Malpractice medica: condannate tre strutture ospedaliere per unicita’ del fatto dannoso
20 Febbraio 2024
Massima E' riconosciuto il risarcimento per i danni non patrimoniali iure proprio in capo ai figli della persona amputata per la sofferenza patita e per lo stravolgimento del rapporto parentale conseguito alla intervenuta condizione di invalidità del congiunto, come tale bisognoso di costante supporto. Il caso Tizio unitamente ai figli Caio e Sempronio convenivano in lite gli istituti di cura privata e l'azienda socio sanitaria territoriale al fine di condannarli, in via solidale tra loro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patiti da Tizio in conseguenza della malpractice subita in occasione dell'intervento di correzione chirurgica per alluce valgo e metatarsalgia e dei negligenti successivi trattamenti terapeutici post-operatori disposti presso le strutture sanitarie convenute, in conseguenza dei quali subiva l'amputazione dell'avampiede sinistro, prima, e dell'arto inferiore destro poi. Nonostante l'iter diagnostico e terapeutico seguisse negli anni successivi, la parte attrice lamentava la negligenza del personale delle strutture sanitarie convenute nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie rese tra il 2016 e 2017. Chiedeva pertanto che fosse riconosciuta la responsabilità delle parti convenute e la condanna delle stesse al risarcimento dei danni tutti in favore degli stessi attori. L'attore Tizio ha avanzato domanda risarcitoria per danni non patrimoniali consistiti nella lesione della propria salute, accompagnata dalle ripercussioni sul piano morale e relazionale di tale nocumento. Pertanto ha chiesto liquidarsi il danno biologico permanente nonchè i danni patiti per l'inabilità temporanea accertata. Tizio ha, altresì, chiesto un aumento del risarcimento in relazione alla personalizzazione del danno, considerate le gravi conseguenze patite ed i riflessi sulla sua vita quotidiana e relazionale. La questione Come è determinato il risarcimento del danno non patrimoniale e del danno per lesione del rapporto parentale dovuto all'elevata invalidità del congiunto? Quando si parla di danno emergente per spese future di assistenza? Le soluzioni giuridiche Nella vicenda analizzata, il Tribunale di Bologna si è occupato di un caso di malpractice medica che ha comportato una duplice amputazione agli arti inferiori a cui è conseguito un danno biologico del 70%. Secondo la tesi attorea a ciascuno dei convenuti sarebbero addebitabili profili di malpractice, tutti causalmente rilevanti rispetto alle lesioni riportate dal paziente. In particolare, i giudici hanno effettuato una distinta applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano e del Tribunale di Roma per il risarcimento del danno non patrimoniale e del danno per lesione del rapporto parentale dovuto all'elevata invalidità del congiunto. In punto di qualificazione della responsabilità delle parti convenute, i giudici hanno premesso che, in tema di risarcimento danni, l'individuazione della norma che costituisce titolo di responsabilità da parte del Giudice, seppur diversa da quella eventualmente indicata dall'attore, costituisce mera qualificazione giuridica del fatto storico e rientra nel potere ufficioso del giudice di merito, il quale, in qualsiasi fase del procedimento, ha il compito di qualificare giuridicamente la domanda e di individuare la norma applicabile. Ciò in quanto, nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice del merito deve tener conto del contenuto sostanziale della pretesa così come desumibile dalla situazione dedotta in causa nonchè del procedimento richiesto senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta, e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta. I giudici hanno operato un distinguo quanto alla qualificazione della responsabilità delle strutture sanitarie, in relazione a ciascuno degli attori, in considerazione del differente rapporto intercorso con gli stessi richiamando un orientamento consolidato della Suprema Corte e ribadito in una recente ordinanza n.14471/2022; la Cassazione ha infatti stabilito che il rapporto contrattuale che si instaura tra il medico o nosocomio, da un lato, e assistito, dall'altro, esplica i suoi effetti tra le sole parti del contratto, con la conseguenza che l'inadempimento della prestazione medica genera responsabilità contrattuale esclusivamente nei confronti del paziente danneggiato e non anche dei parenti di questi. Nel caso analizzato, agendo gli attori per le conseguenze patite in proprio a seguito della malpractice, non possono dirsi portatori di un interesse connesso a quello regolato dalla programmazione negoziale intercorsa tra la clinica e il loro genitore. Pertanto, solo in relazione al paziente danneggiato, la responsabilità delle strutture sanitarie deve essere qualificata come contrattuale. Diversamente, per i restanti attori, la responsabilità delle strutture convenute deve essere qualificata come extracontrattuale. L'inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria ha delle ricadute sull'onere probatorio incombente sulle parti: dalla qualificazione della responsabilità come contrattuale nei confronti del paziente consegue che, ai fini del riparto dell'onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto o l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e ad allegare l'inadempimento del debitore rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. Nell'ambito della responsabilità contrattuale, il danneggiato è, dunque, esonerato dal provare la negligenza del sanitario, potendosi limitare ad allegare condotte imperite attive od omissive, quali species dell'inadempimento degli obblighi assunti con il contatto sociale ovvero con il contratto di spedalità; sicchè ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione. Ciò detto, ci si deve chiedere se, nel caso specifico, possa dirsi assoluto l'onere probatorio gravante sui danneggiati attori, dovendo le loro domande essere vagliate alla luce delle risultanze istruttorie acquisite. Dagli accertamenti tecnici condotti, i giudici hanno affermato che le lesioni patite da Tizio siano state concausate da condotte omissive colpevoli consistite, in fase pre-operatoria, nella mancata valutazione di fattori endogeni al paziente; in fase operatoria, nell'omessa adozione di cautele atte ad evitare l'infezione contratta dal paziente; in fase post-operatoria, nel tardivo contegno diagnostico e terapeutico registrato allorchè il paziente presentava già i sintomi dell'infezione e delle problematiche circolatorie, a fronte dei quali la condotta dei sanitari ha portato all'evoluzione del quadro già insorto e alla conseguente necessità di adottare la soluzione maggiormente invalidante per il paziente, ovvero l'amputazione degli arti. Dei danni patiti dall'attore devono rispondere in via diretta le strutture convenute. In tema di responsabilità medica nel regime anteriore alla legge n. 24/2017, la responsabilità della struttura sanitaria va inquadrata nella fattispecie prevista dall'art. 1228 c.c., di responsabilità diretta per fatto proprio, che trova fondamento nell'assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall'utilizzazione di terzi nell'adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l'imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell'art.2049 c.c. Dalle risultanze della CTU espletata, secondo i giudici, è stato provato il peggioramento delle condizioni di salute di Tizio e il nesso causale tra la malpractice e i danni patiti dall'attore suddetto per cui in favore di quest'ultimo è stato riconosciuto il risarcimento dei danni patiti, patrimoniali e non, nei limiti di di quanto di seguito indicati. Quanto ai danni non patrimoniali si deve escludere che il risarcimento del danno alla salute sia meritevole di una personalizzazione poichè i pregiudizi allegati da parte attorea sono pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente conseguenti alla grave perdita funzionale subita. Costituiscono quindi il danno dinamico-relazionale di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente riconosciuto. In riferimento ai danni patrimoniali i giudici hanno espresso che non può trovare accoglimento la domanda di refusione delle spese per assistenza domiciliare generica; sul punto hanno statuito come il pregiudizio patrimoniale consistente nella necessità di dover retribuire una persona che garantisca l'assistenza personale ad un soggetto invalido è un danno permanente, per la cui liquidazione il giudice non può prescindere dall'accertarne la concreta sussistenza. Pertanto, quando si tratti liquidare un danno passato permanente che si assuma essere consistito nella necessità di una spesa periodica per assistenza, il danneggiato deve dare prova di averla sostenuta, e in mancanza nessuna liquidazione può essere riconosciuta. Il danno per spese di assistenza, infatti, quando si assuma essere già maturato al momento della liquidazione, è rappresentato dalla spesa sostenuta, non dalla necessità di sostenerla. Nel caso analizzato non sono risultate documentate spese sostenute per l'assistenza domiciliare, pertanto nulla deve essere riconosciuto all'attore per tale voce di danno. I giudici, nella fattispecie analizzata, hanno altresì preso in esame la tematica dei danni futuri, ovvero quelle conseguenze patrimoniali sfavorevoli che si stanno producendo al momento della liquidazione e che continueranno a prodursi in futuro (come le spese sanitarie e di assistenza). In merito alla risarcibilità di tali danni, la Corte ha richiamato una pronuncia precedente la quale stabiliva che: “se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale”. Se è vero che dagli atti è emerso che Tizio abbia perso la propria capacità di deambulare in autonomia e si avvalga dell'aiuto del figlio per recarsi alle visite, ciò non è sufficiente a ritenere provato se ed in quale misura lo stesso attore si avvarrà in futuro dell'ausilio di personale esterno per l'assistenza domiciliare continuativa. Nel caso analizzato è rimasta priva di prova l'esigenza di un supporto assistenziale esterno e la misura in cui tale assistenza si renda necessaria, non potendosi riconoscere idonea efficacia probatoria alla CTP allegata che ha rappresentato la necessità di un'assistenza per otto ore al giorno. Pertanto, tale pregiudizio patrimoniale futuro è una mera eventualità restando incerto nell'an ed indeterminato nel quantum. Da ultimo nella sentenza de qua è stato riconosciuto il risarcimento per i danni non patrimoniali iure proprio in capo ai figli della persona amputata per il vissuto di sofferenza patita e per lo stravolgimento del rapporto parentale conseguito alla intervenuta condizione di invalidità del congiunto, come tale bisognoso di costante supporto, col richiamo delle sentenze della Cassazione n.3723/2019 e n.1752/2023; in questo caso il tribunale felsineo richiamando la sentenza della Cassazione n.25541/2022 ha applicato “le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, che fin dal 2019 contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni cd. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni”. Nel caso specifico il Tribunale ha condannato le tre strutture ospedaliere, ai sensi dell'art 2055 cc., per unicità del fatto dannoso. In particolare il Tribunale di Bologna ha accolto, altresì, l'istanza di applicazione delle tabelle romane in tema di danno non patrimoniale in capo ai prossimi congiunti di persona macrolesa. Osservazioni In caso di malasanità le principali questioni che si pongono nelle aule di giustizia riguardano la responsabilità del medico e la quantificazione del danno al fine del risarcimento. Il danno iatrogeno è un aggravamento dello stato di salute del paziente che sia causato da negligenza, imprudenza o imperizia del personale sanitario e deve essere inteso come un aggravamento di una lesione preesistente dovuta ad una colpa ascrivibile al personale sanitario. È utile ricordare che un errore sanitario potrebbe riguardare diverse figure professionali (medico, infermiere ecc.) ma, il danno iatrogeno, va inteso come un diretto riferimento all'errore del professionista sanitario che possiede la laurea in medicina e chirurgia. La giurisprudenza, nella valutazione della responsabilità, tende a distinguere due ipotesi: la lesione originaria dovuta a caso fortuito o forza maggiore e la lesione originaria dovuta a colpa di un terzo. Nel primo caso, il medico risponde dell'intero danno, al netto, però, dei postumi che si sarebbero verificati anche senza il suo intervento, mentre, nel secondo caso, ai sensi dell'art. 187, comma 2, c.p., tutti i responsabili dello stesso reato – incluso l'operatore sanitario – sono tenuti in solido al risarcimento del danno non patrimoniale e patrimoniale nei confronti della vittima (Cass. civ. n. 6023/2001). Per l'accertamento di tale danno, dunque, dovranno essere presenti i seguenti eventi: l'insorgenza di una lesione della salute per colpa del terzo; l'azione di un medico per farvi fronte; un accertato errore del sanitario medico nella gestione del paziente; l'aggravamento della lesione originaria. In sostanza, il danno si pone in essere essendo diretta conseguenza di una complicanza dovuta a responsabilità medica, con esclusione di quei postumi che si sarebbero comunque verificati per la natura stessa di una pregressa patologia. Il danno iatrogeno, dunque, costituisce un danno differenziale essendo conseguenza di una complicanza dovuta a negligenza, imprudenza o imperizia del personale sanitario Nella pratica il problema molto discusso riguarda proprio la quantificazione del danno e gli effetti che si sarebbero verificati rapportando la patologia originaria rispetto alla condotta colposa del medico; ci si chiede se il personale sanitario debba risarcire per intero il danno patito dal paziente ovvero solo quelle legate al peggioramento della malattia. La Corte di Cassazione ha affermato che, allorché un paziente sia già affetto da una situazione di compromissione dell'integrità fisica e che un intervento (per la sua cattiva esecuzione) determini un esito di compromissione ulteriore, ai fini della liquidazione del danno, deve assumersi come percentuale di invalidità quella effettivamente risultante, alla quale va sottratta la percentuale di invalidità non riconducibile alla responsabilità del sanitario. Conseguentemente, in caso di menomazioni preesistenti del danneggiato che si aggravano in conseguenza dell'illecito, il procedimento di stima del danno dovrà prevedere quattro fasi:
In tema si segnala che la recente sentenza n. 18442/2023 della Corte di Cassazione ha chiarito che il calcolo del risarcimento solo sulla differenza dei punti percentuali dell'invalidità, senza prima convertirli in somme di denaro, è da considerarsi viziata, comportando una sottostima del danno da risarcire in violazione dell'art. 1223 c.c. |