Le banche possono chiedere a rimborso l’IRAP pagata sui dividendi incassati

Fabio Gallio
04 Giugno 2024

Nella sentenza in commento la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano ha fornito chiarimenti in tema di IRAP e ha statuito il diritto al rimborso dell’imposta versata da un istituto di credito su una base imponibile nella quale confluiscono, nella misura del 50%, i dividendi corrisposti da una società controllata con sede in un altro Stato membro.  

Massima

Per gli intermediari finanziari, l’assoggettamento ad IRAP dei dividendi, in misura ridotta del 50 per cento interessa tassativamente gli importi iscritti a titolo di dividendo nella voce 70 del conto economico inclusa nel margine di intermediazione, viola la direttiva madre-figlia e gli stessi soggetti hanno diritto al rimborso dell’imposta.

Il caso

Con la sentenza del 2 aprile 2024, n. 1429, la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Milano si è occupata di un ricorso presentato da una banca che aveva presentato un'istanza di rimborso dell'IRAP versata e calcolata su di una base imponibile comprensiva del 50% dei dividendi percepiti dalla controllata lussemburghese Beta.

In particolare, era stato eccepito che, in forza delle relative disposizioni in tema di tassazione dei dividendi, l'avvenuto assoggettamento ad IRES degli utili percepiti dalla propria controllata aveva esaurito il limite massimo di tassazione fissato dalla normativa comunitaria, la quale risultava direttamente applicabile nell'ordinamento interno dello Stato membro.

Infatti, la direttiva comunitaria n. 2011/96/UE (d'ora in poi, breviter, direttiva madre-figlia) ne prevedeva la tassazione nella minor misura del 5%, già assolta da essa società.

La questione giuridica

La direttiva madre-figlia di cui sopra intende esentare dalle ritenute alla fonte i dividendi e altre distribuzioni di utili pagati dalle società figlie alle proprie società madri ed eliminare la doppia imposizione su tali redditi a livello della società madre.

L'articolo 4, paragrafi 1 e 3, di detta direttiva prevede quanto segue: «1. Quando una società madre o la sua stabile organizzazione, in virtù del rapporto di partecipazione tra la società madre e la sua società figlia, riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia, lo Stato membro della società madre e lo Stato della sua stabile organizzazione: a) si astengono dal sottoporre tali utili a imposizione nella misura in cui essi non sono deducibili per la società figlia e sottopongono tali utili a imposizione nella misura in cui essi sono deducibili per la società figlia; o b) li sottopongono a imposizione, autorizzando però detta società madre o la sua stabile organizzazione a dedurre dalla sua imposta la frazione dell'imposta societaria relativa ai suddetti utili e pagata dalla società figlia e da una sua sub-affiliata, a condizione che a ciascun livello la società e la sua sub-affiliata ricadano nelle definizioni di cui all'articolo 2 e soddisfino i requisiti di cui all'articolo 3 entro i limiti dell'ammontare dell'imposta corrispondente dovuta. (...) 3. Ogni Stato membro ha la facoltà di stipulare che oneri relativi alla partecipazione e minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della società figlia non siano deducibili dall'utile imponibile della società madre. In tal caso, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate forfettariamente, l'importo forfettario non può essere superiore al 5% degli utili distribuiti dalla società figlia».

Come sancito dalla Corte di Giustizia europea (sentenza del 17 maggio 2017, n. C-365/16), poiché la direttiva madre-figlia persegue, in conformità al suo considerando 3, l'obiettivo di eliminare la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società figlia alla società madre a livello della società madre, una tassazione di tali utili da parte dello Stato membro della società madre in capo a tale società al momento della ridistribuzione di questi ultimi, che produca l'effetto di assoggettare detti utili ad una tassazione che eccede la soglia del 5% prevista dall'articolo 4 paragrafo 3, della direttiva in parola, comporterebbe una doppia imposizione a livello di tale società, vietata dalla suddetta direttiva.

Viene anche precisato che, in tale contesto, che poco rileva che la misura fiscale nazionale sia o meno qualificata come imposta sulle società. A tal proposito, è sufficiente constatare che l'articolo 4 paragrafo 1, lettera a), della direttiva madre‑figlia non limita la propria applicazione a una determinata imposta. Infatti, detta disposizione prevede che lo Stato membro della società madre si astenga dal sottoporre ad imposizione gli utili distribuiti dalla società figlia non residente. La disposizione in parola mira quindi ad evitare che gli Stati membri adottino misure fiscali che comportino una doppia imposizione degli utili in questione in capo alle società madri.

Sempre secondo la Corte di Giustizia (sentenza del 17 maggio 2017, n. c-68/15), se uno Stato membro si è avvalso della facoltà prevista dall'articolo 4 paragrafo 3, della suddetta direttiva, gli utili provenienti dalle controllate non residenti delle società madri belghe sono dunque esentati nella misura del 95%.

La normativa italiana

E' necessario a questo punto ricordare che lo stato italiano ha optato per l'esenzione da tassazione dei dividendi erogati dalla controllata estera, avvalendosi nel contempo della disposizione di cui al citato paragrafo 3, all'art. 89 del TUIR risulta infatti prevista l'esenzione di detti utili dall'imposta sul reddito delle società (IRES) nella misura del 95%.

Ai fini IRAP, l'art. 6 comma 1 lett. a) del d.lgs. n. 446/1997 (che dispone in ordine alla determinazione del valore della produzione netta degli intermediatori finanziari, quali le banche) prevede che il margine di intermediazione sia ridotto del 50%; pertanto, i dividendi percepiti dalla controllante italiana concorrono a formare la base d'imposta IRAP nella predetta misura del 50%.

Si ricorda, infatti, che, per i soggetti finanziari, il valore della produzione IRAP è determinato partendo dal margine di intermediazione (voce 120), ridotto del 50% dei dividendi (voce 70), del 90% delle spese amministrative e degli ammortamenti dei beni materiali e immateriali ad uso funzionale (rispettivamente voci 160 b), 180 e 190) e, delle «rettifiche e riprese di valore nette per deterioramento dei crediti, limitatamente a quelle riconducibili ai crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo».

Questa disposizione è integrata dal primo periodo del comma 6 del medesimo art. 6 del d.lgs. n. 446 del 1997, secondo cui «[i] componenti positivi e negativi si assumono così come risultanti dal conto economico dell'esercizio redatto secondo i criteri contenuti nei provvedimenti della Banca d'Italia 22 dicembre 2005 e 14 febbraio 2006, adottati ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, e pubblicati rispettivamente nei supplementi ordinari Gazzetta Ufficiale n. 11 del 14 gennaio 2006 e n. 58 del 10 marzo 2006».

A questo punto, è necessario precisare che ai fini IRAP vige il principio della derivazione da quanto iscritto in bilancio, dal momento che la base imponibile dell'IRAP è stata sganciata da quella dell'IRES e fatta derivare per intero dai dati delle voci del conto economico, appositamente individuate dal legislatore ai fini tributari (Cfr. art. 1 comma 50, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).

L'Agenzia delle Entrate (Cfr. Circolare 27/E del 26 maggio 2009, paragrafo 3.4) ha affermato che l'assoggettamento ad IRAP dei dividendi in misura ridotta del 50 per cento interessi tassativamente gli importi iscritti a titolo di dividendo nella voce 70 del conto economico inclusa nel margine di intermediazione. La riduzione dell'imponibilità al 50 per cento non riguarda, pertanto, gli altri “proventi simili” rientranti nella medesima voce del conto economico, derivanti, ad esempio, da quote di partecipazione in OICR che concorrono, invece, integralmente alla formazione della base imponibile IRAP. Inoltre, ai fini del tributo, non assumono rilevanza i dividendi che, secondo la corretta contabilizzazione IAS/IFRS, sono classificati in voci del conto economico diverse da quella rilevante ai fini IRAP (ad esempio, i dividendi relativi ad azioni valutate con il metodo del patrimonio netto imputati direttamente a riduzione del costo della partecipazione).

La soluzione giuridica

Secondo la sentenza in esame, la tassazione ai fini IRES dei dividendi erogati alla società italiana dalla propria controllata estera, siccome disposta dall'Italia in recepimento delle modalità indicate all'art. 4 paragrafo 3 della citata direttiva n. 2011/96/UE, esaurisce il limite di relativa tassazione in misura non superiore al 5%, con la conseguenza che l'inclusione del 50% di detti dividendi nella base imponibile IRAP dettata dall'art. 6 comma 1 lett. a) del d.lgs. n. 446/1997, sostanzia il superamento del limite stabilito dalla normativa comunitaria. La previsione di cui all'art. 6 comma 1 lett. a) integra pertanto una  violazione di quest'ultima normativa, sì da doversene disporre la disapplicazione, nell'esercizio del potere al proposito conferito al giudice (cfr, per tutte la sentenza della Corte di Giustizia UE emessa in data 9 marzo 1978 nella causa C-106/77, recepita dalla pronuncia n. 570/1984 della Corte Costituzionale). Quindi, ne discende l'incompatibilità con la normativa comunitaria, pacificamente prevalente su quella nazionale in virtù del principio del primato del diritto UE, del regime italiano di tassazione ai fini IRAP degli utili in questione, posto che in ragione del relativo assoggettamento ad IRES risulta esaurito il relativo limite di imponibilità, fissato in misura non superiore al 5% dal citato art. 4 paragrafo 3.

Osservazioni

In merito al rimborso dell'IRAP pagata a seguito dell'incasso dei dividendi, si ricorda che, con la sentenza della Corte di Giustizia di secondo grado della Lombardia, del 4 ottobre 2023, n. 2930, è stato sostenuto che, per gli intermediari finanziari, sono imponibili ai fini IRAP solamente i dividendi valorizzati con un metodo diverso da quello del patrimonio netto.

In particolare, una società finanziaria aveva iscritto a conto economico dei dividendi e li aveva tassati ai fini IRAP secondo quanto previsto dalla relativa normativa, di cui di seguito. Dal momento che la contabilizzazione dei dividendi doveva essere effettuata secondo il metodo del patrimonio netto, era stata chiesta a rimborso la relativa IRAP versata.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, però, tale richiesta doveva essere respinta dal momento che la società aveva proceduto a iscrivere i dividendi nella voce rilevante ai fini IRAP.

Secondo i giudici di secondo grado milanesi, però, la società aveva diritto al rimborso, in quanto aveva proceduto alla corretta contabilizzazione della partecipata, secondo il suddetto criterio del patrimonio netto, rettificando, in linea con i principi contabili di riferimento, gli effetti della pregressa errata contabilizzazione, come documentato nel corso del giudizio di primo grado (Cfr. sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado del 17 ottobre 2022, n. 2789).

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