La diversa conformazione temporale del rapporto potrebbe rivelare l’animus e la causa novandi della locazione

11 Marzo 2024

Continuando l’opera di perimetrazione del concetto di “novazione” del rapporto locatizio, il Supremo Collegio, ribadendo il principio che non integra tale ipotesi le modifiche meramente accessorie, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ravvisato, nel caso concreto, l'animus novandi, rispondendo la nuova conformazione temporale del rapporto anche all'interesse della conduttrice di beneficiare di una durata doppia, rispetto a quella su cui avrebbe potuto contare in assenza di tale modifica.

Massima

In tema di locazione, il mutamento del termine di scadenza o dell'ammontare del canone, pur non essendo di per sé sufficiente ad integrare la novazione del rapporto, trattandosi di modificazione meramente accessoria, non esclude che, ove il nuovo contratto si caratterizzi per tali modifiche, l'animus e la causa novandi possano essere desunti aliunde, sulla base di altri elementi che evidenzino la comune intenzione delle parti di dare al rapporto un assetto totalmente nuovo, in funzione di interessi che, altrimenti, non avrebbero potuto trovare uguale soddisfazione.

Il caso

La causa, giunta all'esame del giudice di ultima istanza, prendeva le mosse da un'intimazione di licenza per finita locazione intimata dal locatore al conduttore, in relazione ad un immobile a quest'ultimo locato ad uso diverso, contestualmente citandolo per la convalida con riferimento alla scadenza del 28 febbraio 2015; ciò sull'assunto che il rapporto era regolato da contratto stipulato il 1° marzo 2003 con durata di 6 anni e che, pertanto, quella indicata era la scadenza maturanda dopo la rinnovazione alla prima scadenza del 28 febbraio 2009.

L'intimato si era opposto, chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna del locatore alla restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto al canone dovuto, sull'assunto che:

a) il rapporto traeva, in realtà, origine da un contratto di locazione stipulato il 1° novembre 1992 per la durata di dodici anni e, quindi, con prima scadenza al 31 ottobre 2004, e per un canone mensile di £ 6.000.000 e tacita rinnovazione per ulteriori sei anni, salvo disdetta per uno dei motivi di cui all'art. 29 della l. n. 392/1978;

b) su richiesta del locatore, anteriormente alla prima scadenza, era stato stipulato il contratto del 1° marzo 2003, tra le stesse parti, con lo stesso oggetto, con la durata di sei anni fino al 28 febbraio 2009, ad un canone di locazione mensile di € 4.500,00, a fronte di quello sino ad allora pagato di € 3.125,00;

c) tale nuovo contratto, dal quale esso conduttore aveva tratto solo svantaggi, doveva considerarsi nullo ai sensi dell'art. 79 della legge sul c.d. equo canone.

Transitata la causa alla fase a cognizione piena, il Tribunale - per quanto ancora interessa - revocata l'ordinanza provvisoria di rilascio, aveva rigettato la domanda del locatore e, in accoglimento della riconvenzionale spiegata del conduttore, aveva condannato il primo a pagare al secondo la somma di € 196.625,00 a titolo di ripetizione di indebito, oltre interessi legali.

La Corte d'Appello, in parziale accoglimento del gravame interposto dal locatore e in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato cessato il contratto di locazione del 1° marzo 2003 alla data del 28 febbraio 2015, dando atto dell'avvenuta riconsegna dell'immobile, ed aveva rigettato la domanda riconvenzionale di ripetizione di indebito, ritenendo che, al contratto stipulato dalle parti il 1° marzo 2003, dovesse essere attribuita natura novativa, presentando lo stesso “aspetti di novità rispetto al precedente (aliquid novi) già nei suoi elementi essenziali (durata e corrispettivo), oltre che in alcune pattuizioni accessorie”.

In particolare, si era evidenziato che:

1) al conduttore, a fronte di un aumento del canone, si garantiva una maggior durata del rapporto, in quanto il secondo contratto veniva a cessare il 28 febbraio 2015, mentre il primo (della durata “secca” di anni dodici) sarebbe cessato il 31 ottobre 2004 o, anche volendo ammettere un rinnovo per ulteriori sei anni in mancanza di diniego di rinnovo, il 31 ottobre 2010;

2) non era ravvisabile alcuna violazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978, posto che la nuova durata contrattuale era maggiore della precedente e non era configurabile alcuna illecita rinuncia del conduttore ai propri diritti;

3) all'art. 6 del contratto, veniva inserita una nuova pattuizione (non prevista nel precedente contratto) relativa alle spese sostenute dal conduttore per ammodernamento impianti e modifiche strutturali ai locali;

4) venivano, poi, modificate le pattuizioni di cui agli originari artt. 10 e 11 del primo contratto (in tema di responsabilità e obblighi);

5) si contemplava un ulteriore soggetto che garantiva le obbligazioni del conduttore, senza che ciò, però, configurasse novazione soggettiva, in quanto la parte conduttrice restava pur sempre quella che aveva sottoscritto il secondo contratto;

6) era stato anche restituito al conduttore il deposito cauzionale del primo contratto, tanto che l'art. 10 del nuovo contratto prevedeva la costituzione di un nuovo deposito cauzionale.

Il conduttore, soccombente in sede di gravame, proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se, nel caso concreto, il giudice del merito - violando il disposto degli artt. 1230 e 1231 c.c. nonché degli artt. 27, 28 e 79 della l. n. 392/1978 - aveva errato nel ritenere che il nuovo accordo intervenuto tra le parti il 1° marzo 2003 configurasse novazione di quello in corso, richiamando, in proposito, i precedenti giurisprudenziali in base ai quali la modificazione della misura del canone e del termine di scadenza (e, quindi, anche di decorrenza e durata complessiva), sono considerate delle semplici “modificazioni accessorie”, insufficienti ad integrare la novazione, essendo, invece, necessario il mutamento, inteso come sostituzione dell'oggetto della prestazione, o del titolo, inteso come la ragione giustificatrice del contratto, e devono coesistere gli elementi dell'animus e della causa novandi.

Nella specie, il ricorrente sosteneva che tale causa novandi non poteva vedersi sottesa al nuovo accordo, almeno sul piano degli interessi del conduttore, dal momento che il nuovo regolamento si rivelava per lui deteriore, sia quanto alla durata del rapporto (stante che, valendo in ogni caso la regola della rinnovazione automatica in mancanza di disdetta, il rapporto, come regolato dal contratto originario, avrebbe avuto una scadenza anche più lontana di quella ritenuta in sentenza), sia quanto al canone (atteso che, in base al sopravvenuto accordo, questo subiva un aumento di ben € 1.375,00).

Si aggiungeva che l'aumento del canone mensile da € 3.125,00 sino ad € 4.500,00 in difetto di novazione, si traduceva in una pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone maggiore a quello spettantegli per legge, e, quindi, in un patto vietato, analogamente con riferimento alla prevista diversa scadenza del rapporto, sottolineando, comunque, che le altre pattuizioni menzionate nella motivazione dell'impugnata sentenza, a supporto della ritenuta natura novativa del contratto de quo, fossero meramente marginali o del tutto irrilevanti.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondato il ricorso del conduttore.

Invero, la ricognizione del contenuto del contratto stipulato tra le parti il 1° marzo 2003, quale operata dalla gravata sentenza, in raffronto al precedente, giustificava la qualificazione che ne aveva dato la Corte territoriale, nel senso che, con esso, le parti avevano inteso provvedere ad una “novazione oggettiva del rapporto”, con l'intenzione di regolare ex novo integralmente i loro reciproci diritti e obblighi, dando vita ad un rapporto locativo totalmente nuovo, al contempo, estinguendo quello precedente.

A confutare tale valutazione non valeva il richiamo - fatto nel ricorso - ai precedenti dei giudici di legittimità, i quali hanno costantemente evidenziato come le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono, di per sé, indice della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni meramente accessorie, ai sensi dell'art. 1231 c.c., della correlativa obbligazione o di modalità non rilevanti ai fini della configurabilità della novazione (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2021, n. 33884; Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2020, n. 22126; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2017, n. 14620; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5665 e n. 5673; Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2007 n. 11672).

Tale principio trova spiegazione, e fondamento positivo, nel combinato disposto degli artt. 1230 e 1231 c.c., a mente dei quali:

a) affinché possa configurarsi novazione oggettiva del rapporto obbligatorio, è necessario che ricorrano, oltre al mutamento dell'oggetto “o” del titolo della prestazione, gli elementi dell'animus novandi, inteso come manifestazione inequivoca dell'intento novativo, e della causa novandi, intesa come interesse comune delle parti all'effetto novativo;

b) le modifiche meramente accessorie non possono di per sé comportare novazione.

In quest'ordine di concetti - secondo il parere degli ermellini - ciò che deve ritenersi escluso è, dunque, la possibilità di argomentare la novazione del rapporto sulla base della sola modifica della scadenza o del canone della locazione, ma, per converso, affermare che, in tema di locazione, l'animus e la causa novandi non possano desumersi da modificazioni meramente accessorie riguardanti la durata e/o il canone della locazione, non significa escludere a priori, ove il nuovo contratto si caratterizzi (anche) per tali modifiche, la possibilità per le parti di comprovare - o per il giudice di desumere - tali elementi aliunde.

Ebbene, nel caso di specie, la motivazione del giudice distrettuale non era incorsa nell'errore argomentativo sopra rilevato, valorizzandosi in essa significativi elementi che, non risolvendosi nel mero riferimento alle modifiche di termini e/o canone, valevano, in effetti, ad evidenziare la comune intenzione delle parti a dare al rapporto un assetto totalmente nuovo, al contempo estinguendo quello precedente, in funzione di rilevanti e specifici interessi di entrambe che, altrimenti, non avrebbero potuto trovare uguale soddisfazione nel preesistente rapporto.

In tal senso, si sottrae alla censura svolta dal ricorrente il rilievo che - in sentenza - viene dato al fatto che la nuova conformazione temporale del rapporto rispondeva ad un obiettivo e non trascurabile interesse della conduttore a poter beneficiare di una durata doppia (dodici anni) rispetto a quella sulla quale, al momento della stipula del nuovo contratto (1° marzo 2003) e in mancanza della stessa, essa avrebbe potuto contare: interesse che viene anche confermato dal fatto - pure rimarcato in sentenza - che, nel nuovo contratto (art. 2), si ascriveva la suddetta innovativa previsione a fronte della precisa richiesta dello stesso conduttore.

A quella data, infatti, il precedente contratto era prossimo alla prima scadenza e, pertanto, considerata la limitata e remota eventualità di una disdetta del locatore - alla luce dei limiti al riguardo dettati dagli artt. 28-29 della l. n. 392/1978 – il conduttore avrebbe potuto contare su una durata prorogabile (solo) fino al 31 ottobre 2010, laddove, per effetto del nuovo contratto, invece, il rapporto aveva avuto una (nuova) prima scadenza al 28 febbraio 2009 e, conseguentemente, per effetto del medesimo meccanismo normativo testé ricordato, il conduttore avrebbe potuto fare affidamento su una durata effettiva minima fino al 28 febbraio 2015, salvo recesso della stessa.

Concludono i magistrati del Palazzaccio nel senso del rigetto del ricorso, aggiungendo che le altre pattuizioni - pur ricordate in sentenza - anche se, di per se sole, non decisive, avvalorano, tuttavia, nel loro insieme, il convincimento espresso dalla Corte d'Appello circa la configurabilità dell'animus novandi e concorrono anch'essi a rendere insindacabile sul punto, in quanto congruamente motivata, la decisione di merito.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, il Supremo Collegio ha, dunque, ribadito il costante insegnamento secondo cui, in tema di locazione, non è sufficiente ad integrare novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni meramente accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell'animus novandi e della causa novandi, il cui accertamento costituisce compito proprio del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se logicamente e correttamente motivato.

Al contempo, proprio perché i suddetti principi giurisprudenziali vanno “calati” al caso concreto, non si è escluso che, anche se il nuovo contratto si caratterizzi proprio per tali modifiche, l'animus e la causa novandi possano essere desunti aliunde, sulla base di altri elementi che evidenzino la comune intenzione delle parti di dare al rapporto un assetto totalmente nuovo, in funzione di interessi che, altrimenti, non avrebbero potuto trovare uguale soddisfazione.

In argomento, appare interessante ricordare che la giurisprudenza di merito, in ipotesi diverse dall'accordo incidente sulla durata del rapporto e sull'entità del corrispettivo, abbia, con prevalenza, escluso la novazione della locazione.

Ad esempio, si è puntualizzato che, in assenza di alcuna risultanza non equivoca, l'atto di transazione con il quale si riduce il numero dei vani concessi in locazione e, conseguentemente, si modifica l'entità del canone non costituisce nuovo contratto di locazione, sicché, ai fini della determinazione della scadenza del rapporto, occorre fare riferimento all'originario contratto di locazione (Pret.  Pisa 15 febbraio 1986).

Parimenti, non si configura un nuovo contratto ai sensi dell'art. 67, comma 3, della l. n. 392/1978 quando in un rapporto di locazione di immobile ad uso diverso di abitazione sia intervenuta, prima della fine del regime transitorio, la restituzione di una parte dei locali, rimanendo il contratto iniziale come fonte regolativa del rapporto locatizio relativamente ai locali rimasti nel godimento del conduttore (Pret. Firenze 12 aprile 1988).

Sempre di recente, nell'ordine dei concetti sopra delineati, il Supremo Collegio (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2023, n. 13542) aveva avuto modo di puntualizzare che, ai fini della configurabilità della novazione del contratto di locazione, la modifica della destinazione d'uso dell'immobile locato rispetto all'originaria destinazione, dalla quale non derivi innovazione della disciplina giuridica del rapporto, integra il necessario presupposto dell'aliquid novi, trattandosi - non già di una semplice modificazione delle modalità esecutive dell'originaria obbligazione ma, al contrario - di un rilevante mutamento della stessa, atteso che, in assenza della modifica pattizia, lo svolgimento di attività diversa da quella indicata in contratto costituirebbe inadempimento contrattuale legittimante il ricorso all'azione di risoluzione ex art. 1453 c.c.

Per completezza, è opportuno rimarcare che la mera rinnovazione non va confusa con la novazione, che si verifica, appunto, allorché i contraenti sostituiscono, all'originaria, una “obbligazione nuova”, ossia avente titolo od oggetto diverso, risultando, altresì, in modo non equivoco, la volontà di estinguere la precedente obbligazione.

In buona sostanza, mentre la rinnovazione tacita del contratto di locazione dà luogo ad un altro rapporto di contenuto identico a quello già in vigore, la novazione dà vita ad un rapporto diverso da quello cessato, le cui clausole non possono intendersi riportate nel nuovo rapporto se non espressamente richiamate.

Animus e causa novandi sono, infatti, requisiti estranei alla rinnovazione tacita della locazione, la quale si concreta nella conclusione di un nuovo contratto e non nella semplice proroga di quello originario, mentre le sole garanzie prestate da terzi non si estendono alle obbligazioni derivanti dal contratto rinnovato (Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2013, n. 11830).

Resta sempre inteso che l'accertamento circa la volontà delle parti - diretta alla rinnovazione oppure alla novazione - è demandato al giudice del merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto, il che, appunto, spiega come possano registrarsi soluzioni giuridiche diverse riguardo a fattispecie apparentemente analoghe.

Riferimenti

Celeste, Le modifiche meramente accessorie non comportano la novazione del contratto di locazione, in IUS Condominio e locazione, 22 settembre 2021;

Ferrari, Modifiche contrattuali sulla scadenza e sulla misura del canone di locazione: limiti e conseguenze, in IUS Condominio e locazione, 8 gennaio 2018;

Toti, Novazione oggettiva per il titolo ed annullamento del contratto che la dispone, in Foro pad., 2016, I, 227;

Stefanelli, Note in tema di negozio modificativo, in Obbligaz. e contr., 2012, 109

Mangialardi, La novazione nel contratto di locazione, in Contratti, 2004, 924;

Arlotta, Mutamento della destinazione d'uso dell'immobile locato e novazione tacita nella locazione, in Dir. e giur., 2003, 545;

Razza, Rinnovazione e novazione del contratto di locazione, in Arch. loc. e cond., 1989, 519;

Bertolo, Novazione e vecchi contratti, in Arch. loc. e cond., 1982, 535.

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