Le liberalità indirette non sono tassabili se non soggette a registrazione

21 Maggio 2024

La Suprema Corte, con sentenza 20 marzo 2024, n. 7442 è tornata a pronunciarsi in tema di liberalità indirette, fornendo chiarimenti sull'interpretazione dell'art. 56-bis comma 1 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346. 

Massima

In tema di imposta sulle donazioni, l'art. 56-bis comma 1, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ovvero tutti quegli atti di disposizione mediante i quali si realizza un arricchimento del donatario ed un, conseguente, impoverimento del donante senza l'adozione della forma solenne del contratto di donazione (ex art. 769 c.c.), e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta (con l'aliquota dell'8%) – pur essendo esenti dall'obbligo della registrazione – in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall'interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti.

Il caso

Come si legge dalla ricostruzione dell'iter processuale svolto dai Giudici di legittimità, nel caso di specie quest'ultimi sono chiamati a pronunciarsi sul ricorso per la cassazione della sentenza emanata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (Sez. staccata di Brescia) del 21 gennaio 2019, n. 290/23/2019, che ha rigettato l'appello proposto dalla contribuente ricorrente in Cassazione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bergamo, del 10 aprile 2018, n. 168/01/2018. In particolare, il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure – che aveva rigettato il ricorso originario – sul presupposto che il trasferimento di attività finanziarie in questione, ancorché sprovvisto dei requisiti formali dell'atto pubblico, integrasse una "liberalità" (senza ulteriore specificazione sulla relativa natura) e fosse soggetto ad imposta sulle donazioni. A fronte della (duplice) soccombenza in secondo grado, la contribuente decide di procedere in Cassazione per la risoluzione della questione seguente.

La questione

La questione esaminata nel corso del giudizio di merito e sottoposta, in ultima istanza, alla Suprema Corte di Cassazione riguarda l'impugnazione di un avviso di liquidazione per omesso pagamento dell'imposta sulle donazioni nella misura di Euro 65.289,00 (con i relativi accessori) in relazione alla riqualificazione in termini di liberalità indiretta del trasferimento effettuato mediante ordinativo bancario da un parente (nella specie, uno zio paterno della ricorrente, affetto da tempo da "decadimento cognitivo ingravescente") in favore della ricorrente di attività finanziarie (denaro e titoli) detenute su un conto corrente acceso presso una filiale di un istituto finanziario svizzero ed emerse a margine dell'avvio di una procedura di collaborazione volontaria ex art. 1 commi 1 e 2, della legge 15 dicembre 2014, n. 186 – norma recante, come noto, «misure per l'emersione e il rientro di capitali detenuti all'estero nonché per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale» – per un totale di Euro 816.116,14, accreditati su conto corrente acceso presso il medesimo istituto bancario, nonostante l'intervenuto deposito, presso un Notaio, di una dichiarazione con la quale la beneficiaria aveva rifiutato tale liberalità per lasciarne l'oggetto nella piena ed assoluta disponibilità dello zio paterno.

Sulla tassazione delle liberalità diverse dalla donazione formale

Con la sentenza in commento i Giudici della Suprema Corte, affidandosi anche a recenti pronunce di legittimità (Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11831) osservano che «...quando il d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, si occupa della tassazione delle liberalità diverse dalla donazione formale, enuncia due principi (…): a) la "facoltà" del contribuente di registrare "volontariamente" le liberalità indirette (…); b) il "potere" dell'amministrazione finanziaria di accertare le liberalità indirette (solo) al congiunto ricorrere dei seguenti due presupposti: b.1. "quando l'esistenza" della liberalità indiretta "risulti da dichiarazioni rese dall'interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi"; b.2. "quando le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all'importo di 350 milioni di lire"». Se, dunque, il "potere" dell'amministrazione finanziaria di accertare donazioni indirette si ha solo (…) al ricorrere dei predetti due presupposti, pare potersi concludere che non vi sia un generalizzato obbligo di sottoporre a tassazione tutte le donazioni indirette "risultanti"(anche per via di enunciazione) "da atti soggetti alla registrazione", ma si pongano solo le seguenti ipotesi di tassazione delle donazioni indirette, se "risultanti", beninteso, "da atti soggetti alla registrazione" (…): a) la tassazione delle donazioni indirette quando per esse sia esplicata la "facoltà" di registrazione volontaria, cui evidentemente può ricorrere il contribuente che abbia il timore di subire l'accertamento previsto nell'art. 56-bis comma 2, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346; b) la tassazione delle donazioni indirette (non rientranti nel perimetro di esenzione di cui all'art. 1 comma 4-bis, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346) la cui "esistenza" "risulti da dichiarazioni rese dall' interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi".

Le soluzioni giuridiche

Sulla base di tali argomentazioni i giudici della Suprema Corte sono quindi pervenuti alla formulazione di due, autonomi ma collegati, principi di diritto in ragione dei quali. Stando al primo, «In tema di imposta sulle donazioni, l'art. 56-bis comma 1, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, va interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l'adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall'art. 769 c.c., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta (…) in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall' interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (…)». In virtù del secondo, «In tema di imposta sulle donazioni, la dichiarazione prevista dall'art. 56-bis comma 1, lett. a), del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, al fine dell'accertamento e della sottoposizione all' imposta delle liberalità diverse dalle donazioni (nella specie, di una donazione informale avente ad oggetto il trasferimento, mediante bonifico bancario dal conto corrente del donante al conto corrente del donatario, di attività finanziarie detenute all'estero), può provenire, oltre che dal donatario, anche dal donante e può essere rappresentata anche dall' istanza volta ad avvalersi della procedura di collaborazione volontaria ed il rientro dei capitali detenuti all'estero, quando la donazione abbia avuto ad oggetto le attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato, spontaneamente emerse per volontà dell'autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all'art. 4 comma 1, del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227».

Osservazioni

Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione, ha elaborato utili(ssimi) chiarimenti in relazione alla possibilità di riqualificare in termini di liberalità indiretta tassabile il trasferimento effettuato mediante ordinativo bancario tra parenti. Nella specie, come sopra sinteticamente evidenziato, si trattava di un versamento in denaro effettuato da uno zio alla nipote. Si tratta, dunque, di liberalità disposte tra parenti in linea “collaterale”. Sul punto, la sentenza dei giudici di legittimità, si apprezza per diverse ragioni. In primo luogo, per ragioni d'ordine sistematico. Il Supremo Collegio, infatti, confermando ulteriormente il portato di altri precedenti giurisprudenziali (ex multis, (Cass., Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 6077 nonché Cass., Sez. V, 12 aprile 2023, n. 9780), chiarisce definitivamente i confini della suddivisione tra donazioni c.d. “dirette” (o formali), “indirette” ed “informali", laddove: a) le prime nascono dalla stipulazione in forma pubblica (con l'assistenza obbligatoria dei testimoni) di un contratto tra donante e donatario ex art. 769 c.c.; b) le seconde, ben più complesse, che derivano dalla realizzazione di un atto giuridico (in senso stretto) o da un negozio unilaterale o da un contratto (diverso, quindi, dalla donazione prevista dall'art. 769 c.c.) con la produzione di effetti analoghi alla donazione diretta (nell'accezione prevista dall'art. 809 c.c.), ovvero, l'attuazione della volontà del donante (condivisa dal donatario) di provocare, per "spirito di liberalità", un incremento del patrimonio del soggetto beneficiario con il correlativo depauperamento del patrimonio del soggetto dante causa; c) le ultime, si traducono nello svolgimento di un'attività materiale o nella tenuta di un comportamento consapevolmente omissivo, con la conseguenza, anche in questo caso, della diminuzione del patrimonio del soggetto dante causa e l'aumento del patrimonio del soggetto beneficiario. In secondo luogo, per ragioni d'ordine strettamente tributario. In termini sintetici, la Corte giunge ad affermare che, in linea generale, le richiamate donazioni informali e indirette non sarebbero soggette a registrazione e quindi, per questa ragione, non sconterebbero l'imposta di registro. A fronte di questa regola generale sussisterebbe, comunque, un'eccezione: ed infatti, nell'eventualità in cui la donazione (a favore del coniuge o di un parente in linea retta) sia di valore superiore a 1 milione di euro, sorgerebbe un obbligo impositivo duplice: il primo, relativo all'imposta sulle donazioni, pari al 4% sulla somma che eccede il milione di euro; il secondo, che si traduce nella debenza dell'imposta di registro sull'atto notarile che, in questo caso, è obbligatorio (con un ampliamento della franchigia ad 1,5 milioni nell'eventualità in cui il donatario sia portatore di grave handicap ai sensi della l. n. 104/1992). Le conclusioni alle quali giunge la Suprema Corte sono volte evidentemente a privilegiare, dunque, un approccio di tipo “formalistico” in ragione del qual nell'eventualità in cui le donazioni informali e indirette non siano tradotte in atto scritto, ma si esprimano in termini del tutto informali (come quelli che, usualmente, caratterizzano i rapporti di parentela, soprattutto quelli in linea diretta “padre/madre-figlio”), non occorrerà procedere ad una registrazione ufficiale; da ciò discenderà il venir meno dell'obbligo impositivo che sorgerebbe, al contrario, nell'eventualità in cui l'atto di liberalità trovasse espressione in un documento “formale”. Oltre alla condivisione di un approccio, si diceva, “formalistico”, le conclusioni raggiunte dalla Corte di legittimità assumono particolare rilievo perché segnano un superamento esplicito delle indicazioni di prassi fornite, già tempo addietro, dall'Agenzia delle Entrate con la Circolare dall'Agenzia delle Entrate l'11 agosto 2015, n. 30/E. In questa sede l'Amministrazione finanziaria aveva sostenuto, infatti, l'applicazione dell'imposta di successione e di donazione sia sulle "liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione" – e, fin qui, nulla quaestio – ma anche sulle altre "liberalità tra vivi" "che si caratterizzano per l'assenza di un atto scritto (soggetto a registrazione)". Stante il tenore letterale della presa di posizione assunta, quasi un decennio addietro, dall'Agenzia, è evidente l'innovatività della pronuncia in esame, la quale si discosta in modo netto dalle indicazioni di prassi. Ferme queste considerazioni, occorre conclusivamente rilevare come una parte della dottrina abbia rinvenuto nella sentenza esaminata una sorta di “occasione mancata” che avrebbe avuto ragion d'essere apprezzata se avesse affermato una diversa modalità di determinazione della base imponibile (ovvero considerando le somme riconosciute come mai uscite dal patrimonio del disponente, in quanto quest'ultimo avrebbe comunque un credito verso il beneficiario, per un trasferimento privo di titolo giustificativo).

Riferimenti

R. Lupi, Donazione informale: l'interpretazione estensiva della Cassazione, in Quotidiano Più, 23 marzo 2024.  

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