Responsabilità da circolazione stradale: risarcibile il danno da perdita dell'anno scolastico

Michele Liguori
01 Aprile 2024

La S.C. torna a occuparsi della personalizzazione del risarcimento e del danno da lucro cessante futuro per la perdita dell’anno scolastico e, quindi, per il conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro.

Massima

Il principio dell'integralità del risarcimento pone a carico del giudice del merito l'obbligo di motivare su tutte le singole componenti del danno incorrendo altrimenti in violazione dell'art. 2056 c.c.

La perdita dell'anno scolastico per fatto illecito altrui rileva sia per la personalizzazione del risarcimento che per la liquidazione del danno patrimoniale futuro.

Il giudice deve dar conto del peso specifico attribuito a ciascun fattore di probabile incidenza sul danno in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria liquidazione e consentire, pertanto, il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento.

Il danno patrimoniale da ritardato compimento degli studi e conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro è risarcibile con onere della prova favorevole al danneggiato in ragione dell'intrinseca potenzialità dannosa per il medesimo della perdita di un anno scolastico e del ritardato ingresso nel mondo del lavoro, con riduzione dei suoi redditi futuri.

Il caso

Un veicolo investe una minore ferma quale pedone in un piazzale pubblico.

La minore, nell'evento, subisce lesioni personali - a causa delle quali perde l'anno scolastico - e a cui residuano postumi di natura permanente.

La lesa, nelle more divenuta maggiorenne, e la madre convivente citano in giudizio dinanzi al competente Tribunale il conducente, la proprietaria e l'impresa di assicurazione del veicolo al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali.

Radicatasi così la lite si costituisce la sola impresa di assicurazione che resiste e limita la sua contestazione al solo quantum debeatur.

Nel corso della fase istruttoria viene ammessa ed espletata C.T.U. medico legale sulla vittima primaria che accerta una durata della malattia di complessivi giorni 340 tra I.T.T. e I.T.P. e la sussistenza di postumi di natura permanente nella misura dell'11-12%.

Il Tribunale di Milano con sentenza 5 novembre 2018, n. 11082:

- dichiara l'esclusiva responsabilità del conducente del veicolo nella causazione del sinistro;

- condanna le parti convenute a risarcire la lesa:

     (-) il danno biologico da I.T. e da I.P. sulla scorta delle tabelle di Milano con una maggiorazione del 20% (sia sul danno biologico da I.T. che da I.P.) per la personalizzazione del danno tenendo conto delle sue condizioni soggettive e del grado di sofferenza psicofisica per la deambulazione avvenuta con il supporto dei bastoni per circa sei mesi, la riduzione della frequenza scolastica, la perdita dell'anno scolastico e la sospensione dell'attività sportiva di scherma praticata con assiduità in precedenza;

     (-) il danno emergente passato per le spese mediche e di cura;

     (-) le spese sostenute per la consulenza medica di parte;

     (-) gli interessi compensativi sulle somme devalutate al momento dell'evento e via via rivalutate;

- condanna, altresì, le parti convenute a risarcire la madre della lesa il danno da lucro cessante passato per la contrazione del reddito conseguente alle assenze dal lavoro per assistere la figlia durante le visite mediche;

- compensa tra le parti la metà delle spese di lite e condanna le parti convenute al pagamento in favore delle parti attrici della restante metà.

La lesa e la madre propongono appello avverso detta sentenza affidato a cinque motivi.

Con il primo motivo la lesa lamenta l'incongrua liquidazione del danno non patrimoniale per la mancata liquidazione della percentuale massima consentita a titolo di personalizzazione del danno (47%).

Con il secondo motivo la lesa lamenta la mancata liquidazione del danno da lucro cessante futuro per la perdita dell'anno scolastico e il conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro.

Con il terzo motivo la madre della lesa lamenta l'incongrua liquidazione del danno da lucro cessante passato.

Con il quarto motivo le appellanti lamentano la mancata liquidazione delle spese legali stragiudiziali.

Con il quinto e ultimo motivo le appellanti lamentano l'errata compensazione della metà delle spese di lite.

Radicatasi così la lite in sede di appello, si costituisce la sola impresa di assicurazione che resiste e chiede il rigetto del gravame.

La Corte di appello di Milano con sentenza del 30 settembre 2020, n. 2451:

- accoglie parzialmente il terzo e quarto motivo di appello e:

     (-) aumenta l'ammontare del risarcimento del danno da lucro cessante passato liquidato alla madre della lesa;

     (-) liquida alle appellanti le spese legali stragiudiziali;

- rigetta gli altri motivi di appello;

- compensa tra le parti la metà delle spese di lite del doppio grado di giudizio e condanna le parti appellate al pagamento in favore delle parti appellanti della restante metà.

La Corte di appello di Milano, per quello che qui rileva, a sostegno del rigetto del primo motivo di appello rileva che «appare pienamente condivisibile il grado di personalizzazione del danno espresso dal Tribunale nella misura del 20% del complessivo danno tabellare» atteso che:

- «il danno non patrimoniale è stato…maggiorato nella misura del 20% in applicazione dei valori indicati nella tabella del Tribunale di Milano, in considerazione dell'età e delle condizioni soggettive della danneggiata che hanno inciso sul suo rendimento scolastico, con giudizio negativo, e sulla possibilità di proseguire l'attività sportiva praticata fino a quel momento»;

- «il grado di invalidità accertata dal Tribunale supera appena la soglia minima per non far luogo ai parametri di cui alla l. n. 57/2001 (oggi art. 139 Cod. Ass.) stabiliti per le micro permanenti che prevedono la personalizzazione massima nella misura del 20%, con applicazione in via equitativa delle tabelle elaborate dagli uffici Giudiziari (nel caso di specie quelle – incontestate - del Tribunale di Milano)»;

- «l'appellante, pur censurando la quantificazione compiuta in sentenza, non offre elementi diversi ed ulteriori da quelli già presi in considerazione dal Tribunale da cui poter desumere una particolare grave sofferenza e una seria compromissione delle relazioni personali e sociali, tale da legittimare una diversa valutazione rispetto a quella congruamente operata e motivata dal primo giudice, risultando le sue critiche palesemente generiche ed inidonee a giustificare una maggior personalizzazione».

La Corte di appello di Milano, sempre per quello che qui rileva, a sostegno del rigetto del secondo motivo di appello rileva che «il motivo non possa essere condiviso, non avendo parte appellante offerto elementi sufficienti per dimostrare l'incidenza della bocciatura sul ritardo nell'entrata nel mondo del lavoro, questione nemmeno oggetto di minime allegazioni. La medesima, infatti, si è limitata alla mera rappresentazione del lamentato danno giustificato, unicamente, sulla base della invalidità permanente residuata in capo alla stessa a seguito del sinistro, non essendo, peraltro, possibile correlare un ritardato inserimento nel mondo del lavoro di una ragazza quattordicenne all'epoca del sinistro. Giova, peraltro, ricordare che il diritto al risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa non sorge al solo verificarsi di una lesione della salute di non modesta entità, essendo anche necessario che il danneggiato fornisca la prova idonea a dimostrare che l'evento dannoso abbia prodotto una contrazione effettiva del suo reddito, ovvero che possa costituire, in generale, un “limite” per l'infortunato, nella ricerca e nell'espletamento di un'occupazione lavorativa».

La sola lesa propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Con il primo motivo lamenta «violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c., violazione del principio della integrale riparazione del danno».

Tale motivo, seppur formalmente unico, contiene due distinte censure:

- con la prima, la ricorrente lamenta l'omessa liquidazione della percentuale massima consentita a titolo di personalizzazione del danno non patrimoniale e censura - sotto il profilo della motivazione - la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto adeguata la percentuale del 20% sul presupposto che «il grado di invalidità accertata dal Tribunale supera appena la soglia minima per non far luogo ai parametri di cui alla l. n. 57/2001, stabiliti per le micro permanenti che prevedono la personalizzazione massima nella misura del 20% con applicazione in via equitativa»;

- con la seconda censura la ricorrente, in relazione alla perdita dell'anno scolastico, lamenta:

     (-) l'omessa considerazione di tale evento ai fini della massima personalizzazione del danno non patrimoniale;

     (-) l'omessa liquidazione del danno da lucro cessante futuro per il ritardato ingresso nel mondo del lavoro.

Con il secondo e ultimo motivo lamenta «nullità della sentenza ex art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c., sub specie di violazione dell'art. 112 c.p.c., violazione del principio di soccombenza (artt. 91 e 92 c.p.c.) contraddittorietà della motivazione, violazione del principio dell'equo compenso e violazione dell'art. 2233, comma 2, c.c.)».

Anche tale motivo, seppur formalmente unico, contiene due distinte censure:

- con la prima, la ricorrente lamenta l'errata compensazione delle spese di lite;

- con la seconda, la ricorrente lamenta l'incongrua liquidazione delle spese di lite.

Radicatasi così la lite in sede di legittimità, l'impresa di assicurazione resiste con controricorso.

La Suprema Corte con la decisione in commento (Cass. civ. 11 ottobre 2023, n. 28418):

  • accoglie entrambe le censure del primo motivo di ricorso;
  • dichiara assorbito il secondo motivo;
  • cassa l'impugnata sentenza;
  • rinvia la causa alla Corte di merito in diversa composizione.

La questione

Le questioni giuridiche affrontate dal giudice di legittimità sono due:

- la prima è relativa alla personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale;

- la seconda è relativa alla liquidazione del danno da lucro cessante futuro per la perdita dell’anno scolastico e il conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte dissente dalla decisione della Corte di merito e cassa la sua decisione.

I giudici rilevano, in particolare, che la Corte di merito:

- ha errato nell'applicare un aumento del punto tabellare (20%) proprio delle micro permanenti a una fattispecie di lesione macro permanente (11% -12%);

- non si è uniformata alla giurisprudenza di legittimità che:

     (-) ha affermato il principio dell'integralità del risarcimento ponendo a carico del giudice del merito l'obbligo di motivare su tutte le singole componenti del danno incorrendo altrimenti in violazione dell'art. 2056 c.c.;

     (-) ha valorizzato la perdita dell'anno scolastico sia ai fini della personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale sia a titolo di danno patrimoniale autonomamente risarcibile.

La Suprema Corte rileva, ancora:

- in relazione al primo profilo, che il giudice deve dar conto del peso specifico attribuito a ciascun fattore di probabile incidenza sul danno in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria liquidazione e consentire, pertanto, il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento;

- in relazione al secondo profilo, che:

     (-) il danno da ritardato compimento degli studi e conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro è risarcibile con onere della prova favorevole al danneggiato in ragione dell'intrinseca potenzialità dannosa per il medesimo della perdita di un anno scolastico e del ritardato ingresso nel mondo del lavoro, con riduzione dei suoi redditi futuri;

     (-) la Corte d'appello ha disatteso il suindicato principio là dove si è limitata ad affermare che la mancanza di redditi non è di per sé sufficiente a escludere il danno risarcibile e che il danneggiato deve provare, sulla base di elementi concreti, che il ritardato compimento degli studi e conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro sia stato foriero di danni, senza considerare che sulla base di nozioni di comune esperienza la perdita dell'anno scolastico produce gravi conseguenze, desumibili anche in base alla prova presuntiva.

La Suprema Corte, pertanto, alla luce di tali pacifici principi, accoglie entrambe le censure del primo motivo di ricorso.

Osservazioni

La decisione della Suprema Corte - seppur ineccepibile in astratto per i principi enunciati - non è condivisibile per l'applicazione che ne ha fatto al caso concreto.

Queste le ragioni.

Danno non patrimoniale: personalizzazione del risarcimento

L'art. 138, comma 1, Cod. Ass. ha previsto l'emanazione di due tabelle uniche nazionali:

- delle menomazioni all'integrità psico-fisica comprese tra 10 e 100 punti (lett. a);

- dei relativi valori economici (lett. b).

L'art. 138, comma 3, Cod. Ass. – nel testo oggi vigente – disciplina la personalizzazione del risarcimento e dispone: «Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 1, lett. b), può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento».

Le tabelle uniche nazionali previste dalla norma allo stato attuale non sono state ancora approvate (il Consiglio di Stato, in relazione alla tabella dei valori monetari approvata dal Consiglio dei Ministri in data 16 gennaio 2024, con parere n. 164/2024 ha espresso delle dure osservazioni critiche in merito all’attività di concertazione interministeriale e al perseguimento degli obiettivi dell’art. 138, comma 1, C.d.A. e, pertanto, ha sospeso  «l’espressione del parere»).

La Suprema Corte, ciò nonostante, ha già più volte ritenuto che le definizioni e i criteri risarcitori di cui all'art. 138 Cod. Ass. hanno un'evidente valenza interpretativa e, pertanto, sono già in vigore malgrado l'Esecutivo non abbia ancora ottemperato all'emanazione della tabella dei valori economici (Cass. civ. 4 novembre 2020, n. 24473; Cass. civ. 11 marzo 2020, n. 7024; Cass. civ. 4 febbraio 2020, n. 2461; Cass. civ. 17 ottobre 2019, n. 26305; Cass. civ. 29 marzo 2019, n. 8755; Cass. civ. 8 febbraio 2019, n. 3722; Cass. civ. 30 ottobre 2018, n. 27458; Cass. civ. 28 settembre 2018, n. 23469; Cass. civ. 22 agosto 2018, n. 20920; Cass. civ. 20 agosto 2018, n. 20795; Cass. civ. 13 luglio 2018, n. 18541; Cass. civ. 13 aprile 2018, n. 9196; Cass. civ. 17 gennaio 2018, n. 901; Cass. civ. 14 novembre 2017, n. 26805).

La liquidazione del danno alla salute, pertanto, avviene ancora mediante l'utilizzo:

- dei barème medico legali, sia legislativo (D.M. 3 luglio 2003, n. 11790, in caso di lesione micropermanente) che di uso corrente;

- delle tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale redatte vuoi dal Tribunale di Milano - i cui valori di riferimento sono stati ritenuti equi in quanto in grado di garantire la parità di trattamento e, pertanto, da applicarsi in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità (Cass. civ. 7 giugno 2011, n. 12408 che è il leading case) - vuoi del Tribunale di Roma mediante l'applicazione del principio del punto variabile.

I barème medico legali oggi vigenti esprimono in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione si presume riverberi sullo svolgimento delle attività comuni a ogni persona.

Tali conseguenze si distinguono in due gruppi:

- quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare grado di invalidità;

- quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.

Tanto le prime quanto le seconde costituiscono forme di manifestazione del danno non patrimoniale aventi identica natura che vanno tutte considerate in ossequio al principio dell'integralità del risarcimento, senza, tuttavia, incorrere in duplicazioni computando lo stesso aspetto due o più volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni.

Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (v. Cass. civ. 27 marzo 2018, n. 7513, c.d. “ordinanza decalogo”).

La personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale è certamente rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito.

Questi, però, nell'esercizio del suo ampio potere discrezionale deve:

- tener conto del peso specifico attribuito ai vari fattori di probabile incidenza sul danno del caso concreto;

- motivare adeguatamente la sua decisione in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella sua determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento del danno alla persona.

In mancanza, la sentenza sarà affetta dal vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al di sotto del minimo costituzionale richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost.) e per violazione dell'art. 1226 c.c.

È ius receptum, infatti, in tema sia di danno non patrimoniale in senso lato, sia di danno non patrimoniale da lesione della salute, che:

- la «liquidazione equitativa, anche nella sua forma c.d. pura, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell'esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato sul rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento» (Cass. civ. 11 ottobre 2023, n. 28429; conf. Cass. civ. 20 luglio 2023, n. 21651; Cass. civ. 11 luglio 2023, n. 19731; Cass. civ. 8 giugno 2023, n. 16322; Cass. civ. 24 maggio 2023, n. 14417; Cass. civ. 17 maggio 2023, n. 13540; Cass. civ. 27 aprile 2023, n. 11069; Cass. civ. 11 gennaio 2023 n. 545; Cass. civ. 13 gennaio 2022 n. 903; Cass. civ. 23 novembre 2021, n. 36251; Cass. civ. 28 luglio 2021, n. 21653; Cass. civ.  2 luglio 2021, n. 18795; Cass. civ. 15 dicembre 2020, n. 28646; Cass. civ. 13 novembre 2020, n. 25843; Cass. civ. 18 settembre 2020, n. 19602; Cass. civ. 25 agosto 2020, n. 17690; Cass. civ.  9 luglio 2020, n. 14455; Cass. civ. 6 luglio 2020, n. 13915; Cass. civ. 26 maggio 2020, n. 9778; Cass. civ. 6 maggio 2020, n. 8531; Cass. civ. 6 maggio 2020, n. 8529; Cass. civ. 9 luglio 2019, n. 18328; Cass. civ. 5 marzo 2019, n. 6392; Cass. civ. 29 gennaio 2019, n. 2332; Cass. civ. 17 gennaio 2019, n. 1046; Cass. civ. 13 settembre 2018, n. 22272);

- «la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna personalizzazione in aumento danno non patrimoniale da lesione della salute la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito può essere incrementata dal giudice con motivazione analitica e non stereotipata» (Cass. civ. 31 ottobre 2023, n. 30293; conf. Cass. civ. 7 giugno 2023, n. 16028; Cass. civ. 20 gennaio 2023, n. 1870; Cass. civ. 4 gennaio 2023, n. 99; Cass. civ. 18 maggio 2022, n. 15924; Cass. civ. 28 marzo 2022, n. 9878; Cass. civ. 24 marzo 2022, n. 9612; Cass. civ. 14 ottobre 2021, n. 28039; Cass. civ. 27 luglio 2021, n. 21532; Cass. civ. 26 maggio 2021, n. 14471; Cass. civ. 6 maggio 2021 n. 12046; Cass. civ. 4 marzo 2021, n. 5865; Cass. civ. 10 febbraio 2021, n. 3310; Cass. civ. 13 gennaio 2021, n. 407; Cass. civ. 13 novembre 2020, n. 25843; Cass. civ. 10 novembre 2020 n. 25164; Cass. civ. 11 novembre 2019, n. 28988).

Nel caso in esame, però:

- il primo giudice, come innanzi esposto, ha personalizzato il risarcimento del danno non patrimoniale mediante un aumento del 20% sia del danno biologico da I.T. che da I.P. (e quindi non solo del punto tabellare come affermato dalla Suprema Corte) tenendo conto delle condizioni soggettive della lesa e del grado di sofferenza psicofisica per la deambulazione avvenuta con il supporto dei bastoni per circa sei mesi, la riduzione della frequenza scolastica, la perdita dell'anno scolastico e la sospensione dell'attività sportiva di scherma praticata con assiduità in precedenza;

- la Corte di merito, a sua volta, e come in parte innanzi esposto:

     (-) ha ritenuto pienamente condivisibile il grado di personalizzazione del danno espresso dal Tribunale nella misura del 20% del complessivo danno tabellare «in considerazione dell'età e delle condizioni soggettive della danneggiata che hanno inciso sul suo rendimento scolastico, con giudizio negativo, e sulla possibilità di proseguire l'attività sportiva praticata fino a quel momento»; si tratta di una motivazione del tutto adeguata, non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile in sede di legittimità (per tutte: Cass. civ. 29 dicembre 2023, n. 36357);

     (-) ha affermato - ma con argomentazione ad abundantiam, consistente cioè in argomentazione rafforzativa di quella costituente la premessa logica della statuizione contenuta nel dispositivo che, per tale motivo, non poteva essere censurata in sede di legittimità indipendentemente dalla sua esattezza o meno posto che il dispositivo era fondato su una corretta ed esaustiva argomentazione avente carattere principale e assorbente (Cass. civ., sez. un., 21 novembre 2011, n. 24406; Cass. civ., sez. un., 22 novembre 2010, n. 23595; Cass. civ., sez. un., 2 aprile 2007, n. 8087) - che «il grado di invalidità accertata dal Tribunale supera appena la soglia minima per non far luogo ai parametri di cui alla l. 57/2001 (oggi art. 139 Cod. Ass.) stabiliti per le micro permanenti che prevedono la personalizzazione massima nella misura del 20%, con applicazione in via equitativa delle tabelle elaborate dagli uffici Giudiziari».

La prima censura del primo motivo di ricorso, pertanto, andava rigettata.

Danno da lucro cessante futuro

Il risarcimento del danno patrimoniale deve essere integrale e, cioè, deve comprendere tanto la perdita subita quanto il mancato guadagno (art. 1223 c.c. applicabile in ambito extracontrattuale mediante il rinvio contenuto nell'art. 2056 c.c.).

Il principio di integralità del risarcimento impone di ristorare la parte lesa da tutte le conseguenze pregiudizievoli a essa derivanti dall'illecito, indipendentemente dal fatto che tali conseguenze si siano verificate immediatamente ovvero spiegheranno la loro forza lesiva, con certezza (processuale), in futuro (Cass. civ., 16 gennaio, 2024, n. 1607).

Da un punto di vista processuale, però, in ossequio al combinato disposto di cui agli artt. 163, comma 2, n. 4, c.p.c. e 2697, comma 1, c.c., i fatti primari e, cioè, quelli costitutivi del diritto al risarcimento del danno, vanno prima allegati e poi provati sicché la prova di fatti non allegati è processualmente irrilevante.

L'onere di allegazione, del resto, è altresì funzionale all'esplicazione del diritto di difesa, onde consentire di circoscrivere il contenuto dello speculare onere di contestazione e, di conseguenza, di delimitare, nell'ambito dei fatti allegati, quelli da provare.

È ius receptum, infatti, che:

- «l'onere di allegazione è concettualmente distinto dall'onere della prova, attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum mentre il secondo, attenendo alla verifica della fondatezza della domanda o dell'eccezione, costituisce per il giudice regola di definizione del processo» (Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2019, n. 15895; conf. Cass. civ. 8 luglio 2021, n. 19469; Cass. civ. 4 marzo 2021, n. 6058; Cass. civ. 28 febbraio 2020, n. 5610; Cass. civ. 28 febbraio 2020, n. 5609);

- «il giudice - se può sopperire alla carenza di prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche alla esplicazione dei poteri istruttori ufficiosi previsti dall'art. 421 c.p.c. - non può invece mai sopperire all'onere di allegazione che concerne sia l'oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto» (Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572; conf. Cass. civ., sez. un., 3 febbraio 1998, n. 1099).

Il danno da lucro cessante futuro per la perdita dell'anno scolastico o per il ritardato compimento degli studi e, quindi, per il conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro è senz'altro risarcibile se ritualmente allegato in fatto e provato dal danneggiato con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni semplici).

È ius receptum, infatti, che «il principio che il danno patrimoniale risarcibile può essere costituito soltanto dalla perdita di guadagno durante il periodo di invalidità temporanea non può trovare automatica applicazione nel caso di un soggetto ancora inoccupato e dedito (come nella specie) a studi per l'acquisizione di un titolo professionale, non potendosi non avere riguardo alla circostanza che l'invalidità temporanea possa avere impedito la frequenza degli istituti di istruzione e lo studio e così non soltanto agli esborsi che il recupero degli studi perduti possa avere determinato, ponendosi gli stessi in rapporto non mediato con la invalidità subita, ma benanco al ritardo con cui il soggetto sia stato costretto ad entrare nel mondo del lavoro e, quindi, al valore delle presumibili attività lavorative cui l'infortunato per quel periodo abbia dovuto rinunciare per dedicarsi a quel recupero. Trattasi, per questo riguardo, di danni che si presentano come effetto normale del fatto illecito, rientrando nella serie delle conseguenze ordinarie cui lo stesso ha dato origine nei riguardi dell'infortunato in base al principio della cosiddetta regolarità causale senza l'intervento di circostanze estrinseche al comportamento dell'autore dell'illecito, né correlate ad una scelta volontaria del danneggiato» (Cass. civ. 11 maggio 1989, n. 2150; conf. Cass. civ. 13 novembre 2020, n. 25843; Cass. civ. 28 settembre 2012, n. 16541; Cass. civ. 20 febbraio 2007, n. 3949; Cass. civ. 15 settembre 1995, n. 9725).

Nel caso in esame, però:

- la Corte di merito ha ritenuto, come innanzi esposto, che la parte appellante non ha «offerto elementi sufficienti per dimostrare l'incidenza della bocciatura sul ritardo nell'entrata nel mondo del lavoro, questione nemmeno oggetto di minime allegazioni»;

- la parte ricorrente non ha impugnato in sede di legittimità tale parte della decisione - relativa alla mancata allegazione del ritardo nell'entrata nel mondo del lavoro - e, pertanto, su essa s'era formato il giudicato interno.

Anche la seconda censura del primo motivo di ricorso, quindi, andava rigettata.