Apporto di un immobile in un fondo comune d’investimento
02 Aprile 2024
Massima Per questo genere di operazioni, infatti, è valida la disciplina di cui all'art. 9, D.L 351/2001 la quale rappresenta la disciplina ordinaria per i casi in questione. In secondo luogo, gli apporti di immobili in un fondo immobiliare non possono essere assimilati agli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari, previsti dall'art. 1 della Tariffa - parte prima – allegata al d.P.R. n. 131 del 1986. Il caso La questione oggetto del presente commento deriva da un avviso di liquidazione notificato dall'Agenzia delle Entrate, con il quale si richiedeva il recupero dell'ordinaria imposta proporzionale di registro (9% ex art. 1 Tariffa Parte Prima all. al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) relativamente ad un'operazione di sottoscrizione di quote di un fondo immobiliare mediante l'apporto di un immobile. Alla stipula dell'atto, le parti avevano assoggettato ad imposta autoliquidata di registro in misura fissa ai sensi dell'articolo 9 della L 410/2001, con richiamo al combinato disposto di cui agli articoli 7 della Tabella ed 11 della Tariffa-Parte prima allegate al d.P.R. 131/86. Chiamata a decidere sul tema, la Commissione tributaria regionale aveva osservato che, innanzitutto, era fondato l'appello dell'Agenzia delle Entrate, dato che l'articolo 9 del D.L. 351/2001 integrava una disciplina speciale di natura agevolativa per gli apporti ai fondi immobiliari, così da risultare abrogato ad opera dell'articolo 10, comma 4, d.lgs. n. 23/2011. In secondo luogo, la CTR sanciva che gli effetti sostanziali dell'atto notarile in questione erano quelli di un trasferimento a titolo oneroso della proprietà degli immobili, con relativa trascrizione dell'atto di alienazione presso la Conservatoria RRII, il che confermava l'assoggettamento dell'atto all'imposta di registro in misura proporzionale. Non soddisfatto, il contribuente – una nota Cassa nazionale di previdenza e assistenza - presentava ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, il fatto che la CTR non avesse considerato la disciplina di cui all'art. 9 D.L. 351/2001 quale regime ordinario e naturale di tassazione degli atti di apporto in fondo comune (sia mobiliare sia immobiliare). Tale tesi, avrebbe trovato giustificazione nel fatto che le operazioni contestate non integravano atti traslativi della proprietà, bensì atti peculiari di attribuzione ad un fondo autonomo di una disponibilità strumentale rispetto alla destinazione impressa ai beni, e vincolata alla gestione della SGR. Da ciò avrebbe dovuto escludersi, proprio perché privo di carattere agevolativo, l'abrogazione di questo regime impositivo da parte dell'art. 10, comma 4, d.lgs. n. 23 del 2011. La suprema Corte ha deciso con sentenza n. 3218, depositata il 5 febbraio 2024, accogliendo il ricorso, cassando la sentenza impugnata e compensando le spese di giudizio. La questione La questione oggetto della sentenza del presente commento riguarda l'ammontare dell'imposta di registro da applicare alle operazioni di sottoscrizione di quote di fondi d'investimento immobiliare, in particolare quando, tali sottoscrizioni, vengono fatte tramite l'apporto di immobili. Le parti sottoscrittrici, infatti, all'atto di sottoscrizione avevano autoliquidato l'imposta in misura fissa, richiamandosi a quanto disposto dall'art. 9, c.1 D.L. 351/2011. L'Agenzia delle Entrate, invece, sosteneva l'applicazione al caso concreto dell'imposta di registro in misura proporzionale (9%), ai sensi dell'art. 10, c. 4, D.Lgs 23/2011. Al fine di chiarire l'ambito della questione, è importante riportare la normativa sulla quale tale questione si fonda. Nello specifico:
Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte con la sentenza n. 3218/2024, ha dichiarato – innanzitutto – come non sia condivisibile la decisione del giudice di merito nella parte in cui nega alla normativa di cui art. 9 D.L. 351/2001 la natura di disciplina ordinaria ed organica della fattispecie, ascrivendola invece all'ambito delle agevolazioni esonerative di un regime generale. Infatti, proprio la collocazione sistematica di tale articolo assurge a vero e proprio “statuto” fiscale complessivo dei fondi comuni immobiliari. Si tratta, quindi, di una disciplina impositiva tendenzialmente globale, sistematica e storicamente radicata, esplicitamente ispirata all'esigenza dello “sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare”. Da ciò, nonché richiamando ulteriore normativa a supporto, la Cassazione ha specificato che tale regime non può essere stato inciso dall'intervento abrogativo delle “agevolazioni” di cui all'art. 10, comma 4, D.Lgs. 23/2011, dovendosi questa previsione necessariamente riferire (come anche confermato dal lungo elenco eccettuativo) alle agevolazioni in senso stretto e tipico, non anche a quelle discipline sintomaticamente rivolte ad apprestare un regime strutturale ed ordinario. In secondo luogo, la sentenza in commento ha posto in evidenza come la sottoscrizione di quote di fondi comuni di investimento sia più correttamente accostabile all'ambito societario che non a quello traslativo, dato che “la nozione di conferimento si ricollega al ruolo di socio, così dunque quella di apporto si relaziona al ruolo di partecipante al fondo ed alla titolarità delle relative quote”. Tali fondi, tuttavia, proprio perché enti di natura prettamente strumentale nella veicolazione dei risparmi investiti, non sono dotati (diversamente dalle società) di un'autonoma soggettività giuridica, rappresentando piuttosto patrimoni separati della SGR che li ha istituiti e che li amministra. Richiamando precedenti decisioni della stessa corte, inoltre, è stato ricordato che qualora i beni ed i diritti non siano attribuiti all'avente causa in modo stabile, definitivo e con la pienezza delle prerogative dominicali, essendo egli tenuto solo ad amministrarli ed a strumentalmente disporne nell'interesse altrui, in regime di segregazione patrimoniale, non può dirsi realizzato un effettivo trasferimento di ricchezza, così da integrare un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva. La strumentalità dell'atto di apporto nell'ambito di una separatezza patrimoniale finalizzata ad uno scopo vincolato ed eterodeterminato può giustificarne l'estraneità agli atti traslativi propriamente detti, tassati in misura proporzionale. Da tali ragionamenti ne deriva che risulta inapplicabile al caso in esame quanto stabilito dall'art. 10, comma 4, del D.Lgs 23/2011, per la duplice e concorrente ragione che la disciplina prevista, per gli atti di dotazione dei fondi comuni di investimento immobiliare, non ha carattere di agevolazione, ma di disciplina ordinaria. In secondo luogo, per il fatto che gli apporti al fondo su sottoscrizione di quote non possono essere assimilati agli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari previsti dall'art. 1 della Tariffa - parte prima – allegata al d.P.R. n. 131 del 1986. Osservazioni La sentenza n. 3218/2024 ha messo in risalto i seguenti argomenti:
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