondo cui le pronunce dell'Amministrazione mediante circolari non sono produttive né di diritti né di dinieghi dei medesimi, se non nel quadro di norme di riferimento aventi forza di legge, in quanto solo una legislazione specifica può costituire a favore di un contribuente un diritto e porre simmetricamente una regola di decadenza da quel diritto medesimo. Così si è pronunciata la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 14 del 3 gennaio 2024.

Il caso 

Un contribuente presentava tempestivamente nel 2020 la dichiarazione dei redditi per l'anno d'imposta 2019 barrando l'apposito codice nel riquadro del Modello 730 riservato all'opzione per l'accesso al c.d. regime dei lavoratori impatriati (art. 16, d.lgs. 147/2015) nonché integrative a favore “ultratardive” per gli anni d'imposta 2018 e 2019 esercitando la medesima opzione. L'Agenzia emetteva, quindi, diniego parziale di rimborso motivato sulla base del paragrafo 6 della circolare 33/E 2020, secondo cui il termine ultimo per poter usufruire dell'agevolazione in dichiarazione coincide con la presentazione di una “correttiva nei termini” ovvero entro il termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria.

La questione

I presupposti. Il contribuente impugnava il diniego evidenziando, in fatto, di avere tutti i presupposti che la legge prevede per aderire al regime fiscale agevolato ovvero che:

  • il lavoratore non sia stato residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegni a permanere in Italia per almeno due anni;
  • l'attività lavorativa venga svolta presso un'impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa;
  • l'attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano;
  • il lavoratore rivesta ruoli direttivi ovvero sia in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze…

In diritto, poi, egli eccepiva che la norma de qua non fa nessuna menzione in merito alla tempestività della presentazione della dichiarazione, prevedendo quale unica ipotesi di decadenza dal beneficio la mancata residenza in Italia per almeno due periodi d'imposta.

La soluzione giuridica

La preclusione. I giudici di primo grado, decidendo per il rigetto del ricorso, osservavano come la circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020 specifichi che l'accesso al regime sia da considerarsi precluso nelle ipotesi in cui l'impatriato ne abbia dato evidenza nelle dichiarazioni dei redditi i cui termini di presentazione risultino scaduti. «Trattandosi di un regime opzionale, affermava a chiare lettere la Corte di primo grado, non è possibile presentare la dichiarazione dei redditi cd. “integrativa a favore” oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria». In tal senso, con riferimento al principio di emendabilità della dichiarazione, i giudici territoriali ricordavano l'orientamento di legittimità (tra le ultime Cass. Civ. n. 17042/20) secondo il quale la possibilità per il contribuente di far valere anche in sede contenziosa eventuali errori commessi nella dichiarazione non supera il principio affermato dalle sezioni unite della S.C. che limita tale facoltà solo in caso di emenda di dichiarazioni di scienza e non di volontà (cfr. Cass., 30 novembre 2018, n. 31052).

Ok al regime agevolato anche con dichiarazione “ultratardiva”. La pensano diversamente i giudici d'appello che hanno deciso di riformare la sentenza e, per l'effetto, annullare il diniego di rimborso emesso dall'Ufficio. La Corte lombarda ha osservato come le norme di riferimento, da cui derivava il possibile diritto di credito del contribuente, non prevedano una esplicita decadenza con particolare riferimento all'esercizio dell'opzione in una dichiarazione tardivamente presentata nonché, secondo i principi generali dell'ordinamento tributario, le pronunce dell'Amministrazione mediante circolari non sono produttive né di diritti né di dinieghi dei medesimi, se non nel quadro di norme di riferimento aventi forza di legge, in quanto solo una legislazione specifica può costituire a favore di un contribuente un diritto e simmetricamente può porre una regola di decadenza da quel diritto medesimo. In sostanza, l'applicazione di una regola decadenziale deve essere espressamente prevista da una norma di legge.

Osservazioni

Sulla rilevanza della natura della richiesta di rimborso. I giudici hanno ritenuto decisivo, anche ai fini della valutazione della rilevanza della natura della richiesta di rimborso, l'approdo a cui sono giunte le Sezioni Unite della Corte di cassazione (30 giugno 2016, n. 13378), distinguendo fra effetti della presentazione di dichiarazioni ultratardive o di omesse dichiarazioni ed estinzione dei diritti al rimborso o comunque all'ottenimento di somme a titolo di rimborso a cui il contribuente ha diritto. Partendo da tale assunto, la cui conseguenza è per la Corte l'applicazione dell'art. 38 d.P.R. 602/1973 - secondo cui il contribuente può chiedere il rimborso delle imposte dirette oggetto di versamento diretto, ossia eseguito direttamente dal contribuente in base alle imposte autoliquidate e dai sostituti d'imposta, mediante apposita istanza presentata in dichiarazione oppure separatamente dalla stessa, a pena di decadenza, entro 48 mesi dal versamento o da quando la ritenuta è stata effettuata – i giudici territoriali hanno ritenuto che tali circostanze ricorressero anche nel caso di specie  in quanto, peraltro, il rimborso di imposte versate in misura superiore al dovuto non è necessitato oggetto di una canonica domanda di rimborso (che pure il contribuente aveva effettuato) ma conseguenza immediata e diretta della sua posizione di creditore dell'Erario per gli importi riferibili a benefici o altre forme di creazione di un rapporto di credito. In assenza di ulteriori e più recenti elementi normativi, anche solo utilizzabili a fini interpretativi, è apparso necessario alla Corte lombarda svolgere azione ermeneutica rispettosa del diritto del contribuente, nella specie confidente fra l'altro nella volontà statuale di riconoscergli in cambio di una condotta anche personale un beneficio fiscale.

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