Oneri dell’intimato in caso di domanda riconvenzionale spiegata nella fase sommaria del procedimento di convalida
19 Febbraio 2024
Massima Nel procedimento per convalida di sfratto, la domanda riconvenzionale può essere proposta dall'intimato in seno alla comparsa di risposta della fase sommaria, senza necessità di chiedere lo spostamento dell'udienza ai sensi dell'art. 418 c.p.c., né, per il giudice, di concedere termini differenziati per le memorie integrative e fissare l'udienza, tenendo conto della possibilità del convenuto di proporre una nuova riconvenzionale. Il caso La fattispecie sostanziale, sottesa alla causa giunta all'esame del Supremo Collegio, registrava una Società, che era proprietaria di un immobile, concesso in locazione ad uso “salone di parrucchiere e piccola estetica”, asserendo che il conduttore si era reso moroso nel pagamento dei canoni. La locatrice aveva intimato al suddetto conduttore lo sfratto per morosità, convenendolo dinanzi al Tribunale per la convalida o, in subordine, in caso di opposizione, per sentir ordinare il rilascio ai sensi dell'art. 665 c.p.c., con fissazione del termine per l'esecuzione e conseguenti declaratorie ed emissione di ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e a scadere fino all'esecuzione dello sfratto. Il convenuto si era costituito in giudizio, deducendo l'inadempimento del locatore all'obbligo di consegnargli la documentazione di natura catastale ed edilizia necessaria per ottenere le dovute autorizzazioni amministrative, e rappresentando che - come desumibile dalla relazione del suo tecnico di parte - era emerso che l'immobile locato presentava evidenti difformità edilizie, consistenti nella suddivisione in due unità del locale originario avente due ingressi senza alcun titolo edilizio legittimante tale modifica, il che aveva impedito la presentazione della richiesta di autorizzazione edilizia e di parere igienico-sanitario per lo svolgimento dell'attività da esercitare nell'immobile in questione. In quest'ottica, l'intimato invocava il rigetto della domanda del locatore, non avendo mai usufruito del bene locato, e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni nonché alla restituzione del deposito cauzionale. Denegata l'ordinanza provvisoria di rilascio e disposto il mutamento del rito, il Tribunale aveva dichiarato risolto, per fatto e colpa della locatrice, il contratto di locazione in oggetto, condannando l'attrice, in accoglimento della spiegata riconvenzionale, a restituire al conduttore il deposito cauzionale, a suo tempo versato, oltre interessi legali, nonché al pagamento di una determinata somma, a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi legali dalla data della sentenza fino al saldo effettivo, oltre le spese di lite e di CTU. Avverso tale decisione, la Società aveva interposto appello, e la Corte territoriale, accogliendo parzialmente il gravame e in parziale riforma della sentenza impugnata, aveva condannato la locatrice al pagamento, in favore del conduttore, di una minor somma a titolo di risarcimento del danno, confermando nel resto. La locatrice proponeva, quindi, ricorso per cassazione. La questione Si trattava di verificare se il primo magistrato adìto - con operato avallato dal giudice distrettuale - avesse violato il disposto dell'art. 418 c.p.c., richiamato dall'art. 447-bis c.p.c., in particolare ritenendo ammissibile la domanda riconvenzionale spiegata dal conduttore, nonché reputando che tale domanda risultasse già formulata nella comparsa di costituzione e risposta e che, nella successiva memoria integrativa, lo stesso conduttore avesse solo specificato meglio tale domanda, sicché questi non aveva alcun onere di chiedere lo spostamento dell'udienza ex art. 418 c.p.c., essendo stata la controparte già edotta della sua pretesa. Le soluzioni giuridiche In buona sostanza, ad avviso della ricorrente, il conduttore, nella comparsa di costituzione e risposta, aveva accennato soltanto, in modo del tutto generico, ad una domanda riconvenzionale per danni, rappresentando egli stesso che avrebbe precisato tali danni in corso di causa, il che era avvenuto con la memoria integrativa, con la quale detti danni erano stati quantificati ed era stata articolata prova testimoniale e depositata ulteriore documentazione. I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale doglianza infondata. In proposito, si premette che, nel procedimento per convalida di sfratto, nel quale sia stata proposta opposizione, il momento di preclusione della proposizione della domanda riconvenzionale dell'intimato non si identifica con il deposito della comparsa di risposta di cui all'art. 660, comma 5, c.p.c., ma con il deposito della memoria integrativa successiva all'ordinanza ex art. 426 c.p.c., dispositiva della prosecuzione del giudizio secondo le regole della cognizione piena, conseguendone che tale riconvenzionale ben può essere proposta dall'intimato con tale memoria (Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2021, n. 17955; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2012, n. 3696; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006, n. 21242; Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2005, n. 13963). È pur vero che, qualora l'intimato formuli la domanda riconvenzionale ex novo nella memoria ex art. 426 c.p.c. a seguito del passaggio al rito locativo ai sensi dell'art. 667 c.p.c., è necessario che, in tal caso, l'intimato debba chiedere lo spostamento dell'udienza per gli effetti di cui all'art. 418 c.p.c. Tuttavia, si è pure chiarito che, nella procedura di rilascio dell'immobile locato, la necessità per il conduttore convenuto, che agisce in riconvenzionale, di chiedere - a pena di decadenza come sancisce l'art. 418 c.p.c. - la fissazione di una nuova udienza di discussione non sussiste nel caso in cui il giudizio sia iniziato con il rito ordinario (in quell'ipotesi, con citazione per convalida di licenza per finita locazione) e in esso sia stata proposta la domanda riconvenzionale, mentre solo successivamente sia stata disposta la trasformazione del rito ex art. 426 c.p.c., giacché l'udienza di discussione fissata ai sensi di quest'ultimo articolo consente di realizzare le esigenze, sottese alla richiesta del convenuto, volte ad assicurare la regolarità del contraddittorio e la possibilità per l'attore di svolgere le proprie difese (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2003, n. 2777). Gli ermellini danno atto che non si registrano precedenti specifici espressi, invece, in relazione al caso - come quello di specie - in cui la domanda riconvenzionale sia stata proposta fin nella fase sommaria, essendosi l'intimato costituito con difensore; si ritiene, però, che, in tale ipotesi, non sia in alcun modo necessario chiedere lo spostamento dell'udienza, né che, nel concedere i termini per le memorie integrative, il giudice della convalida debba non solo differenziarli, ma anche tenere conto, nel fissare l'udienza, della possibilità del convenuto di proporre una nuova riconvenzionale. In particolare, i magistrati del Palazzaccio rilevano che, nel caso all'esame, il confronto fra il tenore della comparsa di risposta della fase sommaria e quanto prospettato nella memoria integrativa - per la parte che qui interessa - rende pretestuoso l'assunto che, in tale memoria, sia stata proposta una riconvenzionale nuova; invero, quanto riportato in ricorso dalla stessa ricorrente sul punto evidenzia solo una precisazione dell'originaria riconvenzionale, tanto più giustificata passandosi dalla cognizione sommaria a quella piena. Osservazioni La pronuncia in commento analizza una delle possibili situazioni processuali - qui, sul versante dell'intimato - che si possono verificare nel procedimento di convalida di sfratto (per finita locazione o per morosità), segnatamente laddove, a seguito delle difese articolate dalla controparte, sorge la necessità di ampliare il thema decidendum. Va, in proposito, premesso che l'art. 667 c.p.c. dispone che, pronunciati i provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c. - segnatamente, concessione o rigetto dell'ordinanza di rilascio - il giudizio “prosegue” nelle forme del rito speciale, previa ordinanza di “mutamento di rito” ai sensi dell'art. 426 c.p.c. (tale previsione non ha subìto modifiche ad opera del d.lgs. n. 149/2022, c.d. riforma Cartabia). Quindi, l'ordinanza di mutamento del rito - che, nel caso del procedimento per convalida di sfratto, il giudice pronuncia a seguito dell'esaurimento della fase a cognizione sommaria - deve prevedere due distinti termini per il deposito di memorie difensive: entro il primo, l'attore-locatore potrà proporre domande ed istanze istruttorie, mentre, entro il secondo, il convenuto-conduttore potrà formulare eccezioni, domande riconvenzionali ed istanze istruttorie, restando fermo che l'ordinanza de qua deve indicare, altresì, la data per l'udienza ex art. 420 c.p.c. L'opposizione dell'intimato comporta, pertanto, che il giudice adìto non possa pronunciare l'ordinanza di convalida dell'intimata licenza o sfratto, dovendo il giudizio proseguire; a seguito della pronuncia dell'ordinanza di mutamento del rito, nelle forme del processo locatizio ai sensi dell'art. 447-bis c.p.c.; ne consegue che, con l'ordinanza di mutamento del rito, si chiude la fase caratterizzata dalla cognizione sommaria, e si apre la fase di merito, connotata dalla cognizione piena, ma seguendo le forme proprie del rito speciale. Al fine di delineare il contenuto delle memorie integrative ex art. 426 c.p.c., occorre determinare correttamente i rapporti tra la fase sommaria e la fase a cognizione piena, nel senso che tali memorie costituiscono gli atti preparatori alla trattazione, permettendo, per un verso, all'intimante l'allegazione di ulteriori difese - con deduzioni, istanze istruttorie e documenti - che non comportino modifica dell'oggetto del processo, e, per altro verso, all'intimato l'allegazione di ulteriori eccezioni o domande riconvenzionali che non possono ritenersi precluse dall'udienza di convalida nella precedente fase a cognizione sommaria. Orbene, la natura “prosecutoria” del giudizio instaurato con l'ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. è stata affermata dalla giurisprudenza di merito, tenuto conto che, dopo la riforma del 1990, nel nuovo rito locatizio, modellato su quello speciale del lavoro, per il combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c., le parti non possono proporre domande nuove dopo che il giudice ha disposto il mutamento del rito, in quanto, dopo tale adempimento, è consentito soltanto il deposito di memorie integrative, a pena di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, posto che la proposizione di domande nuove non è sanata neppure dall'accettazione del contraddittorio, con il solo limite della formazione del giudicato (Trib. Latina 2 aprile 2013; Trib. Nola 9 ottobre 2007; Trib. Modena 29 novembre 2006; Trib. Savona 26 novembre 2005; Trib. Roma 16 aprile 2004; Trib. Palermo 3 dicembre 2002; Trib. Foggia 22 aprile 2002). Pertanto, alla luce di orientamento pretorio, non potranno essere proposte nuove domande, ma soltanto modificare quelle già allegate nelle forme e termini previsti dall'art. 420, comma 1, c.p.c. (confermando così la distinzione tra emendatio libelli ammesso e mutatio libelli vietata). A ben vedere, i giudici di legittimità, nel corso degli anni, non sembrano aver assunto un orientamento univoco sullo specifico thema qui considerato. Infatti, in alcune pronunce, si è affermato che l'opposizione dell'intimato non coincide con l'instaurazione di un nuovo ed autonomo giudizio di cognizione, ma produce soltanto un mutamento nella struttura del procedimento, che continua a svolgersi davanti al medesimo giudice, non ponendosi più questioni di competenza per valore, in una nuova fase, quella di merito, che si concluderà con la pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato, o, in altri termini, che prosegue, con la cognizione ordinaria ma con rito speciale, quell'unico procedimento, iniziatosi con l'esercizio, da parte del locatore, di un'azione di condanna nella forma speciale della citazione per convalida (Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2003, n. 8411). In altre pronunce, si è rilevato, invece, che l'opposizione dell'intimato ex art. 665 c.p.c. determina, senza che occorra un provvedimento del giudice, la conclusione del procedimento di convalida, a carattere sommario, e l'instaurazione di un nuovo ed autonomo processo con rito e cognizione ordinari, in cui non si discute più di accoglimento o di rigetto della domanda di convalida, e che si conclude con la pronuncia di una normale sentenza di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato, se la domanda del locatore viene accolta, o di accertamento negativo del diritto al rilascio, se la domanda di accertamento viene, viceversa, rigettata. Ne consegue che, nel giudizio di merito, le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse con le rispettive posizioni e che, in particolare, il locatore può dedurre una nuova causa petendi e proporre anche una nuova domanda, non incidendo sullo stesso l'eventuale illegittima instaurazione del precedente giudizio sommario (Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1993, n. 7066; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1984, n. 3930; Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1981, n. 828). In particolare, si è chiarito che, nel procedimento per convalida di licenza o sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione del procedimento speciale in un processo di cognizione ordinaria, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., per cui, non essendo previsti - tanto meno a pena di inammissibilità - gli specifici contenuti degli atti introduttivi della fase di merito anche per quelli della fase sommaria, il thema decidendum risulta cristallizzato solo con la combinazione degli atti introduttivi della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 4771; Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2014, n. 26356). In questa prospettiva, l'attore originario può, con tali memorie, emendare le sue domande (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2008, n. 16635) o anche modificarle, soprattutto se in evidente dipendenza dalle difese di controparte (Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2013, n. 12247), ivi compresa, per il locatore, la possibilità di chiedere la risoluzione per inadempimento del conduttore per il mancato pagamento di canoni od oneri condominiali non considerati nel ricorso per convalida di sfratto, e, per il conduttore, la possibilità di dedurre nuove eccezioni e/o di spiegare domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2012, n. 3696, citata nella pronuncia in commento, precisando che l'intimato non ha l'onere di costituirsi in cancelleria, potendosi presentare all'udienza fissata per la convalida anche personalmente, ex art. 660, commi 5 e 6, c.p.c., e, con la memoria integrativa, può proporre domanda riconvenzionale unitamente alla domanda di fissazione di nuova udienza di discussione, ai sensi dell'art. 418 c.p.c.; cui adde Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356). Pertanto, è inammissibile qualsiasi modificazione che non sia stata operata ai sensi dell'art. 426 c.p.c., attraverso l'integrazione dell'atto introduttivo nel termine perentorio fissato dal giudice (Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2006, n. 23908), e tale inammissibilità non è sanata dall'accettazione del contraddittorio ed è sempre rilevabile d'ufficio (v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 13 luglio 1993, n. 7708). Da ultimo, i principi di cui sopra - questa volta sul versante dell'intimante - hanno trovato l'avallo dello stesso Supremo Collegio, il quale ha ribadito che, nel procedimento per convalida di (licenza o) sfratto, l'opposizione dell'intimato dà luogo alla trasformazione dello stesso in un processo di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme di cui all'art. 447-bis c.p.c., per cui, essendo previsti specifici contenuti degli atti introduttivi del giudizio, il thema decidendum risulta cristallizzato solo in virtù della combinazione degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c., potendo, pertanto, l'originario intimante, in occasione di tale incombente, non solo emendare le sue domande, ma anche modificarle, soprattutto se in dipendenza dalle difese svolte da controparte (Cass. civ, III, sez. III, 26 maggio 2023, n. 14779). Riferimenti Amendolagine, Commento all'art. 667 c.p.c., in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 998; Carrato, La domanda riconvenzionale nel procedimento per convalida di sfratto, in Immobili & diritto, 2009, fasc. 5, 53; Masoni, Convalida di sfratto e mutamento della domanda, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 2, 79; Di Marzio, Procedimento per convalida di sfratto, procuratore dell'intimato, comparsa di costituzione, in Immob. & proprietà, 2007, 102; Izzo, Convalida di sfratto e mutamento di rito: domanda riconvenzionale e domande nuove, in Giust. civ., 2006, I, 332; Salari, L'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ed il passaggio dalla fase sommaria a quella di merito, in Rass. loc. e cond., 2005, 20; Carrato, Spunti essenziali in tema di ammissibilità della domanda riconvenzionale nel giudizio locatizio e sulle condizioni di applicabilità dell'art. 666 c.p.c., in Rass. loc. e cond., 2005, 339; Mirenda, La condanna dell'intimato al pagamento delle spese giudiziali nel procedimento di convalida, in Rass. loc. e cond., 1995, 24; D'Ascola, Osservazioni in tema di domanda nuova, modificazione della domanda e procedimento per convalida di sfratto, in Giur. it., 1994, I, 2, 899; Frasca, Sull'ammissibilità dell'intervento ex art. 105 c.p.c. nel procedimento per convalida di sfratto, in difetto di opposizione dell'intimato, in Foro it., 1990, I, 2679. |