La clausola di risoluzione della locazione dopo il primo tacito rinnovo è valida solo se “inequivocabilmente conoscibile”

Luca Malfanti Colombo
13 Marzo 2024

La fattispecie sottoposta all’esame del giudice di appello ligure aveva per oggetto la verifica della legittimità o meno dell’intimata licenza dell’appellato per finita locazione sulla base dell’asserita comunicazione, da parte dell’appellante, della disdetta fuori dei termini legalmente previsti. Il tutto con contestuale accertamento circa la bontà della pretesa della stessa parte appellante relativamente all’intervenuta rinnovazione tacita del contratto di locazione già in essere.   

Massima

In tema di locazione, la previsione della clausola relativa al mancato rinnovo del contratto alla scadenza fissata, anche in assenza di ulteriore disdetta, è valida purché la medesima sia formulata in modo da rendere inequivocabilmente conoscibile all’inquilino tale volontà; nel rispetto di tale condizione, alcun limite è da porsi, invece, alla forma impiegata per la comunicazione di rinnovazione contrattuale che, quindi, è lascata alla libera scelta del locatore.

Il caso

La controversia prendeva le mosse dall’azione, promossa dal conduttore, volta all’accertamento della nullità e/o inefficacia della licenza per finita locazione, intimata con sentenza di primo grado, stante la mancata comunicazione della disdetta nei termini di legge e la conseguente intervenuta rinnovazione tacita del contratto locativo in essere, a dispetto della previsione contrattuale per cui la locazione, scaduto il primo rinnovo, doveva considerarsi terminata ed in alcun modo rinnovabile. 

La questione

Si trattava, per il giudice di appello, di verificare la liceità o meno della clausola, inserita nel contratto di locazione, che prevedeva l'immediata cessazione dello stesso alla scadenza del primo rinnovo legalmente stabilito; il tutto senza necessità di disdetta ulteriore e con esclusione di automatico rinnovo tacito come invece indicato, per il caso di specie, dalla previsione dell'art. 28 della l. n. 392/1978 in tema di locazione commerciale. 

Le soluzioni giuridiche

Al riguardo, la Corte d'Appello di Genova, ritenendo insussistente sia il fumus boni iuris che il periculum in mora, con relativa ordinanza rigettava l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività dell'impugnata sentenza di primo grado, ritenendo, quindi non accoglibile la domanda attorea volta all'ottenimento della dichiarazione  di nullità (e/o inefficacia) della licenza per finita locazione, stante la mancata comunicazione della disdetta nel termine di legge con la conseguente intervenuta rinnovazione tacita del contratto locativo già in essere. Nella specie, l'organo giudicante ligure aveva concluso per l'inaccoglibilità dell'istanza attorea ragionando ab origine sull'assunto della piena validità della clausola negoziale statuente, tra le parti, le modalità di cessazione del relativo rapporto alla scadenza contrattuale fissata. Il tutto rilevando, infatti, che “se ogni clausola negoziale sul punto fosse nulla ex lege, qualsiasi sua formulazione (anche come formale disdetta anticipata) non varrebbe a renderla valida”.

In proposito, la Corte territoriale, richiamando una precedente statuizione (sent. n. 11982/1991), aveva quindi ribadito la pacifica possibilità, per il locatore, di comunicare la disdetta del contratto anche con formule differenti da quelle prescritte dalla normativa in materia.

Il giudice distrettuale genovese aveva, infatti, affermato che “è di elementare evidenza che il termine […] (contrattualmente) indicato (per la fine della locazione) [...] vale come dies ad quem entro il quale la disdetta deve essere notificata per produrre l'effetto di impedire, alla scadenza di legge, la rinnovazione automatica del rapporto. Ne consegue pacificamente, che derivando la validità dell'atto di disdetta dalla reale efficacia, è valida qualsiasi forma che prima della data indicata […] assicuri la effettiva conoscenza, da parte dell'inquilino, della futura cessazione del rapporto alla sua scadenza”.

Mancando, pertanto, un qualsiasi divieto formale in tal senso l'appellante, nel caso in esame, al fine di ottenere la nullità della clausola sulla disdetta contrattualmente inserita, avrebbe dovuto, per l'organo giudicante, fornire una duplice dimostrazione. Ovvero, questi avrebbe dovuto provare sia la necessaria posteriorità della disdetta (comunque formalmente notificata) al perfezionamento del contratto (o comunque all'inizio della locazione) e sia la lesività dei suoi interessi da inquilino (legalmente tutelati) da parte della clausola contrattuale di cessazione della locazione alternativa alla notifica.

Sul punto, però, una smentita alla ricostruzione dell'appellante derivava proprio, per l'organo giudicante, dalla suddetta libertà di forma e validità di ogni atto producente l'effetto di mettere l'inquilino in condizioni di conoscere anticipatamente il mancato rinnovo della locazione alla scadenza pattuita. Indispensabile è quindi solamente - per la Corte d'Appello - che la clausola negoziale della disdetta garantisca in modo inequivocabile l'effettiva conoscibilità della mancata rinnovazione contrattuale da parte del conduttore. Infatti, ad avviso del giudice distrettuale, “se la disdetta si potesse validamente notificare soltanto in qualsiasi tempo intercorrente tra il perfezionamento del contratto (o l'inizio del rapporto) e il termine ad quem […], sarebbe pienamente valida ed efficace quella notificata anche nel primo giorno successivo all'inizio del rapporto, da valere sempre alla scadenza. Ma in tal modo, si riproporrebbero, per l'inquilino, tutti gli inconvenienti, le vessazioni e i pericoli sostanziali che, secondo il ricorrente, deriverebbero dalle contestualità della clausola con il contratto”.

Ad ulteriore conferma dell'inaccoglibilità delle pretese attoree la Corte d'Appello aveva poi richiamato il concetto di buona fede contrattuale. In altre parole, “dovendo le parti comportarsi, nello svolgimento delle trattative e nella formazione ed esecuzione del contratto secondo buona fede […] e dovendosi il contratto interpretare indagando sulla comune intenzione delle parti secondo buona fede”, diveniva implicito, per l'autorità giudiziaria, che al fine dell'annullamento di una clausola negoziale (quale quella in esame della disdetta), convenuta di comune accordo fra le parti, fosse necessario prima verificarne l'inequivocabile contrasto  “o con uno specifico divieto legislativo ovvero con gli assetti di interesse che la normativa (in tesi) violata tutela o compone. In mancanza (come si è già dimostrato per il caso in esame) conserva la sua generale validità la normativa sulla buona fede negoziale e interpretativa”.

Il Tribunale genovese, infine, si era quindi soffermato su un'ultima eccezione avanzata dall'appellante, già dopo la sentenza di primo grado, a sostegno della propria pretesa. Ovvero, il Tribunale di prima istanza aveva statuito che, essendo la rinnovazione tacita “ritenuta manifestazione di norma imperativa solo alla prima scadenza (argomentando da Cass. S.U. n. 11830/2013) e di volontà negoziale alla seconda (Cass. n. 19522/2019)”, del tutto legittima risultava la previsione della disdetta contenuta nella clausola del contratto di locazione stipulato inter partes.

Del resto, l'espressione usata nella detta clausola appariva chiara e dal “significato inequivoco […] non potendosi interpretare se non nel senso che sin da quel momento il locatore intende comunicare la sussistenza della sua volontà di interrompere il meccanismo di tacito rinnovo, volontà di cui il conduttore prende contestualmente atto, secondo il paradigma di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c.” (v. Trib. Massa n. 108/2022).

L'appellante rilevava, di contro, che nella detta statuizione non fosse pertinente il richiamo agli artt. 1334 e 1335 c.c., in quanto applicabili solo alle dichiarazioni unilaterali e non (come nel caso di specie) alle clausole contrattuali da intendersi invece come la conseguenza di una comune volontà espressa dalle parti del contratto. Anche sotto tale profilo, però, la Corte d'Appello aveva ulteriormente sconfessato la pretesa di parte appellante dimostrandone la totale inaccoglibilità. L'organo giudicante, ribadendo un precedente orientamento giurisprudenziale, aveva infatti confermato che “la disdetta è un atto unilaterale recettizio come desumibile dalla disposizione di cui all'art. 1334 c.c. e che la stessa per avere effetto “deve essere portata a conoscenza o alla conoscibilità del destinatario (art.1335 c.c.); per derogare a questa previsione è possibile una diversa pattuizione tra le parti”.

Stante tutto quanto sopra, la Corte di Appello rigettava quindi l'istanza attorea, ritenendone del tutto infondate le censure. Anche per il giudice genovese il tenore letterale della clausola di disdetta contenuta nel contratto di locazione risultava inequivoco. Le parti avevano deciso che quel contratto non potesse perdurare oltre il previsto e che pertanto, cessati i termini di durata, dovesse intendersi scaduto e risolto. Risultava dal dato testuale, in modo del tutto univoco e chiaro, che le parti avessero espressamente escluso il meccanismo del tacito rinnovo del contratto.

Osservazioni

Oggetto centrale del caso in esame è la asserita mancata comunicazione della disdetta nei termini di legge con il conseguente automatico tacito rinnovo del contratto di locazione. All'uopo, l'organo giudicante, confermando precedenti orientamenti giurisprudenziali, si focalizza sulla funzione precipua della disdetta che è appunto quella di informare l'inquilino della definitiva risoluzione della locazione alla scadenza contrattualmente fissata. Ciò deve avvenire, sulla base della normativa codicistica in materia, con un certo anticipo per permettere al conduttore - senza nocumento alcuno - una nuova e corretta predisposizione dei propri assetti personali o piuttosto professionali.

La disdetta è definibile come atto unilaterale e recettizio, “espressione di diritto potestativo attribuito ex lege, concretantesi in una manifestazione di volontà diretta ad impedire la prosecuzione o la rinnovazione tacita del rapporto locatizio” (Mascia, Masoni). Nel caso di locazioni abitative, la disdetta deve essere inviata al conduttore almeno sei mesi prima della scadenza del rapporto (artt. 2 e 3 l. n. 431/1998), mentre qualora si tratti di locazioni commerciali almeno dodici o diciotto mesi prima (art. 28 l. n. 392/1978).

Secondo parte della dottrina (Masoni, Izzo), la fissazione di una durata minima del rapporto costituisce innegabilmente un elemento fondamentale della disdetta. Da ciò deriverebbe che la predisposizione di una disdetta contestuale alla stipulazione del contratto, associata ad una clausola di non rinnovabilità della locazione, “inciderebbe negativamente sul perfezionamento della fattispecie di rinnovazione tacita e finirebbe altresì per modificare, nell'esercizio di una pretesa autonomia negoziale, il contenuto inderogabile della locazione previsto e voluto dalla legge (Mascia). La clausola di non rinnovabilità derogherebbe, quindi, ai tipi legali voluti dalla normativa in materia di locazione (i.e. l. n. 392/1978 e l. n. 431/1998).

La Corte d'Appello di Genova, invece, ritiene, “non immeritevole di tutela l'atto di autonomia negoziale che, in sede di stipulazione del contratto, consenta al conduttore di conoscere, fin da quel momento, la volontà del locatore di non voler rinnovare il contratto alla seconda scadenza, in conformità allo schema di una disdetta anticipata”. Il fondamento di tale impostazione deriva dall'esigenza di contemperare un duplice aspetto, e cioè: “la disponibilità dei beni di proprietà con le esigenze di tutela di chi, in virtù del contratto, affida a quei beni la sussistenza di diritti primari quale l'abitazione o il lavoro” (Mascia). Secondo il giudice genovese, pertanto, la previsione di una disdetta contestuale alla stipulazione del contratto associata alla clausola di non rinnovabilità della locazione, ha non solo l'utilità di evitare il reiterarsi del rapporto, ma “provvede altresì a programmare convenzionalmente il contemperamento dei reciproci interessi e comportamenti propri del locatore e del conduttore, collegati al momento della cessazione della locazione” (Masoni).

L'importante, per la Corte di Appello, è in ogni caso la compatibilità della clausola di non rinnovabilità (informata, ove intervenga alla prima scadenza) ai parametri di tassatività previsti dagli artt. 29 della l. n. 392/1978 e art. 3 della l. n. 431/1998. Il tutto al fine di consentire al conduttore di appurare la fondatezza delle motivazioni addotte alla fine della locazione.

Sulla validità della clausola con la quale i contraenti, in sede di conclusione del contratto, stabiliscono la non rinnovazione dello stesso, a scadenza raggiunta, si possono ravvisare due diversi orientamenti.

Parte della dottrina, sostenendo l'invalidità di una siffatta clausola, considera la previsione di una disdetta contestuale alla formazione del contratto come una modificazione “del tipo contrattuale adottato dal legislatore, attraverso un artificio formale che riconduce la locazione al tipo negoziale a tempo determinato tout court non prescelto dallo stesso”. Secondo questo orientamento, la clausola contrattuale di non rinnovabilità alla prima scadenza comporterebbe quindi l'alterazione del contenuto della locazione che, secondo il modello legale tipico ed inderogabile, “deve caratterizzarsi per un doppio ciclo di durata minima ed uniforme” (Izzo).

Viceversa, ad avviso della Corte d'Appello di Genova - al pari di precedenti giurisprudenziali di rilievo - è pienamente valida la clausola di non rinnovo del contratto alla seconda scadenza contrattuale. Per il giudice di secondo grado, infatti, deve essere considerata valida tale clausola purché però la medesima sia formulata in modo da far conoscere inequivocabilmente al conduttore la cessazione, anche in assenza di ulteriore disdetta, del rapporto locativo. Da ciò deriva che deve essere confermata alle parti la facoltà, nello stipulare il contratto di locazione, di stabilire le modalità di fine rapporto, “essendo l'efficacia dell'atto di disdetta correlata soltanto alla sua efficacia notificativa” (ovvero alla sua idoneità ad assicurare l'effettiva conoscenza, da parte del conduttore, della futura cessazione del rapporto alla sua scadenza). “In mancanza di un divieto formale, ovvero di contrasto con gli assetti di interesse tutelati dalla legislazione speciale, appare infondata l'asserzione che postuli una disdetta necessariamente successiva al perfezionamento del contratto” (Mascia, Masoni).

Dottrina consolidata sostiene, in proposito, che una siffatta clausola avrebbe come effetto non una deroga al ciclo di durata minima garantita dalle normative sulla locazione, quanto piuttosto alla previsione dell'art. 1597 c.c., che, agli effetti dell'esclusione della rinnovazione del contratto, richiede il previo invio della disdetta. In difetto di tempestiva disdetta, l'effetto della non rinnovazione del contratto sarebbe direttamente ricollegabile a tale clausola, legittimando l'instaurazione del procedimento di sfratto per finita locazione.

Riferimenti

Mascia, Valida la clausola di risoluzione del contratto di locazione dopo il primo rinnovo tacito, in IUS Condominio e locazione, 2022;

Masoni, L'estinzione del rapporto di locazione. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2011, 343;

Masoni, La clausola di non rinnovo alla seconda scadenza della locazione, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 2, 45;

Izzo, La disdetta contestuale al contratto di locazione, in Giust. civ., 1995, I, 2381.

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