La Banca, terzo cessionario in buona fede, non ha diritto alla restituzione dei crediti da bonus fiscali edilizi

Fabio Gallio
11 Marzo 2024

La Cassazione, con la sentenza n. 3108 depositata il 24 gennaio scorso, ha ribadito un importante principio di diritto, già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui...

Massima

... In caso di mancata realizzazione di opere edili ammesse all'agevolazione fiscale derivante dal c.d. “Superbonus 110%”, il sequestro preventivo dei crediti ceduti a due Istituti di Credito è ammissibile ancorché gli stessi siano in buona fede e assumano la veste di persone offese dal reato. Il sequestro impeditivo, infatti, richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra il bene ed il reato, non tra il reato e il suo autore; cosicché è irrilevante lo stato soggettivo di buona fede del terzo cessionario.

Il caso

Nel caso di specie, i giudici del riesame avevano ritenute infondate le censure di una delle due banche, secondo la quale il periculum in mora, coincidente con la possibilità di ulteriori condotte illecite conseguenti all'incasso di somme rilevanti, poteva essere riferito soltanto agli indagati, persone fisiche, in mancanza di un'adeguata motivazione dell'ordinanza genetica, che non individuava il concreto pericolo derivante dalla disponibilità dei crediti ceduti, con riferimento all'art. 121 del D.L. n. 34/2020, il quale limita la responsabilità del credito cessionario alle ipotesi di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione.

L'Istituto di credito aveva proposto ricorso al giudice di legittimità, lamentando la violazione degli artt. 119 e 121 del D.L. n. 34/2020, dell'art. 7 CEDU, nonché dell'art. 1 del Protocollo Addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, per l'impossibilità di sottoporre a sequestro preventivo crediti d'imposta sorti in relazione al cd. “Superbonus 110”, acquistati dal cessionario in buona fede, con conseguente carenza del requisito del periculum in mora. Veniva anche lamentata la violazione dell'art. 321 c.p.p. per la mancata valutazione in merito alla concretezza e alla attualità del periculum in mora, posto che sarebbe stato sempre possibile il recupero del valore del credito.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha precisato che, nel caso di specie, si è in presenza di un sequestro preventivo avente ad oggetto un bene pertinente al reato, finalizzato, come recita espressamente l'art. 321, co. 1, c.p.p., ad evitare che la libera disponibilità del benepossa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati”. Trattasi di una misura ablatoria che si fonda sul mero collegamento tra il reato e la res e non tra il reato ed il suo autore; per tale ragione, i crediti d'imposta ottenuti indebitamente possono essere oggetto del vincolo reale a prescindere dalla buona fede del cessionario che, in quel momento, ne abbia la materiale disponibilità.

La Corte, nel rafforzare il proprio percorso motivazionale, ha aderito a quell'orientamento secondo cui il credito d'imposta viene attribuito al cessionario a titolo derivativo e non a titolo originario (Si vedano, in particolare, Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40866; Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40867; Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40868; Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40869.). Nello specifico, la Cassazione, respingendo la tesi del ricorrente, ha escluso che, una volta esercitata la scelta per la cessione del credito mediante la rinuncia, da parte del beneficiario, al diritto alla detrazione, il credito possa sorgere in capo al cessionario a titolo originario, privo cioè di qualsiasi vizio che abbia compromesso il diritto alla detrazione. In particolare, ad avviso degli Ermellini, una diversa ricostruzione, “che intenderebbe il credito ceduto come sempre “garantito” dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti, è all'evidenza infondata, non deponendo in tal senso la normativa di riferimento (primaria e secondaria) ampiamente richiamata nel primo motivo di ricorso, alla quale non può esser riconosciuta alcuna forza derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria”.

La Corte, ad ulteriore supporto di quanto argomentato, ha ricordato il tenore letterale dell'art. 121, comma 1, D.L. 34/2020, dal quale emerge che il meccanismo del c.d. Superbonus è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi: all'utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono stati aggiunti il c.d. sconto in fattura e la cessione del credito, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall'identica finalità di incentivare gli interventi indicati.

La questione

Con particolare riguardo alla cessione del credito, la Corte ha puntualizzato che “il beneficiario si spoglia del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste, nell'identico contenuto patrimoniale, di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge e che viene contestualmente ceduto. Non si riscontra, dunque, l'estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex novo di un credito (in capo al cessionario), come sostenuto dalla ricorrente, né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l'evoluzione - non la sostituzione - del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese”.

A conclusioni diverse, peraltro, non si può pervenire valorizzando i commi 4, 5 e 6 dell'art. 121 in tema di controlli e sanzioni, i quali non introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo: il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto di sequestro anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede; ne deriva che non rilevano, in questa sede, né l'eventuale responsabilità del terzo cessionario né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa, per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto se la libera disponibilità della res, anche in capo terzo, sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all'art. 321 c.p.p.

Infine, i giudici di legittimità hanno destituito di qualunque rilievo, ai fini penalistici, i chiarimenti forniti dall'Agenzia delle Entrate con la circolare n. 24/E dell'8 agosto 2020, con la quale, in particolare, si è affermato che “I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l'eventuale utilizzo del credito d'imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d'imposta ricevuto. Pertanto, se un soggetto acquisisce un credito d'imposta, ma durante i controlli dell'ENEA e dell'Agenzia delle Entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d'imposta”.

Ed invero, la Corte ha osservato che, per un verso, la circolare costituisce soltanto “la lettura di un testo normativo compiuta dall'Agenzia delle entrate, non di un'interpretazione autentica vincolante erga omnes”; per altro verso, ha evidenziato che “la stessa Agenzia - con la successiva circolare n. 23/E del 23 giugno 2022 - ha sostenuto una tesi contraria, ossia che “l'eventuale dissequestro di crediti, acquistati in violazione dei principi sopra illustrati, da parte dell'Autorità giudiziaria (ad esempio, in ragione dell'assenza di periculum in mora in capo al cessionario) non costituisce ex se circostanza idonea a legittimare il loro utilizzo in compensazione. Di conseguenza, in caso di utilizzo in compensazione di crediti d'imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all'Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate”.

In conclusione, stante la natura derivativa dei crediti in commento, che, dunque, vengono trasmessi al cessionario mantenendo i vizi a monte, la Corte ritiene sussistente il periculum in mora, poiché la permanente utilizzazione dei crediti originati da fatto illecito andrebbe a protrarre e/o aggravare le conseguenze del reato, secondo quanto previsto dall'art. 321, co. 1, c.p.p.

La soluzione giuridica

Come premesso, nel giungere a tali conclusioni, la Suprema Corte si è allineata a quanto affermato nelle diverse pronunce di legittimità che si sono susseguite all'indomani dei primi ricorsi aventi ad oggetto il tema dell'applicabilità del sequestro preventivo ex art. 321, co. 1, c.p.p. ai crediti fiscali da bonus edilizi acquistati dal cessionario in buona fede, in caso di contestazione al cedente di illeciti penali dal cui accertamento deriverebbe il disconoscimento del beneficio fiscale.

In particolare, la Cassazione, con quattro sentenze depositate il 28 ottobre 2022, le cui motivazioni sono in gran parte tra loro sovrapponibili, ha confermato i decreti di sequestro preventivo disposti, ai sensi dell'art. 321, co. 1, c.p.p., nei confronti dei cessionari in buona fede, estranei alle condotte illecite (Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40866; Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40867; Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40868; Cass. Pen., Sez. III, 28.10.2022 n. 40869), ritenendo del tutto irrilevante detta estraneità, poiché ciò che rileva è il nesso di pertinenzialità tra la res ed il reato, non tra il reato ed il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento ablativo anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all'art. 321 c.p.p.

Con la sentenza n. 40867/2022, la Corte ha affrontato anche il tema dell'ammissibilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei crediti in questione, intendendosi per tale il sequestro che, nell'impossibilità di apporre il vincolo reale direttamente sul profitto o sul prezzo del reato, abbia ad oggetto il tantumdem. Tema che assume particolare valenza soprattutto con riguardo ai crediti sorti prima delle novità introdotte dal D.L. n. 4/2022 (c.d. Decreto Sostegni ter), che ha aggiunto, al testo dell'art. 121 del D.L. n. 34/2020, il comma 1 quater, il quale, oltre a porre il divieto di cessione parziale per i crediti derivanti dall'esercizio delle opzioni dello sconto in fattura o della cessione, prevede espressamente che, “al credito è attribuito un codice identificativo univoco da indicare nelle comunicazioni delle eventuali successive cessioni”. Nel caso di specie il ricorrente aveva lamentato l'applicazione surrettizia di un indebito sequestro per equivalente, poiché, in assenza di elementi identificativi dei crediti, la misura ablativa andava a colpire non esattamente i crediti originati dalle condotte fraudolente a monte, quanto, piuttosto, dei crediti pari alla somma del valore nominale di tutti i crediti d'imposta ceduti (anche indirettamente), in relazione ai quali veniva a mancare il requisito della pertinenzialità. Con la conseguenza che la misura, pur disposta nei confronti dei crediti d'imposta individuati con richiamo alle condotte contestate, sarebbe stata concretamente eseguita, “su una massa indistinta di crediti solo di importo equivalente a quello oggetto di indagine, in quanto presenti nel cassetto fiscale di Poste Italiane S.p.A.”. La Suprema Corte, nel respingere la tesi del ricorrente, ha osservato che “l'assenza di uno specifico codice identificativo, introdotto soltanto con disposizioni successive, non si traduce nell'assegnazione al credito di una natura prettamente fungibile, come fosse una somma di denaro”, aggiungendo che il provvedimento genetico (i.e. il decreto di sequestro) ha individuato l'oggetto della misura in modo specifico e sufficientemente dettagliato, “richiamando i crediti d'imposta correlati alle detrazioni fiscali previste dal D.L. n. 34 del 2020, artt. 119-121, (cd. Superbonus per attività edilizia) intestati al CONSORZIO […] con sede in Napoli e di quelli ceduti da detto ente a terzi”. Tale espressione, ad avviso della Corte, “non consente alcuna assimilazione di questi crediti ad una indistinta somma di denaro, né trasforma in un bene fungibile ciò che, per contro, possiede ab origine un'effettiva e propria individualità”. Ciò posto, non si è in presenza di un sequestro per equivalente, quanto, piuttosto, di un sequestro diretto, avente ad oggetto proprio la res derivante dal reato a monte.

Tale impostazione è stata confermata anche dalla successiva pronuncia n. 42012 depositata l'8 novembre 2022, con la quale la Cassazione, nel confermare la bontà del sequestro disposto ex art. 12 bis del d.lgs. n. 74/2000 sui crediti d'imposta generati dall'emissione di false fatture, ha espressamente ribadito che il vincolo reale ha ad oggetto il profitto del reato di cui all'art. 8 del medesimo decreto e che, come tale, ben può essere disposto anche nei confronti del terzo cessionario estraneo alle condotte oggetto di addebito.

Poste tali premesse, la Suprema Corte, nella citata sentenza, ha evidenziato che proprio la previsione espressa dell'art. 28-ter, co. 1, del D. L. n. 4/2022 (cd. Decreto Sostegni-ter), secondo cui i crediti d'imposta oggetto di sequestro possono essere utilizzati, una volta cessati gli effetti del provvedimento di sequestro, entro i termini di cui agli artt. 121, co. 3, e 122, co. 3, D.L. n. 34 del 2020, previsti per compensare tali crediti, aumentati di un periodo pari alla durata del sequestro medesimo (fermo restando il rispetto del limite annuale di utilizzo dei predetti crediti d'imposta previsto dalle richiamate disposizioni), conferma che, del resto, è lo stesso “legislatore a prendere atto che un sequestro ben possa essere adottato secondo le regole generali del codice di rito”, “anche nei confronti del cessionario, secondo le regole generali, così ribadendo che non si è in presenza di un acquisto del diritto a titolo originario, impermeabile ad ogni vicenda illecita precedente”.

Con la successiva sentenza n. 45558 depositata il 1° dicembre 2022, la Corte si è spinta oltre, analizzando la posizione del terzo cessionario, al fine di valutare se possa invocarsi lo stato soggettivo della buona fede.

In particolare, muovendo dall'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, è persona estranea al reato, nei cui confronti non può essere disposto il vincolo in esame, ai sensi dei commi 2 e 3 dell'art. 240 c.p., il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere, con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, l'utilizzo del bene per fini illeciti (Cas. Pen., Sez. 3, n. 29586 del 14 giugno 2017), gli Ermellini hanno affermato che, nella disciplina del Decreto rilancio, il cessionario dei crediti di imposta che provveda alla monetizzazione del credito al cedente, anzitutto consegue indubbiamente un vantaggio economico dalla cessione del credito di imposta. Ed infatti, i crediti vengono ceduti ad un valore inferiore rispetto al valore nominale, e ciò determina un utile indubbio in capo al cessionario, il quale “acquista” il credito di imposta, monetizzandolo al cedente, ad un valore notevolmente inferiore rispetto a quello nominale del credito ceduto, realizzando così un utile sui singoli crediti acquistati.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47346 depositata il 24 novembre 2023, ha ripreso il tema, soffermandosi, in particolare, sugli indici dimostrativi della consapevolezza, in capo al terzo cessionario al momento dell'acquisto, dell'inesistenza del credito (C. SANTORIELLO, Ammissibile il sequestro del credito d'imposta inesistente presso il terzo acquirente in mala fede, in Il Fisco, n. 4/2024.).

Nel caso di specie, era stato disposto un sequestro impeditivo ex art. 321, comma 1, c.p.p., nei confronti di alcuni soggetti che, secondo l'ipotesi accusatoria, avrebbero ricevuto crediti inesistenti (in quanto frutto di lavori astrattamente rientranti nel c.d. il Superbonus o bonus facciate ma, in realtà, mai eseguiti), a loro ceduti da quattro primi cessionari e, poi, attraverso altri intermediari, definitivamente ceduti a Poste Italiane S.p.A. A fronte della tesi difensiva secondo cui, specie prima dell'entrata in vigore delle modifiche apportate al d.l. n. 34/2020 [dapprima nel novembre del 2021 e, poi, nel gennaio 2023. (il comma 6 dell'art. 121 del d.l. 34/2020 prevede che “Il recupero dell'importo di cui al comma 5 è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario di cui al comma 1, ferma restando, in presenza di concorso nella violazione con dolo o colpa grave, oltre all'applicazione dell'art. 9, comma 1 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell'importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi. Il successivo comma 6 bis stabilisce che: “Ferma restando, nei casi di dolo, la disciplina di cui al comma 6 del presente articolo e fermo restando il divieto di acquisto di cui all'articolo 122-bis, comma 4, il concorso nella violazione che, ai sensi del medesimo comma 6, determina la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari, è in ogni caso escluso con riguardo ai cessionari che dimostrino di aver acquisito il credito di imposta e che siano in possesso della seguente documentazione, relativa alle opere che hanno originato il credito di imposta, le cui spese detraibili sono oggetto delle opzioni di cui al comma 1 […]”.)], il cessionario non era tenuto ad acquisire alcuna documentazione attestante la genuinità del credito acquistato, la Corte ha invece sottolineato la rilevanza delle modalità con cui il terzo effettua il pagamento per l'acquisto del credito.

In particolare, nel caso di specie era stato accertato che gli indagati avevano pagato i precedenti cessionari soltanto nel momento in cui Poste Italiane S.p.A. aveva provveduto a regolare finanziariamente l'ultima operazione: in sostanza, gli indagati avrebbero raccolto i crediti in capo ai primi cessionari man mano che venivano creati e, successivamente, li avrebbero ceduti a società interposte che, a loro volta, li avrebbero poi ceduti a Poste Italiane; solo quando quest'ultima versava il corrispettivo venivano man mano pagati tutti i concorrenti nella filiera.

Secondo la Corte di Cassazione è di estremo rilievo la circostanza che “l'unico soggetto effettivamente ‘pagante' [fosse] stato soltanto l'ultimo della catena delle cessioni ed in capo al quale finisce con il ricadere il pregiudizio patrimoniale derivante dalla natura artificiosa dei crediti fiscali che erano stati creati sulla falsa rappresentazione di lavori in realtà mai eseguiti”. Dunque, quando un terzo cessionario non sopporta immediatamente il peso economico dell'operazione di acquisto dei crediti, ma salda il cedente solo dopo aver ceduto ad un altro soggetto i crediti acquistati, si è in presenza, secondo la Corte di legittimità, di un significativo elemento dimostrativo dell'illiceità dell'operazione e della mala fede del cessionario.

Osservazioni

Da quanto sopra, si evince che, allo stato, la giurisprudenza, sia merito che di legittimità, è incline ad adottare un atteggiamento di particolare rigore, nell'ottica di impedire la libera circolazione dei crediti ottenuti su base mendace, ancorché gli stessi siano nella disponibilità del cessionario in buona fede.

Tale interpretazione, pur fondata su argomenti giuridicamente condivisibili, finisce per riallocare il rischio delle frodi in capo ai cessionari in buona fede, ossia a quegli intermediari finanziari che hanno risposto all'invito ad entrare nel mercato dei crediti in questione (A. M. Dell'Osso, Questioni teoriche e paradossi sostanziali in tema di sequestro dei crediti c.d. Superbonus in capo agli intermediari finanziari, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, 1° ottobre 2023.).

Allo scopo di trovare una possibile soluzione e ristabilire degli equilibri sostenibili, il legislatore, con il d.l. n. 11/2023, ha circoscritto gli spazi di responsabilità solidale del cessionario. A tale fine sono stati aggiunti all'art. 121 del d.l. 34/2020 i commi dal 6-bis al 6-quater, attraverso i quali si è previsto che, per il cessionario che abbia raccolto e conservato una serie di documenti comprovanti la genuinità e conformità dei lavori, il concorso nella violazione del cedente “è comunque escluso”, al netto ovviamente dei casi di dolo; si è, poi, voluto esplicitamente affermare che, anche in assenza di tali documenti, è onere della dell'ente impositore provare la colpa grave del cessionario, così da evitare indebiti rovesciamenti su base presuntiva.

Il legislatore, tuttavia, non ha fornito indicazioni precise circa le ricadute della novella sul fronte penalistico, specie per quanto riguarda la tutela del terzo cessionario in buona fede, con ciò lasciando ancora una volta al giudice il compito di trovare il difficile punto di equilibro nella tutela degli interessi coinvolti, applicando i principi di ragionevolezza e proporzione, senza tradire lo spirito normativo della legislazione di settore (E. Ferrara, V. Di Pede, L'applicazione del sequestro preventivo dei crediti fiscali da bonus edilizi acquistati dal terzo in buona fede, in Il Fisco, n. 5/2023.).

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