Crediti Irpef e Irpeg risultanti dalle dichiarazioni: il Fisco ha l’obbligo (decennale) di non eccepire la prescrizione del diritto al rimborso

31 Maggio 2024

Le Sezioni Unite, con sentenza 7 maggio 2024, n. 12284 si sono pronunciate in tema di Irpef e Irpeg e hanno fornito chiarimenti sulla natura dell'obbligo che sussiste in capo all'Amministrazione finanziaria di non eccepire la prescrizione del diritto del contribuente al rimborso delle eccedenze Irpef e Irpeg sulle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997.

Massima

In tema di Irpef e Irpeg, l'art. 2 comma 58, l. n. 350/2003 (finanziaria 2004) pone a carico dell'Amministrazione finanziaria un vero e proprio obbligo di non far valere la prescrizione del diritto del contribuente al rimborso delle eccedenze Irpef e Irpeg sulle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997: detto obbligo, la cui violazione è rilevabile anche d'ufficio dal giudice, viene a cessare dopo un decennio, pari al decorso di un nuovo termine prescrizionale, dall'entrata in vigore (1° gennaio 2004) della legge stessa.

Il caso

Un istituto regionale, con istanza del maggio 2009, chiedeva all'Amministrazione finanziaria il rimborso del credito Irpeg risultante dal Mod. 760/87 per i redditi prodotti nel 1986, pari a oltre due milioni di euro a titolo d'eccedenza di imposta e ad oltre due milioni e mezzo di euro a titolo di interessi.  

Il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza veniva impugnato dall'ente innanzi alla locale commissione tributaria, che respingeva il ricorso.

La Comm. trib. reg., adita dal contribuente soccombente, in riforma della decisione di primo grado, riteneva invece illegittimo il silenzio-rifiuto opposto nel rilievo che il disposto di cui all'art. 2 comma 58 l. n. 350/2003 (legge finanziaria 2004), laddove prevede l'erogazione da parte dell'Agenzia delle Entrate delle eccedenze di Irpef e Irpeg dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997 «senza far valere la eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti», ha natura precettiva, nel senso che configura un vero e proprio divieto, per l'Agenzia, di eccepire la prescrizione in sede giudiziale.

Avverso la decisione dei giudici regionali proponeva ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, la quale denunciava, tra l'altro, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2934, 2937 e 2946 c.c.art. 2 comma 58 l. n. 350/2003 sostenendo che quest'ultimo disposto – alla stregua di quanto già statuito da Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2007, n. 2687 e della successiva giurisprudenza conforme – integra (non già un obbligo legislativo ma) un mero “invito” all'Amministrazione finanziaria a non far valere la prescrizione, senza comportare alcuna abolizione di quest'ultima e che in ogni caso – nella specie – il credito in questione, relativo alla dichiarazione del 1986, era comunque già prescritto per decorso (non interrotto) del termine decennale, non avendo la norma in esame efficacia retroattiva (Corte cost. 29 maggio 2013, n. 112).

Replicava con controricorso l'ente contribuente facendo rilevare, in fatto, di aver presentato a suo tempo una prima istanza di rimborso già nel settembre 1994, donde l'insussistenza dell'eccepita prescrizione, e che l'ufficio locale delle imposte dei redditi aveva espressamente riconosciuto il credito Irpeg in sede di avviso di accertamento emesso nel 1992 proprio in relazione alla dichiarazione dei redditi presentata per il periodo d'imposta 1986.

La Sezione tributaria della Suprema Corte, assegnataria del ricorso, vista la rilevanza della questione e la sua idoneità a riproporsi in futuri giudizi, con ord. interl. 24 marzo 2023, n. 8475 trasmetteva gli atti alla Prima Presidente della Cassazione per la rimessione alle Sezioni unite civili, dovendosi valutare i precedenti costituiti da Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2007, n. 2687 e da Corte cost. 29 maggio 2013, n. 112.

Il giudice nomofilattico, con la sentenza in rassegna, enunciato il principio di diritto sopra massimato, ha infine rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate.

La questione

La questione affrontata dalle Sezioni Unite riguarda la portata – se precettiva e, quindi, vincolante per l'Amministrazione, o meno – dell'art. 2 comma 58, legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004), secondo il quale: «Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l'Agenzia delle Entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di Irpef e Irpeg dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti».

Sull'esegesi in senso precettivo di tale disposizione ostava il precedente nomofilattico costituito da Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2007, n. 2687, il quale aveva statuito il principio per cui: «qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d'imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dall'art. 38 d.p.r. n. 602/1973, non occorrendo la presentazione di un'apposita istanza, in quanto l'Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria» ma aveva altresì aggiunto – con una precisazione non propriamente qualificabile come obiter dictum ma comunque posta a valle della risoluzione di un problema giuridico tutt'affatto differente – che l'art. 2 comma 58, l. n. 350/2003 «non modifica i termini di prescrizione ordinaria, ma si limita ad invitare l'amministrazione a non “far valere” tale prescrizione […] spettando all'Amministrazione non proporre in giudizio l'eccezione di prescrizione». Un mero “invito”, dunque, rivolto agli uffici non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice tributario.

Tali affermazioni, pur non essendo centrali nelle argomentazioni di sez. un. 7 febbraio 2007, n. 2687 perché non funzionali alla risoluzione della fattispecie ad esse all'epoca sottoposta, sono state nondimeno costantemente riprese, spesso in maniera tralatizia, in molte sentenze della sezione tributaria della Cassazione che, senza ulteriori approfondimenti, hanno per lo più interpretato l'art. 2 comma 58, l. n. 350/2003 in senso non precettivo (cioè non di vero e proprio “obbligo”) per l'Agenzia delle Entrate, ma in senso facoltativo e discrezionale (ad es. Cass. civ., sez. V, 31 gennaio 2018, n. 2392 e Cass. civ., sez. VI-V, 2 novembre 2022, n. 32271 che hanno escluso l'applicabilità dell'art. 2 legge n. 350/2003 al rimborso degli interessi; Cass. civ., sez. V, 17 novembre 2021, n. 34853, che ha escluso l'applicabilità dell'art. 2 cit. all'Ilor; Cass. civ., sez. V, 31 agosto 2022, n. 25619; Cass. civ., sez. V, 4 agosto 2020, n. 16630; Cass. civ., sez. V, 31 maggio 2016, n. 11323; Cass. civ., sez. V, 10 giugno 2016, n. 11943; da ultimo Cass. civ., sez. V, 6 novembre 2023, n. 30768).

Senonché nessuna di queste decisioni delle sezioni semplici della Cassazione si è espressamente confrontata con Corte cost. 29 maggio 2013, n. 112 che, nel ritenere manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3,97 e 113, comma 2, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 comma 58, legge n. 350/2003, ne ha estrapolato valenza precettiva osservando che, anche sulla base dei lavori preparatori della legge finanziari, con tale norma «si è inteso dare effettività ai crediti vantati per eccedenza di imposta perché appariva iniquo che, a fronte del condono fiscale, non si restituissero a molti contribuenti gli importi pagati oltre il dovuto».

Di qui l'odierna investitura delle Sezioni Unite civili della Corte volta ad addivenire alla revisione del consolidato indirizzo di legittimità, sulla base dei riscontri tratti dalla lettera della l. n. 350/2003, dai lavori preparatori e da osservazioni sistematiche, come per l'appunto fatte proprie dalla Consulta (Corte cost. 29 maggio 2013, n. 112).

Le soluzioni giuridiche

Il giudice nomofilattico con decisione in rassegna – “affossando” definitivamente l'indirizzo tradizionale delle sezioni semplici successivo a Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2007, n. 2687– statuisce che l'art. 2 comma 58 l. n. 350/2003 integra un obbligo per l'Amministrazione di non eccepire la prescrizione (o, se si preferisce, un divieto di eccepirla), con la conseguenza che, la violazione di questo obbligo, siccome basato su una norma imperativa e rivolta al perseguimento di un interesse pubblico, può (e deve) essere rilevata anche d'ufficio dal giudice tributario, al quale essa pure si rivolga.

La sentenza annotata argomenta sulla base di un'esegesi del disposto di cui all'art. 2 comma 58, l. n. 350/2003 orientata sul primato del criterio letterale che – come di recente già rimarcato dallo stesso plenum di Piazza Cavour (Cass. civ., sez. un., 25 luglio 2022, n. 23051) – rappresenta il criterio-cardine nell'interpretazione della legge e concorre alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie impositiva.

A tal fine – bene spiega la S.C. nella sua più autorevole composizione – la norma in disamina:

– muove da un verbo declinato in modo indicativo («provvede»), dunque nel senso (non già della mera possibilità ma) della puntualità, attualità ed immanenza del compiersi dell'azione riferibile all'Agenzia delle entrate;

– circostanzia l'azione dell'Agenzia sia per un fare (erogazione delle eccedenze Irpef e Irpeg sulle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997) che per un non fare ad esso funzionalmente correlato («senza far valere» la eventuale prescrizione);

– richiama nell'incipit («Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti e di rimborso delle imposte…») la nozione di «pendenza» di un rapporto debito-credito, alla quale va attribuito il significato tecnico-giuridico evincibile da Cass. civ., sez. un., 7 febbraio 2007, n. 2687, nel senso che la sola esposizione in dichiarazione del credito è condizione sufficiente a stabilire la pendenza dell'istanza di rimborso.

In secondo luogo, la Corte regolatrice valorizza la finalità pratica dell'art. 2 comma 58, l. n. 350/2003, dichiaratamente mirata a “chiudere” le pratiche di rimborso emergenti dalle dichiarazioni fino al giugno 1997, in correlazione alla procedura di condono “tombale” in essere in forza della l. n. 289/2002.

Dunque, non solo la lettera, ma neppure la ratio legis – ad avviso del Supremo consesso – consente di individuare in capo all'Amministrazione finanziaria un potere discrezionale di non-eccezione della prescrizione, tanto più che la norma de qua mancherebbe della predeterminazione di qualsivoglia criterio al quale l'opzione del Fisco – di fare o non far valere la prescrizione – dovrebbe conformarsi.

Conclusivamente, le Sezioni unite enunciano l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria di non eccepire la prescrizione rispetto ai crediti Irpef e Irpeg esposti dai contribuenti in dichiarazione fino al 30 giugno 2007; detto obbligo però – ammoniscono gli “ermellini” di Piazza Cavour – non può permanere in perpetuo. Se così fosse, l'imprescrittibilità del credito di rimborso costituirebbe un unicum senza precedenti, confliggente con una disciplina generale del rapporto tributario tutt'altro che indifferente al decorso del tempo, visto il rigido regime prescrizionale e decadenziale – sia a carico dell'Amministrazione che del contribuente – che lo scandisce in tutto il suo svolgimento. Di qui l'esigenza di apprestare, secondo un discrimine temporale certo, un'interpretazione conforme della disposizione in esame che preveda la caducazione del divieto e la riespansione della regola generale della normale eccepibilità della prescrizione, ex art. 2034 ss. c.c., una volta decorso un decennio dall'entrata in vigore della speciale norma in disamina (1° gennaio 2004): arco temporale corrispondente all'intero decorso di un nuovo termine prescrizionale.

Osservazioni

Le Sezioni Unite, nell'affermare il principio di diritto sopra massimato, hanno potuto superare il diverso assunto contenuto nel precedente dictum (Cass. civ., sez. un. 7 febbraio 2007, n. 2687) poiché, in quel caso, l'intervento nomofilattico era stato richiesto su quesiti estranei all'odierno contendere, nel senso che l'art. 2 comma 58, l. n. 350/2003 non appariva allora direttamente rilevante per risolvere né la prima questione sollevata (equipollenza ad istanza di rimborso dell'esposizione dell'eccedenza in dichiarazione) né il secondo problema (decorrenza della prescrizione) peraltro strettamente consequenziale al primo. All'epoca le Sezioni Unite ritennero di dover precisare che sul termine di prescrizione non interferiva né la disciplina del controllo formale automatizzato né la disposizione qui in disamina, per l'appunto, perché concretante un mero “invito” del legislatore agli uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice.

Oggi la Cassazione, nella sua più autorevole composizione, investita direttamente della questione controversa, ha potuto riconoscere al disposto di cui all'art. 2 comma 58, l. n. 350/2003, anche alla luce di quanto statuito da Corte cost.  29 maggio 2013, n. 112, cogenza precettiva, sebbene si tratti di previsione volta ad operare non già sul piano sostanziale (il credito del contribuente è e resta prescritto) bensì su quello processuale (della non eccepibilità in giudizio di tale prescrizione). Non si verte, infatti, di norma propriamente prescrizionale, bensì di norma sul regime della sua opponibilità (in sede amministrativa) ovvero eccepibilità (in sede processuale). Ma ciò non cambia il risultato pratico: il contribuente può esercitare il proprio diritto di credito, senza tema di eccezione estintiva, pur dopo l'inutile decorso del termine di prescrizione decennale ma non oltre il decennio dall'entrata in vigore della l. n. 350/2003: quindi non oltre il 31 dicembre 2014.

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