Responsabilità dei sindaci per mancato esercizio dei poteri istruttori e impeditivi

15 Aprile 2024

La Cassazione torna ad occuparsi della responsabilità del collegio sindacale per omessa vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, ai sensi dell'art. 2407 c.c.

Massima

I sindaci non esauriscono l'adempimento dei propri compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l'obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un'effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull'amministrazione della società e le relative operazioni gestorie.

Infatti, da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative, a partire dalla richiesta di informazioni o di ispezione ai sensi dell' art. 2403-bis c.c. , può dare concreto contenuto all'obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell'amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, avendo, piuttosto, il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell'inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all'organo gestorio ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie. Così come, dall'altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall'ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall'attività dannosa, la convocazione dell'assemblea ai sensi dell' art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all'assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate, dunque anche ex artt. 2446 e 2447 c.c. ), il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite (ai sensi di tali disposizioni), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l'impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c. , la denunzia (ove proponibile) al tribunale ex art. 2409 c.c. o all'autorità giudiziaria penale ed altre simili iniziative.

Il caso

Il giudice delegato al fallimento di una S.r.l. aveva respinto una domanda di ammissione al passivo del credito al compenso maturato dall'istante quale sindaco della società fallita, per mancanza di prova sia della attività, sia della pattuizione del compenso richiesto e, quale conseguenza, anche del mancato svolgimento di una utile attività di vigilanza sulla società.

Il sindaco istante proponeva opposizione avverso il decreto del giudice delegato e il Tribunale accoglieva l'opposizione, indicando, inter alia, che: (i) non risultasse promossa alcuna azione di responsabilità verso l'ex sindaco, né fosse allegato dalla curatela se e quando sarebbe stata promossa tale azione; (ii) la vigilanza del sindaco non si estende alla verifica della convenienza delle scelte gestionali, restando limitata alla legittimità delle scelte gestorie e alla correttezza dei procedimenti decisionali; (iii) non potesse contestarsi ai sindaci, quale colpevole inadempimento alle loro obbligazioni, la mancata proposizione della denuncia a norma dell' art. 2409 c.c. , trattandosi di un potere la cui titolarità in capo ai sindaci, nel contesto normativo in cui avevano operato, non risultasse affatto certo, ancor più considerando che il socio unico (un ente locale, soggetto particolarmente qualificato) avrebbe potuto esercitare poteri di vigilanza e di ispezione nei confronti degli amministratori.

Il Fallimento, quindi, chiedeva la cassazione del decreto per quattro motivi.

Con il primo motivo il ricorrente contestava che i sindaci, tra cui l'opponente (peraltro non riunitisi tra il 14 marzo 2011 e il 10 maggio 2012) non avessero adottato le iniziative necessarie nel caso concreto, quali il compimento di atti di ispezione e di controllo, anche individuale, non avessero richiesto notizie agli amministratori o informato i soci in sede assembleare, non avessero valutato i presupposti per impugnare le decisioni dell'organo di gestione, né, pur a fronte della sussistenza degli indici dello dello stato di insolvenza in cui versava la società sin dal 2011, avessero provveduto a convocare i soci ovvero formulare un esposto al pubblico ministero, così ritardando la dichiarazione di fallimento e determinando un  aggravio del dissesto in conseguenza della prosecuzione dell'attività sociale.

La Corte di Cassazione stabiliva di esaminare i primi due motivi (il secondo motivo non è fatto oggetto del presente commento, non riguardando esso la responsabilità dei sindaci, bensì l'onere della prova nell'eccezione di inadempimento), con assorbimento degli altri due, e li riteneva fondati, cassando il decreto impugnato con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale in differente composizione.

Le questioni

l a responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza ai sensi dell'art. 2407 c.c.

I sindaci sono tenuti a svolgere l'attività di vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento (si veda l'art. 2403 c.c.) assumendo un comportamento “propositivo”, consistente nell'adozione di adeguate misure di fronte al compimento di atti di dubbia legittimità e regolarità da parte degli amministratori e dei dirigenti apicali della società; così dovendo i sindaci svolgere ogni più opportuna attività di indagine in relazione agli atti di gestione sociale, in particolare qualora sussistano segnali di allarme, per poi poter (rectius, dover) richiedere lo svolgimento delle azioni correttive necessarie oppure esercitare i poteri istruttori e impeditivi previsti dalla legge.

Correlativamente, in ipotesi di violazione di tali doveri (previsti sia dagli artt. 2403 e 2403-bis c.c., sia dal complesso delle norme che regolano la disciplina delle società come meglio indicate nel paragrafo 2 seguente), i sindaci “sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica” (si veda l'art. 2407, comma 2 c.c.).

Pertanto, si configura una responsabilità omissiva dei sindaci, in concorso con gli amministratori per la mala gestio di questi ultimi, qualora sussistano una condotta inerte dei sindaci, il fatto pregiudizievole altrui e il nesso causale; quest'ultimo da provarsi mediante il cd. giudizio controfattuale, così dovendosi verificare se l'attivazione da parte del sindaco avrebbe ragionevolmente impedito l'evento (ovvero la protrazione, la reiterazione o l'aggravamento dello stesso) (si veda, tra le altre, Cass. 27 maggio 2013, n. 13081; Cass. 29 ottobre 2013, n. 24362; Cass. 12 luglio 2019, n. 18770; Cass. 31 luglio 2023, n. 23200, in questo portale, con nota di Leoni, Responsabilità concorrente dei sindaci e accertamento del nesso causale. In dottrina, sui sindaci, si veda R. Alessi, N. Abriani, U. Morera, a cura di, Il collegio sindacale: le nuove regole, Torino, 2007; G. Cavalli, Osservazioni sui doveri del collegio sindacale di società per azioni non quotate, in Il nuovo diritto societario, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, 2007; U. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010; S. Ambrosini, Il collegio sindacale, in Tratt. dir. priv., vol. XVI, tomo VI, diretto da P. Rescigno, Torino, 2013; N. Abriani, L'organo di controllo, in Corporate governance e “sistema dei controlli” nelle S.p.A., a cura di U. Tombari, Torino, 2013).

Il dovere di vigilanza sul rispetto della legge e dello statuto non è limitato allo svolgimento di compiti di mero controllo contabile e formale, ma si estende alla verifica del contenuto della gestione, essendo richiesto al collegio sindacale di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali, ovvero su fatti determinati (si veda Cass. civ., 29 ottobre 2013, n. 24362) e di accertare l'operato gestorio attivandosi per porre rimedio agli eventuali fatti dannosi o potenzialmente dannosi (si veda Cass. 12 luglio 2019, n. 18770; Cass. 6 settembre 2021, n. 24045, in questo portale, con nota di Quaranta, Omessa vigilanza del collegio sindacale, tra responsabilità esclusiva e responsabilità concorrente con gli amministratori; Cass. 11 maggio 2022, n. 14873 ord.).

Pertanto, insorge la responsabilità per inosservanza del dovere di vigilanza nell'ipotesi in cui i sindaci non abbiano reagito di fronte ad atti illegittimi o di dubbia legittimità e regolarità o non abbiano verificato la correttezza dei procedimenti decisionali in seno all'organo amministrativo (si veda Cass. 14 ottobre 2013, n. 23233; Cass. 13 giugno 2014, n. 13517; Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204), pur dovendosi sottolineare che non è, comunque, richiesto ai sindaci di effettuare un controllo che si estenda alla verifica della convenienza delle scelte gestionali degli amministratori (si veda, sul punto, in particolare la sentenza in commento).

Non sono richiesti specifici comportamenti a carico dei sindaci per la configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza, ma è sufficiente che questi non abbiano rilevato evidenti e macroscopiche violazioni nella gestione degli amministratori (senza che possa considerarsi esimente il fatto che dalle relazioni degli amministratori non trasparisse alcuna irregolarità) o anche non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità o regolarità o non abbiano rilevato dei segnali di allarme (ad esempio, la soggezione della società ad una gestione personalistica in un sistema organico di amministrazione di fatto da parte di alcuni soci ovvero lo svolgimento di operazioni carenti di “correttezza sostanziale” o in presenza di “modalità opache” nei rapporti con parti correlate, ovvero, ancora, il compimento di operazioni straordinarie in un quadro di incertezza della tutela degli interessi della società).

I poteri istruttori e impeditivi dei sindaci

Naturalmente, affinché possa validamente sorgere una responsabilità risarcitoria, occorre che i sindaci potessero attivarsi utilmente (dovendosi comunque ritenere che l'attivazione dei poteri affidati ai sindaci possa considerarsi sempre utile, determinando essa certamente un generale effetto di monito sugli amministratori - si veda anche Cass. 31 luglio 2023, n. 23200, cit.), ponendo in essere tutta la gamma di atti ed azioni previsti dall'ordinamento ai fini del contrasto di fatti di gestione illeciti.

Del resto, come ampiamente osservato dalla giurisprudenza di legittimità (si veda, tra le tante, la sentenza in commento; Cass. 12 luglio 2019, n. 18770; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32397), le norme positive del nostro ordinamento pongono i sindaci in grado di svolgere ogni possibile (re)azione a tutela del corretto svolgimento dell'amministrazione della società: inter alia, l'art. 2403-bis c.c. consente ai sindaci un'adeguata attività informativa e valutativa, con poteri di specifico intervento (e pretesa da parte degli amministratori della messa in atto delle azioni correttive necessarie) al fine di evitare condotte gestorie dannose; l'art. 2377 c.c. consente al collegio sindacale di impugnare le deliberazioni assembleari che non siano prese in conformità della legge o dello statuto; l'art. 2406 c.c. permette ai sindaci di convocare l'assemblea, qualora la convocazione sia stata omessa dagli amministratori ovvero sia necessaria per la segnalazione delle irregolarità di gestione riscontrate, oltre che ai fini e per gli effetti degli artt. 2446 e 2447 c.c.; l'art. 2446 c.c. stabilisce che i sindaci possano ricorrere al tribunale per la riduzione del capitale per perdite; l'art. 2485 c.c. prevede che i sindaci possano fare ricorso al tribunale per l'accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento ai sensi dell'art. 2484 c.c.; l'art. 2487 c.c. prevede altresì il ricorso al tribunale anche da parte dei sindaci per la nomina dei liquidatori; l'art. 2409 c.c. consente ai sindaci la denunzia al tribunale nell'ipotesi di fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alla società o a una o più società controllate. Inoltre, la Corte di Cassazione ha espressamente stabilito che il sindaco è altresì legittimato a denunciare direttamente le irregolarità al P.M. per l'esercizio dei poteri che a questo spettano e che tale denuncia può divenire, anzi, doverosa, quando i rimedi endosocietari (come sopra indicati) si rivelino insufficienti ed una simile iniziativa sia rimasta l'unica esperibile in concreto per poter porre fine alle illegalità di gestione riscontrate (si veda Cass. 11 dicembre 2019, n. 32397).

Dunque, in presenza di iniziative illegittime (o anche soltanto anomale) da parte dell'organo gestorio, i sindaci hanno l'obbligo di attivare ogni loro potere di sollecitazione e denuncia, internamente e esternamente alla società; in mancanza di ciò, essi concorrono nell'illecito civile commesso dagli amministratori per omesso esercizio dei poteri anzidetti (sulla mancata attivazione della denuncia ai sensi dell'art. 2409 c.c. e sulla conseguente responsabilità dei sindaci per omissione di diligente cautela, si veda Trib. Milano 22 dicembre 2016, n. 14062).

Inoltre, occorre che i sindaci verifichino adeguatamente i fatti di gestione in presenza di segnali di allarme, restando gli stessi responsabili anche in relazione a fatti che siano stati celati ai sindaci medesimi ovvero con riguardo a fatti imputabili a amministratori in carica precedentemente alla loro nomina quando sia esigibile una attività di verifica e di azione rimediale in base ai comuni canoni di diligenza applicabili (si veda Trib. Roma 20 febbraio 2012; Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204; Cass. 12 luglio 2019, n. 18770).

Va, poi, sottolineato che le dimissioni (talvolta rassegnate dai sindaci in situazioni di incertezza quanto alla legittimità dell'operato degli amministratori) non possono mai costituire una condotta esimente della propria responsabilità quando alla rinuncia alla propria funzione non si accompagnino atti concreti di impulso, volti a impedire gli illeciti o a porvi rimedio. In mancanza del compimento di tali atti, le dimissioni dei sindaci vengono a costituire segno di una condotta inerte e indifferente da parte dei sindaci stessi e sono del tutto inidonee ad un esonero da responsabilità risarcitoria (si veda Cass. 12 luglio 2019, n. 18770; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32397).

Osservazioni

Deve, poi, osservarsi che l'idoneità funzionale delle prestazioni svolte dai sindaci nell'esercizio della propria carica (e, dunque, l'esercizio dei poteri istruttori e impeditivi che la legge riconosce loro) rileva non soltanto sotto il profilo della responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2407 c.c., ma anche sotto il profilo del diritto del sindaco ad ottenere il pagamento del compenso per l'attività prestata (così come previsto dall'art. 2402 c.c.). In effetti, come opportunamente indicato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, l'esigibilità del compenso da parte del sindaco richiede l'accertamento della prestazione di attività, appunto, funzionalmente idonee al conseguimento del risultato della gestione sociale secondo i principi di corretta amministrazione, sottolineandosi che, in difetto, al di là della responsabilità contrattuale del professionista incaricato (non necessariamente sussistente, come ad esempio  nell'ipotesi dell'assenza di un danno conseguente alla mancata prestazione delle attività richieste), non vi sarebbe l'adempimento degli obblighi assunti contrattualmente dal sindaco con l'accettazione della carica.  

Deve, altresì, segnalarsi che l'eccezione (di inadempimento) da opporre in caso di inadempimento da parte del sindaco degli obblighi connessi alla carica ha la funzione di consentire il rifiuto di adempiere in favore del sindaco inadempiente ed è, quindi, subordinata alla sola allegazione, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che l'eccipiente ha l'onere di provare), dell'inadempimento del sindaco al proprio dovere di vigilanza. Il sindaco sarà, poi, onerato di provare di aver adeguatamente adempiuto al proprio dovere di vigilanza come previsto dall'art. 2407 c.c.

Conclusioni

Fermo quanto esposto sui doveri dei sindaci e sullo svolgimento delle azioni correttive e sull'esercizio di tutti quei poteri istruttori e impeditivi affidati loro dalla legge (si veda supra), deve in ogni caso sottolinearsi che la responsabilità omissiva dei sindaci non può mai costituire una figura di responsabilità solidale oggettiva o di cd. responsabilità “da posizione” (si veda Trib. Milano 31 ottobre 2018, n. 11047). E', dunque, sempre necessario, ai fini dell'affermazione della responsabilità conseguente ad un illegittimo comportamento omissivo, lo svolgimento del cd. giudizio controfattuale; dovendosi, dunque, “accertare il nesso causale - la cui prova spetta al danneggiato - tra il comportamento illegittimo dei sindaci e le conseguenze che ne siano derivate, a tal fine occorrendo verificare che un diverso e più diligente comportamento dei membri del collegio nell'esercizio dei loro compiti (tra cui la mancata tempestiva segnalazione della situazione agli organi di vigilanza esterni) sarebbe stato idoneo ad evitare le disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli amministratori” (si veda Cass. 29 ottobre 2013, n. 24362).

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