Diritto all’oblio: in quali casi spetta il risarcimento per mancata rimozione della notizia sul web?

15 Aprile 2024

Il diritto all’oblio può essere compresso a favore del diritto di cronaca solo in alcune situazioni, tra cui l’interesse pubblico e attuale alla diffusione del fatto.

Massima

Danni risarcibili a chi, finito sul giornale perché condannato e poi assolto, non si sia visto aggiornare la notizia. Il diritto all’oblio, infatti, può essere compresso a favore del diritto di cronaca solo in alcune situazioni, tra cui l’interesse pubblico e attuale alla diffusione del fatto.

ll caso

Tizio, ritenuto colpevole dei reati contestati e di seguito scagionato, ha citato in giudizio l’editore di un giornale, responsabile di non aver riportato sul sito la notizia dell’intervenuta assoluzione. La domanda è stata accolta dal Tribunale, che sancì a carico di Tizio un risarcimento di 20 mila euro il quale, conseguentemente, propone appello dinanzi la Corte di secondo grado che riforma, in parte, la pronuncia impugnata in quanto il danno non era stato provato. La questione arriva alla Corte di Cassazione chiamata a esprimersi su sette motivi. Tra i principali, il mancato riconoscimento del danno conseguente sia all’omessa cancellazione della notizia inerente la condanna, sia al mancato aggiornamento dell’avvenuta assoluzione. Circostanza che, protesta Tizio, aveva inutilmente prolungato la vicenda che l’aveva ingiustamente coinvolto. Ad aggravare la situazione, la particolare odiosità delle accuse mosse nei suoi confronti (molestia e detenzione di materiale pedopornografico), che gli era costata lo stigma della comunità di vita, l’isolamento sociale, uno stato depressivo e la rinuncia all’attività di responsabile di una scuola di calcio giovanile. Pesava, inoltre, la potenzialità diffusiva degli articoli pubblicati sui portali web. Tutte presunzioni dalle quali si poteva certamente trarre la prova del danno preteso.

La questione

In quali casi spetta il risarcimento del danno per mancata rimozione della notizia sul web?

Le soluzioni giuridiche

Con ordinanza n. 3013 del 1° febbraio 2024, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto da Tizio ribadendo i principi in tema di oblio riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimità. Ciò in armonia con quanto affermato dalla giurisprudenza europea, secondo cui «la prevalenza del diritto all’oblio rispetto al diritto all’informazione» in presenza di determinate condizioni, per cui «la persistenza in un giornale on-line di una risalente notizia di cronaca “appare, per l’oggettiva e prevalente componente divulgativa, esorbitare dal mero ambito del lecito trattamento d’archiviazione o memorizzazione on-line di dati giornalistici.  In particolare sul piano probatorio, premette la Cassazione, i giudici di appello avevano seguito logiche errate: pur avendo ritenuto che il danno potesse provarsi anche con presunzioni, non avevano attribuito rilevanza ai parametri di riferimento. In realtà, precisa la Corte di legittimità, la sentenza appellata aveva richiamato i consolidati principi sull’oblio per i quali la persistenza in un giornale online di una datata notizia di cronaca esula dal lecito trattamento d’archiviazione o di memorizzazione di dati per scopi storici o redazionali, configurando una violazione del diritto all’oblio quando, considerato il lasso di tempo trascorso, possa ritenersi recessiva l’esigenza informativa dei lettori.

Il diritto all’oblio, ovvero il diritto di un individuo a non essere più ricordato per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca, è anche l’esigenza al proprio anonimato, quando l'interesse pubblico alla conoscenza di un fatto ricompreso nello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, si affievolisce fino a scomparire. Tale concetto ha avuto diverse interpretazioni, e dottrina e giurisprudenza si sono interrogate su quale sia il punto di equilibrio tra il diritto di cronaca, costituzionalmente garantito nei limiti della verità, pertinenza e continenza, e il diritto alla reputazione, alla riservatezza e all’onore. Il legislatore ha, dunque,  cercato di fissare tali concetti all’interno del Codice della Privacy (d.lgs. n. 196/2003) prevedendo, da un lato, l’opportunità per i giornalisti, di trattare entro determinati limiti i dati dell’interessato anche in deroga alla normativa vigente, e dall’altro la possibilità per l’interessato di avere un ruolo attivo nella gestione dei propri dati personali, per le notizie che lo riguardano.

Con l’avvento di internet il contesto in cui si colloca il diritto all’oblio è notevolmente cambiato relativamente al concetto di pubblicità e di tempo. Quando una notizia è pubblicata nel web rimane a disposizione degli utenti per un tempo indefinito: non sarà più necessario prendere in considerazione il periodo di tempo intercorso tra una pubblicazione e l’altra, avrà invece rilevanza la persistenza dell’informazione in rete. Dal punto di vista giuridico, non si dovrà più giudicare la liceità di una nuova pubblicazione, ma collocare la notizia già pubblicata in un tempo presente, passando a valutare se le sia stato attribuito il giusto peso attraverso la contestualizzazione, affinché non leda la personalità dell’individuo. La Corte di Cassazione, difatti, ha condiviso tale orientamento in una pronuncia del 2012, sostenendo che  il diritto all’oblio non è tanto un diritto a dimenticare, quanto un diritto alla contestualizzazione.

La Cassazione con l’Ordinanza analizzata ha stabilito che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore del diritto di cronaca, solo in presenza di certi presupposti: interesse pubblico dell’immagine o notizia; interesse effettivo e attuale alla sua diffusione; notorietà del rappresentato; informazione vera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo e scevra da insinuazioni o considerazioni personali; rispetto del diritto di replica dell’interessato. Considerazioni sulla cui base la Corte di merito riconosceva la responsabilità della testata e l’indubbio pregiudizio arrecato ma negava il ristoro per mancata prova del danno. Discordanza che induce la Cassazione ad accogliere il ricorso e sollecitare un nuovo esame del caso condotto alla luce di una più attenta applicazione dei principi su richiamati.

La Corte di cassazione, in un ulteriore e recente provvedimento (Cass. civ., sez. I, ord., 18 febbraio - 19 maggio 2020, n. 9147) aveva riflettuto sull’incidenza del fattore temporale relativamente al diritto all’oblio; in particolare il diritto alla dimenticanza, o anche oblio, tutela il soggetto che viene leso nella sua sfera di riservatezza e identità personale da avvenimenti narrati in passato e che non risultano più attuali per descrivere la sua identità e immagine, sia dal punto di vista individuale che sociale tale da consentire una piena esplicazione della personalità. La Corte in tale pronuncia ha fornito precisazioni, nello specifico sulla cancellazione dei dati di una persona su internet e sul bilanciamento dei diversi diritti che vengono in gioco, tra cui quello alla riservatezza e quello di cronaca e informazione giornalistica evidenziando l’importanza dell’interesse pubblico sui fatti di cronaca, l’importanza della memoria storica e ponendo alcuni interrogativi circa la valutazione del lasso temporale come presupposto del diritto all’oblio, richiamando il conteggio temporale anche in relazione al periodo di tempo trascorso tra patteggiamento e proposizione del ricorso in Cassazione.

Osservazioni

Una delle questioni più importanti riguardo il diritto all’oblio è determinare se esso prevalga o meno sul diritto di cronaca e quale sia il confine tra informazione e lesione della personalità. Il diritto di cronaca è riconosciuto dall'ordinamento italiano tra le libertà di manifestazione del pensiero e consiste nel diritto alla pubblicazione di ciò che è collegato a fatti e avvenimenti di interesse pubblico. L’esercizio di tale diritto non può avvenire in maniera assoluta e indiscriminata, occorre quindi rispettare i limiti che contemperino il diritto di cronaca con quello all’onore e alla dignità. Tali limiti identificabili nella verità, nella correttezza e nella continenza della notizia vanno a segnare il confine sottile tra l’esercizio di un diritto ed il reato di diffamazione.

È quindi fondamentale che la notizia pubblicata sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Il diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera privata laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine, richiede la correttezza dell’esposizione dei fatti e che l’informazione venga mantenuta nei limiti dell’obiettività.

Ci si domanda se il riattualizzare una notizia di cronaca dopo un certo periodo di tempo, vada oltre i limiti di cui sopra fino a costituire una lesione della personalità del diretto interessato, rendendo possibile l’esercizio del diritto all’oblio, o se invece il diritto all’informazione, riguardando la collettività, ampli i limiti stessi prevalendo sul diritto del singolo. 

Con la sentenza n.13161 del 24 giugno 2016, la Corte di Cassazione si è espressa relativamente ad una vicenda giudiziaria la cui analisi potrebbe dare una prima risposta al quesito. Il Tribunale di Chieti condannò al risarcimento del danno per violazione del diritto all’oblio il direttore e l’editore di una testata giornalistica telematica per la permanenza indefinita di un articolo su una vicenda giudiziaria avente carattere penale la quale aveva coinvolto i ricorrenti per un fatto avvenuto tempo prima e che non si era ancora conclusa. I ricorrenti lamentavano naturalmente il pregiudizio alla propria reputazione personale con conseguente danno all'immagine di un locale da loro gestito.

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, sostenendo che, benché le  modalità iniziali di pubblicazione e diffusione dell’articolo in rete fossero lecite, come le modalità di conservazione e di archiviazione dello stesso, l'illecito trattamento di dati personali è stato ravvisato nel mantenimento dell’accesso a quel servizio giornalistico pubblicato molto tempo prima e della sua diffusione sul Web, quanto meno a decorrere dal ricevimento della richiesta nel settembre 2010 per la rimozione della pubblicazione dalla rete.

Tale provvedimento è coerente con il fondamento normativo del diritto all’oblio contenuto già nel Codice privacy che all’art.11 del d.lgs. n.196/2003, stabiliva che il trattamento non sia legittimo qualora i dati siano conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati. Con l’art.7 dello suddetto decreto,  era altresì prevista la necessità per l’interessato di avere conoscenza di chi detiene i suoi dati personali, del modo in cui li adopera ma anche di opporsi al trattamento degli stessi chiedendone la cancellazione, la rettifica, l’integrazione, l’aggiornamento o il blocco.

Le suddette informazioni da rendere disponibili al soggetto interessato sono disciplinate rispettivamente dagli artt. 13 del Regolamento europeo in tema di protezione dei dati personali n.679/2016 (GDPR) il quale recita espressamente che l’interessato debba conoscere il periodo di conservazione dei dati personali oppure, se non è possibile, i criteri utilizzati per determinare tale periodo e dagli art. da 15 a 22 del GDPR in tema di diritti a questo riconosciuti secondo i quali l’interessato puo’ ottenere, tra gli altri, la cancellazione dei dati (diritto all’oblio) che lo riguardano senza ingiustificato ritardo, la rettifica dei dati, la limitazione del trattamento e  la portabilità dei dati.

Il diritto all’oblio può essere considerato come la naturale conseguenza del diritto di cronaca, il quale per essere esercitato necessita di un interesse della collettività ad essere informata; di conseguenza con il trascorrere del tempo lo stesso interesse pubblico va affievolendosi diventando così ingiustificato e lesivo il facile raggiungimento della notizia attraverso la ricerca in rete.

Occorre domandarsi se esistano dei casi per cui l’interesse collettivo permanga. Sul punto si è espresso il Garante della Privacy, analizzando due diverse vicende.

La prima riguarda il caso in cui uno strumento di informazione riattualizzi un fatto di cronaca giudiziaria risalente nel tempo al fine di rendere noti gli attuali sviluppi della vicenda stessa.

Il provvedimento del Garante Privacy n.187 del 21/04/2016 si riferisce al caso di un imprenditore che riteneva la reperibilità in rete sul sito di un quotidiano di un articolo che lo riguardava, come lesivo della sua reputazione professionale e personale dato che la notizia riguardava una vecchia vicenda giudiziaria, che non aveva più alcun interesse pubblico. Il quotidiano, dal canto suo, riteneva di aver pubblicato i risvolti attuali della stessa vicenda, nello specifico il rinvio a giudizio del ricorrente. La posizione del Garante è stata a favore del quotidiano poiché, secondo l’Autorità il trattamento dei dati dell'imprenditore si riferiva a fatti rispetto ai quali poteva ritenersi ancora sussistente l'interesse pubblico alla conoscibilità della notizia in quanto gli sviluppi processuali, oggetto della nuova pubblicazione, ne hanno rinnovato l'attualità.

Quanto alla seconda situazione, in cui l’interesse collettivo all’informazione è prevalente, si fa riferimento al caso ora analizzato (provvedimento n.438 del 27/10/2016). Non si può assumere in via assoluta il prevalere dell’uno o dell’altro diritto, ma per ogni singolo caso, vanno  valutate tutte le circostanze, al fine di tutelare l’interesse che, risulti preminente, nel  caso concreto.

A seguito della pronuncia della Corte di Giustizia europea, si è avvertita sempre più la necessità di dettare delle linee guida per un’interpretazione conforme del diritto all’oblio in tutti i paesi dell’Unione. Difatti quest’ultimo è stato recepito nel Regolamento europeo sulla protezione dei dati n.679/2016 (GDPR) ove all’art.17 è titolato “diritto alla cancellazione”. In particolare  l'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo, se viene meno la necessità che ne rendeva lecito il trattamento, se l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento, e se non sussiste altro motivo legittimo per procedere allo stesso ecc.

La normativa europea stabilisce, inoltre, dei casi in cui l’interessato non può esercitare il diritto all’oblio per fatti che lo riguardano in presenza di due ipotesi. La prima si verifica se il trattamento dei dati personali è effettuato per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; la seconda nel caso in cui il trattamento sia effettuato per l’adempimento di un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento, o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento.

Il diritto all’oblio potrà essere limitato solo in alcuni casi specifici: ad esempio, per garantire l’esercizio della libertà di espressione o il diritto alla difesa in sede giudiziaria; per tutelare un interesse generale (come la salute pubblica); oppure quando i dati, resi anonimi, sono necessari per la ricerca storica o per finalità statistiche o scientifiche.