Perdita di continuità aziendale e impossibilità di conseguire l’oggetto sociale

Daniele Fico
01 Marzo 2024

Il Tribunale di Milano si interroga sulla configurabilità della perdita di continuità aziendale come causa di scioglimento della società per impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale, ex art. 2484, comma 1, n. 2, c.c.

Massima

La causa di scioglimento per sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n, 2 c.c., è incompatibile con la fattispecie della perdita di continuità aziendale, perché la valutazione circa la sussistenza di tale continuità è di natura prospettica, e nella relativa fattispecie rientrano fattori di natura e tipologia disparate, molti dei quali ictu oculi estranei al tema della possibilità/impossibilità di conseguire l'oggetto sociale.

Il caso

La questione trae origine dalla citazione in giudizio promossa dalla curatela ai sensi dell'art. 146 l. fall. nei confronti di due componenti del collegio sindacale della società fallita per violazione degli obblighi di vigilanza, controllo e reazione di cui all'art. 2403 c.c., relativamente a condotta di mala gestio posta in essere dagli amministratori consistente nella illecita prosecuzione dell'attività economica negli anni dal 2012 al 2015 in presenza, già al 31 dicembre 2011, di una causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale derivante dalla perdita della continuità aziendale.    

I sindaci convenuti si sono costituiti eccependo, in via preliminare, la nullità della citazione per non avere parte attrice identificato ed allegato le singole condotte omissive e gli specifici inadempimenti di cui si sarebbero resi protagonisti, nonché la prescrizione del diritto risarcitorio azionato in causa; nel merito, che la perdita di continuità aziendale non rientrerebbe nella suddetta fattispecie di scioglimento della società.

Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata Imprese, ha rigettato sia le eccezioni preliminari processuali e di merito relative alla nullità dell'atto di citazione ed alla prescrizione del diritto risarcitorio/dell'azione sollevate dai convenuti; sia quanto richiesto dalla procedura fallimentare ritenendo infondata in diritto la domanda risarcitoria basata sull'addebito di mala gestio costituito dall'illecita prosecuzione dell'attività economica in chiave non conservativa e con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale, dopo il verificarsi della causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 2, c.c. per carenza di continuità aziendale dall'anno 2012.

La questione giuridica e la soluzione

La sentenza in commento offre l'opportunità di analizzare l'interessante questione relativa alla configurabilità della perdita di continuità aziendale come causa di scioglimento della società per impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 2, c.c.

I giudici di primo grado milanesi, dopo essersi soffermati sulla differenza tra oggetto sociale - che si identifica nell'attività economica che la società ha dichiarato di svolgere nello statuto (art. 2328, comma 2, n. 3, c.c.), la cui impossibilità di conseguimento deve essere attuale, definitiva ed irreversibile, tale cioè da rendere inutile la permanenza del vincolo sociale - e scopo della società, identificabile nella realizzazione di un profitto (art. 2447 c.c.), hanno evidenziato che i connotati della fattispecie di scioglimento sono comunque incompatibili con quella di (mancanza di) continuità aziendale richiamando, a questo proposito, le definizioni offerte dal principio contabile internazionale IAS n. 1 del 3 novembre 2008 e dal principio di revisione ISA Italia n. 570.

In particolare, osserva il Tribunale di Milano, la continuità aziendale è definita dallo IAS n. 1, paragrafo 24, come capacità dell'impresa di continuare a operare come una entità in funzionamento. Al riguardo, al fine di determinare se il presupposto dell'impresa in funzionamento è applicabile, “la direzione aziendale deve tenere conto di tutte le informazioni disponibili relativamente al prevedibile futuro, che dovrebbe essere almeno relativo, ma non limitarsi, ai dodici mesi dopo la data di riferimento del bilancio. Il grado dell'analisi dipende dalle specifiche circostanze di ciascun caso. Quando l'impresa ha una storia di redditività e di facile accesso alle risorse finanziarie, la conclusione che il presupposto della continuità aziendale sia pertinente può essere raggiunta senza dettagliate analisi. In altri casi, la direzione aziendale potrebbe aver bisogno di considerare una vasta gamma di fattori relativi alla redditività attuale e attesa, ai piani di rimborso dei debiti e alle potenziali fonti di finanziamento alternative, prima di ritenere che sussista il presupposto della continuità aziendale" (paragrafo 25).

Il principio di revisione 570, a sua volta, stabilisce,  da un lato (paragrafo 2), che sulla base del presupposto della continuità aziendale "il bilancio è redatto assumendo che l'impresa operi e continui ad operare nel prevedibile futuro come un'entità in funzionamento”; dall'altro, paragrafo 5, che "la valutazione della capacità dell'impresa di continuare ad operare come un'entità in funzionamento effettuata dalla direzione comporta una valutazione, in un dato momento, sull'esito futuro di eventi o circostanze per loro natura incerti”.

Secondo il Tribunale di Milano, dal confronto tra la nozione di continuità aziendale quale risultante dalle fonti di prassi contabile di cui sopra e la fattispecie normativa prevista dall'art. 2484, comma 1, n. 2 c.c., emerge che la fattispecie di scioglimento attiene ad una valutazione circa una situazione attuale, definitiva ed irreversibile in cui versa la società; mentre la valutazione sulla sussistenza o la mancanza di continuità aziendale è di natura prospettica, cioè ha a che fare con previsioni circa il futuro della società in un determinato arco temporale (dodici mesi) e, come tale, attiene ad una situazione non definitivamente cristallizzata ed invece tipicamente reversibile.

Trattasi, quindi, di prospettive valutative all'evidenza non compatibili tra loro. Nella fattispecie di continuità aziendale rientrano fattori di natura e tipologia disparate, molti dei quali ictu oculi estranei al tema della possibilità/impossibilità di conseguire l'oggetto sociale. Le ipotesi descritte dall'art. 2484 c.c., invece, sono tipiche e, come tali, esprimono un'esigenza di certezza che non sembra compatibile con la natura stessa della valutazione sulla continuità aziendale come connotata nei principi contabili sopra indicati in termini di "dubbio significativo", connotazione peraltro che ben si accorda con la natura prognostica della valutazione.

Così è anche, osservano i giudici di primo grado lombardi, per la situazione di definitiva perdita della continuità aziendale, di individuazione pratica e priva di referente normativo preciso, quando, come spesso accade, riferita ad un disequilibrio finanziario tale che l'attività svolta risulterebbe irreversibilmente programmata alla distruzione di ricchezza e alla traslazione del rischio di impresa sui creditori, o sia fotografata da bilanci prospettici che presentano cash flow negativi e in presenza di indici economico-finanziari negativi dai quali emergerebbe che l'impresa non è più in condizioni di continuare a realizzare le proprie attività.

In questi casi, la "definitiva perdita di continuità aziendale" o si risolve in realtà nelle diverse fattispecie normativamente previste di insufficienza patrimoniale, perdita del capitale sociale, insolvenza, dissesto, oppure, ma con diversa rilevanza rispetto al passato, si identifica in una manifestazione di quella prevista dall'art. 2086, comma 2, c.c. che, però, non riguarda lo scioglimento della società.

Il quadro interpretativo sopra descritto, precisa il Tribunale di Milano, trova altresì conferma nella sistematica del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, nel quale la fattispecie di perdita della continuità aziendale è posta dai principi fondanti previsti dal già citato art. 2086, comma 2, c.c. a presupposto dell'obbligo di reazione degli amministratori, in forma di adozione ed attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento, in vista del "recupero della continuità aziendale". Con il ché è ribadita sia la natura prognostica del relativo giudizio, che la sua reversibilità, connotati questi propri anche del concetto di crisi aziendale, come definita dall'art. 2, lett. a), CCII.

Al riguardo,  in ordine al rapporto tra "crisi" e "perdita di continuità aziendale", letto nel quadro della descrizione di quest'ultima situazione quale restituita dai citati principi contabili e di revisione, a parere dei giudici di prime cure lombardi non si può mancare di osservare che la prima fattispecie, per come definita, assorbe in sé molti, se non tutti, i parametri finanziari che quei principi ascrivono invece alla "continuità aziendale". Da ciò discende che, sul piano normativo, la situazione di "perdita di continuità aziendale" è definibile per sottrazione dai parametri, criteri ed indicatori previsti dai principi contabili e di revisione, di tutte quegli eventi / situazioni di natura finanziaria che oggi sono riconducibili alla fattispecie "crisi" di cui all'anzidetto art. 2, lett a), CCII (sul punto, v. N. Abriani, P. Bastia, Valutazione e presidio della continuità aziendale tra scienze economiche e diritto societario della crisi, in dirittodellacrisi.it, 24 novembre 2022, secondo cui pur a fronte della ambiguità della nozione di continuità aziendale e dell'uso che ne fa il codice della crisi, il collegamento operato a livello normativo fra l'art. 2086, comma 2, c.c.. e l'art. 3, comma 2, c.c.i.i., “sembra autorizzare l'interprete a considerare lo stato di crisi e la perdita di continuità aziendale nozioni sovrapponibili o quantomeno assimilabili sul piano normativo”).

Ulteriore conferma, a contrario, a quanto sostenuto, a parere dei giudici milanesi, è rappresentata dalle innovazioni apportate dal predetto codice della crisi all'art. 2484, comma 1, c.c. nel quale è stata inserita una nuova causa di scioglimento (n. 7-bis) della società rappresentata dalla apertura delle procedure di liquidazione giudiziale e controllata. Orbene, considerata l'importanza conferita alla situazione di perdita della continuità aziendale nella sistematica del diritto della crisi e la considerazione della liquidazione come extrema ratio, sembra ovvio inferirne che, qualora il legislatore avesse voluto fare anche della prima una causa di scioglimento della società l'avrebbe detto, inserendo un'altra ipotesi oltre l'unica invece aggiunta.

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale di Milano conclude per l'estraneità della situazione di "perdita di continuità aziendale" alla fattispecie prevista dall'art. 2484, comma 1, n. 2 c.c. Non potendosi sussumere la prospettazione di perdita di continuità aziendale quale allegata - peraltro in modo generico ed impreciso – da parte attrice nella fattispecie di cui all'art. 2484 comma 1, n. 2 c.c., infatti, risulta insussistente lo stato di scioglimento in base al quale la curatela ha fondato l'allegazione degli inadempimenti prima degli amministratori ai loro doveri gestori e poi dei sindaci ai loro doveri di vigilanza, controllo e reazione e, di conseguenza, ha rigettato la domanda attorea.

Osservazioni

Come noto, tra le cause di scioglimento delle società di capitali, l'art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., annovera il conseguimento dell'oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, salvo che l'organo assembleare, convocato senza indugio, non deliberi le opportune modifiche dello statuto (c.d. assemblea salvifica).

In termini generali, l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale rileva in presenza di sopraggiunti ostacoli al perseguimento dello stesso tali da far sì che la società si trovi in una situazione di impossibilità, definitiva ed irreversibile, di proseguire la propria vita economica, rendendo quindi impossibile qualsiasi altra attività operativa (sul tema, per tutti, V. Donativi, Trattato delle società, Tomo III, Torino, 2022, 1473; R. Guidotti, Impossibilità di conseguire l'oggetto sociale quale causa di scioglimento della società: post-it per un legislatore distratto, in ilcaso.it, 22 gennaio 2021; C. Pasquariello, Sub art. 2484, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, vol. III, Padova, 2005, 2147).

Per assumere la natura di causa di scioglimento della società, l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale deve pertanto sostanziarsi in una impossibilità di natura giuridica o materiale, non economica, di continuare a svolgere l'attività in cui esso consiste (G. Ferri jr, M. Silva, In tema di impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale e scioglimento delle società di capitali, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 237-2014/i, in notariato.it). Conseguentemente, un impedimento temporaneo o il sorgere di difficoltà incontrate dalla società nell'esercizio della propria attività, non rendono impossibile il perseguimento dell'oggetto sociale e dunque non legittimano lo scioglimento della società.

Il concetto di continuità aziendale (going concern secondo la terminologia anglosassone), a sua volta, si fonda sul presupposto fondato dalla capacità di un'impresa di continuare a svolgere la propria attività in un prevedibile futuro - identificato in un arco temporale non inferiore a dodici mesi; presupposto che deve essere considerato dall'organo amministrativo nella redazione del bilancio di esercizio (cfr. Principio italiano di revisione – ISA Italia, n. 570, paragrafi 2 e 4, richiamati peraltro nella sentenza annotata). In particolare, la verifica della continuità aziendale richiede, ex ante, l'effettuazione di una valutazione prognostica da parte degli amministratori, che deve essere effettuata non solo in occasione della predisposizione del bilancio, ma in maniera continuativa anche nel corso dell'esercizio (N. Abriani, P. Bastia, Valutazione e presidio della continuità aziendale tra scienze economiche e diritto societario della crisi, cit.).

A differenza della sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, caratterizzata come sopra evidenziato dalla definitività e irreversibilità, la continuità aziendale, rectius perdita della medesima, si fonda su un giudizio prognostico e può limitarsi ad un periodo limitato di tempo. In tale ottica, è stato affermato che la perdita di continuità aziendale è tendenzialmente, “per definizione, reversibile” (R. Guidotti, Continuità aziendale e scioglimento della società, in dirittobancario.it, gennaio 2021).

La perdita di continuità aziendale è il “momento di dissoluzione del principio di unitarietà della gestione e dei vincoli di complementarità dei beni costituenti il patrimonio dell'impresa”, cessando, quest'ultima, “di essere ancora identificabile come sistema atto a perdurare” (P. Bastia, Crisi e insolvenza dopo il codice della crisi, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 22 agosto 2022. Per S. Fortunato, Assetti organizzativi dell'impresa nella fisiologia e nella crisi, in Giur. comm., 2023, 901, “la perdita della continuità aziendale coincide in senso statico già con la cessazione dell'attività, laddove ciò che è importante rilevare tempestivamente è il pregiudizio che la prospettiva dinamica della continuità aziendale sta già subendo”).

Si discute se tra le fattispecie riconducibili all'impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale rientri anche la perdita della continuità aziendale, cioè se la perdita di continuità aziendale possa configurarsi come causa di scioglimento della società per impossibilità di perseguire l'oggetto sociale (in dottrina, per un'interpretazione restrittiva, V. Calandra Buonaura, Amministratori e gestione dell'impresa nel Codice della crisi, in Giur. comm., 2020, I, 2018; G. Ferri jr, M. Silva, In tema di impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale e scioglimento delle società di capitali, cit.; C. Montagnani, Crisi dell'impresa e impossibilità dell'oggetto sociale, in Riv. dir. comm., 2013, I, 245. Contra, M. Spiotta, Tanto tuonò che piovve: perdita del going concern e scioglimento della società, in Giur. it., 2022, 1420 ss..; G. Verna, Misurazione del danno patito dai creditori per la continuazione dell'impresa in perdita ed applicazione di corretti principi contabili, in Dir. fall., 2016, 792; G. Racugno, Venir meno della continuità aziendale e adempimenti pubblicitari, in Giur. comm., 2010, I, 223 ss., secondo i quali la perdita di continuità aziendale integra una causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1, n. 2, c.c.).

Il Tribunale di Milano, nella sentenza oggetto di commento, in conformità al prevalente orientamento giurisprudenziale, partendo dalla considerazione che la causa di scioglimento per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale attiene ad una valutazione sulla situazione attuale, definitiva e irreversibile nella quale versa la società, mentre la valutazione circa la sussistenza o la mancanza di continuità aziendale è di natura prospettica e, quindi, ha a che fare con previsioni sul futuro della società in un determinato arco temporale e, in quanto tale, attiene ad una situazione non definitivamente cristallizzata ed invece tipicamente reversibile, ha evidenziato l'estraneità della situazione di “perdita di continuità aziendale” alla fattispecie di cui all'art. 2484, comma 1, n. 2, c.c. (in senso analogo, Trib. Firenze 21 dicembre 2021, n. 3302, in Giur. it., 2022, 1418, con nota di M. Spiotta, Tanto tuonò che piovve: perdita del going concern e scioglimento della società, cit.; Trib. Milano 22 febbraio 2019, in ilcaso.it.; Trib. Milano 19 aprile 2016, in Società, 2017, 299 ss., con commento di M. Faggiano, Accertamento giudiziale dell'assenza del presupposto della continuità aziendale; Trib. Roma 16 febbraio 2016, in questo portale, giugno 2016; App. Firenze 27 aprile 2023, n. 884, in DeJure. Contra, App. Torino 26 maggio 2016, n. 886, in Fall., 2016, 1386, secondo cui il concetto di impossibilità di perseguire l'oggetto sociale può essere equiparato a quello aziendalistico-contabile della perdita della continuità aziendale, senza che rilevi in senso contrario che la società possa essere ancora dotata di un patrimonio o che non sia insolvente; Trib. Palermo 8 marzo 2023, in giurisprudenzadelleimprese.it¸ per il quale la perdita del requisito di continuità aziendale, equivalente alla impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, deve indurre gli amministratori a porre la società in liquidazione e ad accedere alle procedure concorsuali ritenute adeguate, tra le quali non può annoverarsi il piano attestato di risanamento, in quanto privo del riscontro dato dai creditori, presente sotto forma di consenso, nell'accordo di ristrutturazione dei debiti e, di voto, nel concordato preventivo, oltre che scevro dal controllo giudiziario).

Per il Tribunale di Firenze (sentenza 3302/2021, sopra citata), in particolare, lo scioglimento della società per impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale non è configurabile quando la continuità aziendale appaia recuperabile con scelte organizzative o commerciali e sussista la possibilità di attingere a risorse finanziarie per attuarle. La società deve essere dunque sciolta se si trova nell'impossibilità, non temporanea ma irreversibile , di perseguire il suo scopo, sulla base di un giudizio prospettico e previsionale. Una crisi reversibile, infatti, pur potendo indicare la ricorrenza di significative incertezze in ordine alla sussistenza della continuità aziendale, non costituisce causa di immediato scioglimento anticipato della società. A differenza dell'ipotesi di scioglimento per perdita del capitale sociale di cui all'art. 2484, comma 1, n. 4, che prende in considerazione la dimensione economica della società, cioè la sua capacità di affrontare il rischio d'impresa con il proprio capitale, lo scioglimento della società per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, osservano altresì i giudici fiorentini, non è ancorata a un giudizio retrospettivo e obiettivato, bensì prospettivo e previsionale, in quanto si riferisce alla dimensione funzionale, cioè alla possibilità materiale e giuridica di svolgere l'attività prefissata.

Secondo l'opinione giurisprudenziale maggioritaria, pertanto, la perdita di continuità aziendale “reversibile” non integra la fattispecie di scioglimento per impossibilità sopravvenuta di conseguire l'oggetto sociale.

La prevalenza del principio di conservazione delle attività produttive rispetto al diritto del socio al disinvestimento, tuttavia, risulta di difficile giustificazione in una situazione nella quale lo squilibrio economico, finanziario e patrimoniale rende avventata o imprudente la prosecuzione dell'attività sociale, irreversibilmente programmata alla distruzione di ricchezza ed al trasferimento del rischio d'impresa sul ceto creditorio.

In tale circostanza, quindi, la perdita di continuità aziendale, da ritenersi “irreversibile”, integra, a parere di chi scrive, una causa di scioglimento per impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale ex art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., in presenza della quale l'organo amministrativo avrebbe l'obbligo di accertare tempestivamente il verificarsi dell'evento dissolutivo e limitarsi a una gestione conservativa dell'impresa ai sensi dell'art. 2486 c.c.

Se è vero, infatti, che l'impresa è un valore e che la dissoluzione dell'attività svolta dalla medesima è una distruzione di ricchezza; “è altrettanto vero che questo non vale sempre e cioè non vale quando l'impresa non sia vitale e, per ragioni varie, non sia in grado di recuperare una condizione di normalità e cioè non sia in grado di fare cessare la produzione di perdite” (A. Maffei Alberti, Crisi dell'impresa e continuazione dell'attività, in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 29 gennaio 2022).   

In tale contesto, pare condivisibile l'opinione che ritiene necessaria un'interpretazione estensiva dell'impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale tale da consentire di considerare la stessa alla stregua di una “clausola generale” (M. Spiotta, Tanto tuonò che piovve: perdita del going concern e scioglimento della società, cit., 1421 s., secondo la quale l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale andrebbe letta in senso non soltanto materiale e giuridico, ma anche - in conformità alla scienza aziendalistica - patrimoniale, economico e finanziario. In senso analogo, N. Baccetti, Lo scioglimento delle società di capitali per sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale, in questo portale,dicembre 2016).

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Milano, in linea con l'opinione attualmente prevalente tra i giudici di merito, considera la perdita di continuità aziendale estranea alla causa di scioglimento per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale di cui all'art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., in forza essenzialmente dei diversi presupposti alla base di queste due fattispecie.

La fattispecie prevista dal primo comma, n. 2, dell'art. 2484 c.c. attiene, infatti, ad una valutazione sulla situazione attuale, definitiva e irreversibile in cui versa la società; la valutazione in merito alla sussistenza o alla mancanza di continuità aziendale, al contrario, è di natura prospettica – orientata in un arco temporale non inferiore a dodici mesi – e, quindi, concerne una situazione non definitivamente cristallizzata e tipicamente reversibile.   

In presenza, tuttavia, di una perdita di continuità aziendale irreversibile, non pare più possibile perseguire l'oggetto sociale e, quindi proseguire l'attività, se non attraverso una gestione caratterizzata dalla distruzione di ricchezza, dall'incremento dell'indebitamento e dal conseguente trasferimento del rischio imprenditoriale sui creditori. In tale situazione, pertanto, lo scioglimento della società sembra essere inevitabile; fatta salva l'ipotesi del ricorso ad uno strumento di regolazione della crisi al fine di ristrutturate il debito e recuperare l'equilibrio patrimoniale, economico e finanziario, a condizione, però, che l'impresa non si trovi in stato di crisi già notevolmente indirizzata verso l'insolvenza o, addirittura, in stato d'insolvenza.

In tale contesto, appare evidente che il profilo di maggiore criticità è rappresentato dalla “interferenza di una tale ipotesi dissolutiva con la piena espressione della capacità riorganizzativa e risanatoria dell'impresa che si è andata affermando nel diritto concorsuale” (così N. Baccetti, Lo scioglimento delle società di capitali per sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale, cit.).

D'altro canto, proprio al fine di prevedere tempestivamente l'emersione della crisi d'impresa, l'art. 3, comma 3, lett. b), c.c.i.i. richiede l'adozione di misure idonee e la istituzione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni dell'impresa, per usare l'espressione di cui all'art. 2086 c.c., tali da consentire di verificare “le prospettive di continuità aziendale per almeno i dodici mesi successivi”.

In conclusione, l'abbandono della continuità aziendale non opera tutte le volte nelle quali sussistono ragionevoli prospettive di definire e portare a termine un'operazione di risanamento idonea a ripristinare l'equilibrio economico, patrimoniale e finanziario dell'impresa. Al contrario, quando la perdita di continuità aziendale assume carattere definitivo e irreversibile, la soluzione più appropriata sembra essere quella dello scioglimento della compagine sociale e l'accesso ad uno strumento che abbia come esito la liquidazione del patrimonio, piuttosto che il ricorso ad operazioni di risanamento in continuità attraverso gli strumenti di regolazione della crisi previsti dal CCII che avrebbero quale unico effetto quello di provocare l'aggravamento del dissesto.

D'altro canto, tra ammettere che la perdita di continuità aziendale è un campanello d'allarme che non va sottovalutato ma richiede una risposta organizzata e lungimirante e il configurarla, se irreversibile, come causa dissolutiva, il passo è breve (M. Spiotta, Tanto tuonò che piovve: perdita del going concern e scioglimento della società, cit., 1426).  

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