Contabilità in nero valida ai fini probatori anche se rinvenuta in formato elettronico e presso terzi

28 Maggio 2024

La Suprema Corte nella sentenza 18 marzo 2024 è tornata a pronunciarsi sul tema della rettifica dei redditi d'impresa delle persone fisiche di cui all'art. 39 comma 1, lett d) del d.p.r. 600/1973, fornendo chiarimenti sulla rilevanza probatoria della "contabilità in nero" rinvenuta sotto forma di documenti informatici (files) e nella disponibilità di soggetti terzi rispetto al contribuente accertato. 

Massima

In merito alla rettifica dei redditi d'impresa delle persone fisiche di cui all'art. 39 comma 1 lett. d) d.p.r. n. 600/1973, le presunzioni semplici sono a tutti gli effetti una prova completa sulla base delle quali il giudice di merito può fondare la propria decisione; il rinvenimento di una "contabilità in nero", anche se consistente in documenti informatici (files) anziché cartacei, è da considerarsi un elemento probatorio meramente presuntivo ma del tutto valutabile ai fini della prova dell'esistenza delle operazioni non contabilizzate. Inoltre, questo genere di accertamento può essere fondato su documenti reperiti presso soggetti terzi rispetto al contribuente accertato.

Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7199 depositata il 18 marzo 2024.

Il caso

La sentenza n. 7199 del 18 marzo 2024 deriva da una contestazione dell'Agenzia delle Entrate basata su un avviso d'accertamento notificato al contribuente ad aprile 2012.

Nello specifico, la Guardia di Finanzia, a seguito di una verifica fiscale nei confronti di un fornitore del contribuente accertato, veniva in possesso di alcuni documenti extra-contabili che evidenziavano la presenza di numerose operazioni potenzialmente imponibili non fatturate fra i due soggetti. Più precisamente, tali operazioni sarebbero consistite in una serie di acquisti di materiale, venduti dalla ditta fornitrice al contribuente accertato.

Sulla base di questa documentazione extracontabile, rinvenuta presso il fornitore, l'Agenzia delle Entrate contestava all'acquirente la mancata registrazione degli acquisti suddetti, ricalcolando i “ricavi aggiuntivi” applicando un ricarico del 40%.

In seguito, l'Ufficio emetteva un avviso di accertamento per un maggior reddito d'impresa, con sanzioni relative a IRPEF, IVA ed IRAP.

A seguito di ciò, la ditta contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale competente, la quale respingeva il ricorso, ma la decisione veniva ribaltata dalla Commissione tributaria regionale chiamata successivamente ad esprimersi in merito.

L'Agenzia delle Entrate, contro la decisione della Commissione tributaria regionale suddetta, ricorreva quindi per Cassazione lamentando in particolare come l'atto impositivo da lei emesso si fondava non solo sul rinvenimento di documentazione extracontabile presso terzi, ma anche su una serie di ulteriori indizi che ragionevolmente inducevano a presumere l'esistenza di operazioni intercorse tra il terzo –presso cui era stata rinvenuta la documentazione – e la parte contribuente. Inoltre, l'ufficio sosteneva che la natura "informatica" della documentazione rinvenuta presso terzi non privava di contenuto la presunzione in questione.

La Suprema Corte ha deciso con la sentenza n. 7199, depositata il 18 marzo 2024, accogliendo il ricorso medesimo, cassando la sentenza impugnata e rinviando per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado competente ma in diversa composizione.

La questione

L'art. 39 d.p.r. n. 600/1973 è denominato «Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi» e disciplina i casi nei quali, per i redditi d'impresa delle persone fisiche, l'ufficio può procedere alla rettifica di quanto dichiarato dal contribuente. La questione specifica del caso oggetto del presente approfondimento riguarda il cd. "Accertamento analitico-induttivo" – di cui comma 1, lett. d) dell'articolo suddetto – ossia quel metodo di accertamento fiscale utilizzabile esclusivamente nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili. Attraverso tale tipologia di controllo, l'amministrazione finanziaria può rideterminare: i ricavi, i compensi, il volume d'affari, le spese e/o i costi indicati dal contribuente nelle proprie dichiarazioni dei redditi e/o nell'eventuale bilancio d'esercizio. Questa rideterminazione può avvenire anche in presenza di una contabilità regolarmente e correttamente tenuta dal punto di vista formale. L'accertamento analitico-induttivo, quindi, può essere fondato sul controllo delle scritture contabili, sulle risultanze di accessi, ispezioni e verifiche. Infine, la presenza di attività non dichiarate e/o l'inesistenza di passività dichiarate è desumibile dagli uffici anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Nella questione presente, inoltre, viene posta l'attenzione riguardo l'ammissibilità di tale tipologia di accertamento in tutti quei casi nei quali l'Agenzia delle Entrate si trovi a basare la propria pretesa su una documentazione extra-contabile avente le seguenti due caratteristiche:

– Il formato della suddetta documentazione risulti essere informatico e non cartaceo;

– La documentazione stessa sia stata rinvenuta presso soggetti terzi rispetto al contribuente contestato.

Infine, risulterà utile, ai fini della comprensione della questione riportare il testo dell'art. 39 comma 1, lett d), d.p.r. n. 600/1973, il quale recita:

«Per i redditi d'impresa delle persone fisiche l'ufficio procede alla rettifica: … d) se l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'articolo 32. L'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».

Le soluzioni giuridiche

La sentenza 18 marzo 2024, n. 7199 della Suprema Corte ha confermato, innanzitutto, la tesi giurisprudenziale secondo la quale i requisiti della «gravità, precisione e concordanza» richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro esame complessivo, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), anche se preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, «perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall'altro in vicendevole completamento».

In secondo luogo, la Cassazione ha ricordato come la natura "informatica" della documentazione rinvenuta presso terzi non priva di contenuto la presunzione applicata, dato che la rilevanza di una cd. contabilità "in nero" ai fini fiscali e dell'accertamento induttivo di cui all'art. 39 d.p.r. n. 600/1973 è totalmente sganciata da qualunque formalità connessa alle modalità con le quali è tenuta, richiedendosi unicamente che dalla medesima emergano, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa, ovvero emerga la situazione patrimoniale dell'imprenditore.

In terzo luogo, richiamandosi a precedente giurisprudenza, il giudice di legittimità ha confermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza ai fini della formazione del proprio convincimento e la "contabilità in nero", costituita da documenti informatici (files), costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, legittimamente valutabile in relazione all'esistenza delle operazioni non contabilizzate. Inoltre l'inattendibilità della contabilità aziendale e quindi l'accertamento induttivo possono essere fondati su documentazione reperita presso terzi e su annotazioni elaborate da terzi.

Infine, la Cassazione ha specificato come l'Amministrazione possa fornire elementi anche indiziari da cui sia possibile dedurre, con ragionevole consequenzialità, che i documenti elaborati dal contribuente non siano veritieri. Rientrano fra tali elementi, ad esempio nel caso di specie, l'esistenza di diverse operazioni regolarmente annotate tra il terzo ed il contribuente, rilevate sulla base dell'analitico raffronto tra le relative scritture contabili, ed il fatto che la documentazione extracontabile riportasse il nominativo, la data di consegna, la quantità e la descrizione dei prodotti oltre agli importi relativi alle diverse operazioni.

Se tali elementi indiziari vengono presentati dall’Agenzia delle Entrate, essi non possono essere ritenuti dal giudice, in sé, probatoriamente irrilevanti, senza che a tale conclusione conducano l'analisi dell'intrinseco valore delle indicazioni che da essi discendono e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità del contribuente.

Osservazioni

La sentenza 18 marzo 2024, n. 7199 si è focalizzata sui seguenti temi:

  1. la legge richiede gravità, precisione e concordanza, valutate insieme in un giudizio globale anziché atomistico. È importante considerare ciascuno separatamente per individuare quelli rilevanti e collocarli in un contesto articolato per un completo completamento reciproco;
  2. la Cassazione ha confermato che la documentazione informatica trovata presso terzi mantiene la presunzione di rilevanza per fini fiscali, indipendentemente dalla forma con cui è tenuta, purché mostri atti d'impresa o la situazione patrimoniale dell'imprenditore in termini quantitativi o monetari;
  3. il giudice di legittimità conferma che il rinvenimento di una cd. “contabilità in nero”, basata su documenti informatici, può essere considerata come elemento probatorio, anche se tale documentazione viene recuperata presso soggetti terzi.

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