Contratto di assicurazione contro i danni: meccanismi relativi alla clausola di regolazione del premio
25 Marzo 2024
Massima Nei contratti di assicurazione contro i danni con clausola di regolazione del premio, non sussiste rapporto di accessorietà tra l'obbligazione di pagamento del premio e l'obbligazione di comunicare periodicamente all'assicuratore gli elementi variabili; quest'ultima, infatti, è un'obbligazione diversa e autonoma rispetto a quelle indicate nell'art. 1901 c.c., sicché il suo inadempimento non può produrre automaticamente gli effetti previsti – con norma imperativa di carattere inderogabile – dalla citata disposizione codicistica per l'ipotesi di mancato pagamento del premio, tra cui quello della risoluzione di diritto del contratto di assicurazione. Il caso Una società, che aveva stipulato una polizza per i rischi del credito commerciale, si vede rifiutare il pagamento dell'indennizzo da parte della compagnia di assicurazione, per non aver essa adempiuto all'obbligo previsto di comunicare “l'importo totale delle vendite con pagamento dilazionato fatturate ai clienti”, riferito al periodo di durata del contratto assicurativo. In adempimento a tale obbligo, la società aveva notificato all'assicuratore il fatturato annuale conseguito, previa detrazione delle fatture relative ai cosiddetti “clienti declinati” e di quelle con dicitura “rimessa diretta”, pagate in contanti al momento dell'emissione. Non trattandosi di pagamenti dilazionati, infatti, per queste ultime non si riteneva esistesse il rischio di insolvenza del cliente ed il relativo credito sarebbe restato quindi al di fuori della copertura assicurativa prestata: per la società contraente, in pratica, tale parte del fatturato non avrebbe concorso a formare il fatturato assicurabile, ai fini della determinazione del premio. Il relativo conguaglio, o premio di regolazione, era stato dunque conteggiato dall'assicuratore e versato allo stesso dal contraente, per mezzo di un bonifico bancario. Nei mesi successivi, l'assicurato aveva chiesto la liquidazione di un indennizzo, in seguito al mancato pagamento di alcune fatture emesse nel corso di durata della polizza, ma si era visto respingere il sinistro, a causa del mancato adempimento dell'obbligo di notifica del fatturato assicurabile, avendo detratto dall'ammontare complessivo le fatture con dicitura “rimessa diretta”, che avrebbero dovuto esservi invece comprese. A questo punto, invocando la legittimità della detrazione di tali fatture dall'ammontare del fatturato assicurabile, in quanto pagate in contanti al momento dell'emissione, l'assicurato chiedeva la condanna dell'assicuratore a corrisponderle l'indennizzo dovuto, pari a circa 200.000 euro. La compagnia assicuratrice, costituitasi in giudizio, resisteva alla richiesta e invocava la risoluzione della polizza, in virtù dell'art.1456 del codice civile – Clausola risolutiva espressa – che prevede che i contraenti di un contratto possano convenire espressamente che lo stesso si risolva, nel caso che una determinata obbligazione non sia stata adempiuta secondo le modalità stabilite. L'assicuratore chiedeva inoltre che la società contraente venisse obbligata al pagamento del supplemento di premio dovuto per l'inserimento delle fatture indebitamente detratte dal calcolo del fatturato assicurabile. Il Tribunale di Roma accoglieva quasi integralmente (salvo che per la parte relativa alla detrazione delle fatture relative ai clienti declinati, reputata legittima) la domanda dell'assicuratore, dichiarando la risoluzione del contratto e la decadenza dal diritto all'indennizzo da parte dell'assicurato, condannandolo a corrispondere all'assicuratore il supplemento di premio illegittimamente detratto dall'ammontare del fatturato assicurabile. La Corte d'appello di Roma confermava poi integralmente la decisione del Tribunale di prima istanza, con le motivazioni di seguito elencate. a) Sussisteva l'inesatto adempimento dell'assicurato all'obbligazione di comunicare il complessivo ammontare del “fatturato assicurabile” per la determinazione del premio, in quanto le condizioni di polizza prevedevano il principio di globalità. Ciò comportava l'estensione della copertura assicurativa alla globalità delle vendite con pagamento dilazionato, fatturate nel periodo di validità della polizza e trovava la sua ratio nel meccanismo di determinazione del premio dovuto dall'assicurato, costituito da una parte minima fissa e da un'altra determinabile in base ad elementi variabili, che dovevano essere comunicati dall'assicurato. b) All'appendice n.8 del contratto assicurativo veniva concordato che le fatture con dicitura “rimessa diretta” dovessero considerarsi come aventi dilazione di pagamento di 120 giorni dalla data di emissione. Ciò le ricomprendeva nell'ammontare del fatturato assicurato. L'interpretazione prospettata dalla società attrice, secondo cui dal calcolo del fatturato notificato avrebbero dovuto detrarsi le fatture a rimessa diretta, in quanto pagate in contanti, non poteva essere condivisa, in particolare perché contraria al richiamato principio di globalità. c) Accertato l'inadempimento dell'assicurato, assumeva particolare rilevanza l'obbligazione (accessoria, rispetto a quella di pagamento del premio) di comunicare all'assicuratore tutti gli elementi atti ad incidere sul rischio assicurato, il cui inadempimento giustificava la risoluzione del contratto, in base alla clausola risolutiva espressa ivi contenuta. L'assicurato ricorre in Cassazione, che accoglie il ricorso, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. La questione L'assicurazione del credito costituisce un ramo appartenente alle coperture contro i danni, precisamente il ramo ministeriale numero 14, regolato secondo la disciplina generale, dettata a partire dall'art. 1882 del codice civile. Il Codice delle assicurazioni private (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) ha recepito l'esistenza di un autonomo Ramo Credito, nel quale il rischio assicurato ha come oggetto le “perdite patrimoniali derivanti da insolvenze; credito all'esportazione; vendita a rate; credito ipotecario; credito agricolo”. Per essere qualificate come tali, le assicurazioni del credito devono necessariamente possedere alcuni caratteri particolari:
Quest'ultimo punto è noto come principio di globalità e risulta in vigore anche ai sensi della Circolare Ivass n.162 del 24 ottobre 1991. Grazie ad esso, il contratto di assicurazione del credito deve obbligatoriamente assumere “forma globale”, il che vuol dire che, salvo ipotesi eccezionali, la relativa polizza deve includere, appunto, “tutti i debitori dell'assicurato o gruppi omogenei di essi”. Il principio di globalità è funzionale ad impedire la cosiddetta selezione avversa da parte dell'assicurato, ovvero il tentativo di attivare la copertura per le sole esposizioni debitorie con maggiore probabilità di default. Esso risponde dunque alla necessità di prevenire condotte commerciali del creditore che potrebbero determinare l'inefficacia dei criteri di assunzione dell'assicuratore, per la presenza di rischi troppo dipendenti da comportamenti discrezionali dell'assicurato. Per calcolare il premio annuale delle polizze di assicurazione del credito si utilizza come parametro il “fatturato assicurabile”, cioè quello che deriva, appunto, dalle vendite effettuate a credito. Al momento della stipula del contratto, l'assicurato comunica alla compagnia assicuratrice l'importo previsto per questo parametro, utile al conteggio del cosiddetto premio anticipato. Al termine di ciascun periodo assicurativo, l'ammontare preventivamente comunicato viene rideterminato in base al volume d'affari effettivo e la compagnia emette un documento di regolazione del premio, per incassare l'eventuale differenza rimanente. Ai sensi del disposto dell'art. 1901 del codice civile, qualora il contraente non dovesse provvedere al pagamento del premio, l'assicurazione resterà sospesa fino allo stesso e sarà poi risolta di diritto se l'assicuratore, nel termine di sei mesi dal giorno in cui il premio o la rata sono scaduti, non agirà per la riscossione. La Suprema Corte si è espressa a più riprese sulla questione inerente la sospensione della copertura assicurativa ai sensi del predetto art. 1901 c.c. A questo proposito e ai fini dell'interpretazione dell'ordinanza che commentiamo, risulta particolarmente efficace la massima espressa dalla stessa, con sentenza n. 16394/2009: “Nell'assicurazione contro i danni con clausola di regolazione del premio (in virtù della quale quest'ultimo viene determinato in parte in misura fissa, ed in parte in misura variabile, dipendente dal volume d'affari dell'assicurato o da altri elementi fluttuanti concernenti la sua attività) l'omessa comunicazione, da parte dell'assicurato, dei dati necessari per la determinazione della parte variabile del premio non comporta la sospensione della garanzia assicurativa, ai sensi dell'art. 1901 c.c., a meno che tale effetto non sia espressamente previsto nel contratto, e la relativa clausola non sia debitamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c.”. La sospensione della copertura viene dunque avvertita come clausola vessatoria e l'art. 1901 c.c. viene infatti espressamente richiamato all'articolo 1932 del codice civile, tra le cosiddette norme inderogabili, se non in senso più favorevole per l'assicurato. Le soluzioni giuridiche Torniamo ora alle indicazioni previste dalla Suprema Corte per spiegare i motivi della sua decisione. Nella disamina del primo motivo del ricorso, la sentenza d'appello è censurata, per aver ritenuto sussistente l'inadempimento della società contraente all'obbligazione di comunicare l'intero fatturato assicurabile, senza detrarre dal suo ammontare la somma corrispondente alle fatture recanti la dicitura “rimessa diretta”, pagate in contanti all'atto dell'emissione. 1) Il giudice non avrebbe infatti dovuto interpretare in modo letterale il principio di globalità enucleato in polizza, traendo l'implicazione che le fatture pagate in contanti al momento dell'emissione esulavano dalla copertura prestata e non dovevano pertanto essere computate nel “fatturato assicurabile”. Per tali fatture non sussisteva infatti alcun rischio di inadempimento ed esse non potevano che restare estranee all'oggetto della polizza, pena la nullità della stessa per difetto di causa. In particolare, la Suprema Corte sottolinea qui la contrapposizione del principio di globalità al disposto dell'art. 1895 c.c. – Inesistenza del rischio – postulato essenziale, sul quale fonda l'intero apparato assicurativo: se non vi è rischio, non può infatti esistere assicurazione. 2) L'esclusione dalla copertura assicurativa delle fatture pagate dai clienti all'atto dell'emissione, inoltre, emergeva anche dalle definizioni di polizza, che indicavano espressamente, quale “fatturato assicurabile”, “l'importo totale delle vendite con pagamento dilazionato fatturate ai propri clienti”. 3) Viene inoltre censurata l'erronea interpretazione dell'appendice 8 del contratto, in forza della quale sarebbero rientrate nell'oggetto dell'assicurazione anche le fatture pagate in contanti all'atto dell'emissione. Tale interpretazione risulterebbe “illogica e antigiuridica”, poiché, oltre a non tener conto che per tali fatture non sussisteva il necessario rischio contrattuale, essa risultava in contrasto con l'art. 1362, comma 1, del codice – che impone di indagare la comune intenzione delle parti – e con il disposto dell'art.1363 c.c., che prevede la necessità di interpretare le singole clausole per mezzo delle altre presenti nel contratto. Interpretando il contenuto dell'appendice 8 alla luce degli artt. 1 e 2.1. delle condizioni generali del contratto, infatti, sarebbe risultato che la stessa era esclusivamente finalizzata a stabilire una scadenza convenzionale del pagamento di 120 giorni per le sole fatture a “rimessa diretta”, per le quali veniva eventualmente concessa una dilazione di pagamento. 4) Sempre alla luce del disposto dell'art. 1363 del codice, la Corte d'appello non avrebbe tenuto conto delle clausole contrattuali relative alla revisione annuale del premio, ed in particolare dell'art.7.1. della polizza, che poneva a carico dell'assicurato l'obbligo periodico di comunicare all'assicuratore il fatturato assicurabile, a mezzo dell'apposito “Modulo di Notifica”. In tale documento veniva chiaramente indicato che dal fatturato complessivo dovevano essere detratte le fatture escluse dalla copertura assicurativa ed, espressamente, quelle “con pagamento in contanti o assegno circolare (es. Rimesse Dirette)”. 5) La sentenza impugnata risulta infine censurata per non aver rispettato ulteriori criteri interpretativi del contratto quali:
Nell'esaminare il secondo motivo del ricorso, la sentenza di appello è censurata per avere attribuito all'inadempimento dell'assicurato l'effetto di determinare la risoluzione automatica del contratto di assicurazione. Ciò, per la mancata comunicazione dell'esatto ammontare del fatturato assicurabile, funzionale alla determinazione della parte variabile del premio assicurativo, qualificata come “accessoria” a quella di pagamento del premio e tale da giustificare la risoluzione del contratto. Inoltre, in base alla clausola risolutiva espressa contenuta nelle condizioni generali di polizza, lo scioglimento del contratto sarebbe stato giustificato dalla violazione degli obblighi stabiliti dalle medesime, il che avrebbe comportato la decadenza dell'assicurato da ogni diritto all'indennizzo. A questo proposito, viene richiamato il contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, con sentenza n. 4631/2007 a Sezioni Unite, secondo cui la determinazione del premio nei contratti di assicurazione contro i danni, fissata in base ad elementi variabili e soggetta a regolazione, “comporta un'obbligazione diversa e autonoma, rispetto a quelle indicate nell'art. 1901 c.c., sicché il suo inadempimento non può produrre automaticamente gli effetti previsti – con norma imperativa di carattere inderogabile – dalla citata disposizione codicistica per l'ipotesi di mancato pagamento del premio, tra cui quello della risoluzione di diritto del contratto di assicurazione”. In pratica, per queste polizze di assicurazione contro i danni, non sussiste rapporto di accessorietà tra l'obbligazione di pagamento del premio e quella di comunicare all'assicuratore gli elementi variabili, utilizzati per il relativo conteggio. Trattandosi di obbligazioni diverse ed autonome, rispetto a quelle previste nell'art. 1901 c.c., l'eventuale inadempimento da parte dell'assicurato non può produrre automaticamente la risoluzione di diritto del contratto e la susseguente perdita di diritto all'indennizzo. L'inadempimento (in questo caso, inesatto adempimento) dell'obbligazione di comunicare periodicamente all'assicuratore gli elementi variabili presuppone infatti un'attenta valutazione della condotta esecutiva di buona fede delle parti e dell'importanza dell'inadempimento stesso, allo scopo di verificare se le variazioni non comunicate abbiano avuto una rilevanza tale, da comportare quell'apprezzabile alterazione del rapporto di adeguatezza tra rischio e premio che mutuano il cosiddetto principio di globalità. Per quanto attiene all'operatività della clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c., qualora venga stabilito che la mancata comunicazione delle variazioni determini la sospensione della garanzia o l'automatica risoluzione di diritto del contratto assicurativo, tale clausola deve reputarsi nulla, ai sensi dell'art. 1932, comma 1, c.c., in quanto derogatoria della disciplina legale, perché meno favorevole all'assicurato. Essa, infatti, non pone una deroga a norme dispositive, e dunque derogabili, ma si trova in contrasto con norme imperative e quindi inderogabili, il che comporta che venga automaticamente sostituita, in conformità al disposto del predetto art. 1932 c.c. Osservazioni La clausola di regolazione del premio rappresenta un elemento di centrale importanza per gli assicuratori. Essa incarna, infatti, alcuni principi fondamentali su cui è imperniato l'intero sistema assicurativo. Primo tra questi, la necessità di rapportare il premio di polizza al rischio realmente corso, ribadito all'art. 1907 del codice civile (Assicurazione parziale): “Se l'assicurazione copre solo una parte del valore che la cosa assicurata aveva nel tempo del sinistro, l'assicuratore risponde dei danni in proporzione della parte suddetta, a meno che non sia diversamente convenuto”. Poiché il premio di polizza viene conteggiato sui valori dichiarati dall'assicurato, questi finirebbe infatti col pagare un premio inferiore a quello dovuto e potrebbe trarre un vantaggio illecito dall'aver contratto la polizza. In molti casi, però, si pone la necessità di derogare alla regola proporzionale imposta dall'art. 1907 c.c., a causa della difficoltà a determinare con esattezza il valore delle cose assicurate o l'entità del rischio stesso, al momento della stipula del contratto. Questi possono variare grandemente, ad esempio, in presenza di fenomeni inflattivi o deflattivi o a causa del naturale sviluppo del rischio assicurato, all'interno del periodo di validità dell'assicurazione stessa. Le compagnie di assicurazione concedono quindi agli assicurati un certo margine, perché non restino vittime dell'applicazione di tale norma codicistica, vedendosi ridotto proporzionalmente l'eventuale indennizzo dovuto. Nella pratica, questo margine si sostanzia nelle clausole di deroga parziale o totale alla regola proporzionale, quando ci muoviamo nell'ambito delle assicurazioni property, oppure nelle clausole di regolazione del premio, quando si prevede che l'assicurato dichiari, al termine di ciascun periodo assicurativo, l'effettivo ammontare del parametro utilizzato per il conteggio del premio di polizza, in modo che l'assicuratore possa incassare l'eventuale differenza dovuta. Nel ricorrere a tali clausole di regolazione del premio è tuttavia necessario porre particolare attenzione alla ripartizione degli obblighi esistenti tra assicurato e compagnia assicuratrice, in base al principio generale di buona fede nell'esecuzione del contratto assicurativo, evidenziato ed articolato dalla Suprema Corte nel caso in discussione. Quest'ultimo ricalca una serie di provvedimenti che hanno sottolineato come, a differenza di quanto emerso dall'orientamento tradizionale, ormai assai datato, la sospensione automatica della copertura assicurativa, in caso di inadempimento da parte dell'assicurato all'obbligo contrattuale di comunicare le variazioni del rischio atte all'aggiustamento del premio di polizza, non è più ammissibile de iure. Vi è infatti il pericolo che tale pratica determini un vantaggio per le imprese di assicurazione, ove le stesse ottenessero la sospensione della copertura prestata, senza che venga effettuata una reale valutazione dell'effettiva incidenza, sull'ammontare definitivo del premio, dei dati variabili omessi. È sempre utile rammentare che il codice civile vigila sul mantenimento degli equilibri esistenti tra le parti di un contratto, pertanto, anche se per gli assicuratori e per alcuni osservatori, la clausola di regolazione derogherebbe in senso favorevole all'assicurato al principio dell'integrale anticipazione del premio, la posizione prevalente risulta ormai quasi totalmente allineata alla citata giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo la quale l'inadempimento all'obbligo di comunicare all'assicuratore gli elementi variabili non comporta l'automatica sospensione della garanzia, ma può giustificare tale effetto o la risoluzione del contratto solo in base ai principi generali in tema di importanza dell'inadempimento e di buona fede. Riferimenti Rossetti, Il diritto delle assicurazioni, vol. I: L'impresa di assicurazione, Il contratto di assicurazione in generale, Cedam, 2011; Pactum, Rivista di diritto dei contratti – Assicurazione con regolazione del premio e omessa indicazione dei dati variabili - Pacini Giuridica; Isvap – circolare n.162: disciplina dei rami “credito” e “cauzioni”, 24 ottobre 1991. |