L'elemento soggettivo nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale

10 Giugno 2024

La Corte di cassazione nella sentenza in commento si è pronunciata sul tema della bancarotta fraudolenta documentale, chiarendo che le condotte di sottrazione e distruzione, cui va equiparata l'omissione, integrano gli estremi del reato di bancarotta fraudolenta documentale solo laddove sorrette da dolo specifico (vale a dire, qualora si accerti che scopo di esse sia quello di recare pregiudizio ai creditori). 

Massima

La differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale e la cd. bancarotta semplice di cui all'art. 217. l. fall. consiste nell'elemento psicologico che nel caso di bancarotta semplice, si configura indifferentemente quale dolo generico o colpa mentre nella bancarotta documentale è integrata dal dolo specifico.

Il caso

Il caso sottoposto alla Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. V, 29 febbraio 2024, n. 8921) origina dal ricorso presentato dal difensore dell'imputato contro la sentenza, emessa dalla Corte d'appello che aveva confermato quella di primo grado, con la quale era stata riconosciuta la penale responsabilità in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale.

Con i motivi di gravame si deduceva violazione di legge processuale prevista a pena di nullità e violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al giudizio di responsabilità.

La questione

Al fine di un migliore inquadramento della tematica pare opportuno esaminare gli elementi costitutivi dell'art. 216 comma 1 n. 2, l. fall.

I reati di bancarotta erano originariamente contemplati all'interno della legge fallimentare, il r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in seguito riscritta dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, anche se la novella non toccava le disposizioni penali di cui al Titolo VI, dedicato, per l'appunto, anche ai reati di bancarotta. La principale distinzione all'interno della bancarotta era tra bancarotta semplice (artt. 217 e 224, l. fall.) e bancarotta fraudolenta (artt. 216 e 223, l. fall.), relativa ad una differente intensità della gravità oggettiva e soggettiva.

La disciplina dei reati di bancarotta è stata rimodellata a seguito della pubblicazione del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, con l'obiettivo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, con le principali finalità di consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese e salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro a un fallimento di impresa dovuto a particolari contingenze.

Per effetto di tale intervento normativo, la disciplina della bancarotta e degli altri reati fallimentari viene ricondotta all'interno del Titolo IX del nuovo Codice, dedicato alle Disposizioni penali (artt. 322-347), senza che questo comporti alcuna abrogazione della normativa contenuta all'interno della legge fallimentare, così come delle disposizioni penali sulla bancarotta (si veda eventualmente Martin, La bancarotta fraudolenta documentale e la prova del dolo specifico, in Riv. pen., n. 2, 2023).

Come noto il legislatore ha previsto due macro-ipotesi di bancarotta: quella semplice e quella fraudolenta, punita in maniera più grave.

Per quanto attiene la presente analisi, ci si soffermerà solamente sulla bancarotta fraudolenta con particolare riferimento a quella documentale, con un breve digressione su quella per distrazione a titolo di confronto.

La bancarotta distrattiva si configura quando l'imprenditore o l'amministratore della società sottrae, distrae, nasconde o distrugge beni e risorse finanziarie dal proprio patrimonio o da quello collettivo per arricchire sé stesso, privando nel contempo i creditori di qualsiasi forma di garanzia patrimoniale su cui soddisfarsi (De Martino-D'avirro, La bancarotta fraudolenta, Milano, 2018, 87 ss.)

L'oggetto materiale del reato è costituito dai beni dell'imprenditore soggetto a dichiarazione giudiziale o il patrimonio, inteso come il complesso dei rapporti giuridici economicamente valutabili facenti capo all'imprenditore medesimo (Casaroli, Qualche riflessione sull'oggetto materiale del delitto di bancarotta, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, 403).

Le modalità in cui può esplicarsi la condotta consistono nella dissimulazione, distruzione dissipazione o occultamento dei beni facenti capo all'impresa.

Per quanto attiene l'elemento soggettivo questo consiste nel dolo specifico anche se, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, il dolo specifico sarebbe configurabile solo nell'ipotesi di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, mentre nei casi di occultamento, distrazione, sarebbe sufficiente il dolo generico (Soana, I reati fallimentari, Milano, 2020, 189 ss.).

L'art. 216 comma 1 n. 2, l. fall. punisce con la stessa pena prevista per la bancarotta fraudolenta patrimoniale (da tre a dieci anni di reclusione) la condotta di chi: «ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari».

L'apparente unitarietà della formulazione del reato cela due distinte fattispecie, anche se e ben vedere risultano accomunate unicamente dall'oggetto del reato, per entrambe consistenti dai libri e dalle scritture contabili, ancorché non obbligatorie, purché utili alla ricostruzione dell'andamento aziendale, mentre differiscono sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo (Amati-Mazzacuva, Diritto penale dell'economia, Milano, 2023, 226; Cristofori, La bancarotta fraudolenta documentale, in Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa (a cura di), Diritto penale dell'economia, Milano, 2019, 2175).

A differenza della bancarotta documentale semplice, il cui oggetto può essere costituito solo e soltanto dai libri e dalle scritture obbligatorie in relazione all'impresa oggetto di fallimento, nelle fattispecie fraudolente rilevano anche le condotte commesse su libri e contabilità meramente facoltative, purché idonee a ricostruire attività e passività aziendali.

La prima, c.d. specifica, enuclea una serie di condotte materiali (sottrazione, distruzione, falsificazione, anche solo parziali) aventi ad oggetto contabilità e libri aziendali, accomunate dal dolo specifico consistente nel procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o recare pregiudizio ai creditori.

Trattasi, dunque, di reato di mera condotta e a dolo specifico (Magnelli, Bancarotta documentale specifica, generica o semplice? La Cassazione alla ricerca degli “indici di fraudolenza” perduti in caso di omessa tenuta della contabilità, in Giur. pen., n. 10, 2021).

Sul versante soggettivo, le condotte fraudolente devono essere orientate a recare pregiudizio ai creditori o a conseguire ingiusto profitto.

Apparentemente, tali finalità sono alternative; tuttavia, parte della dottrina (Amati-Mazzacuva, Op. cit., 278) le interpreta sostanzialmente come una sorta di endiadi, essendo difficile ipotizzare la volontà di danneggiare i creditori senza, al contempo, voler conseguire un ingiusto profitto; tale rilievo implica che tali obiettivi debbano essere perseguiti cumulativamente.

La bancarotta fraudolenta documentale c.d. generica, reato d'evento a dolo generico, costituisce invece la forma alternativa rispetto a quella sorretta dal dolo specifico, e consiste nel tenere i libri e le scritture contabili in guisa da rendere – relativamente – impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Giuliani Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006, 101).

La norma, più che alternativa, ha portata residuale e generale rispetto alla specifica, nel senso che mira a sanzionare tutte quelle condotte – in qualunque modo esse si concretino – il cui risultato sia quello di ostacolare concretamente l'operato della curatela fallimentare a prescindere dai fini concretamente perseguiti dal fallito.

Si tratta di un reato proprio che può essere commesso solamente dai soggetti che rivesto la specifica qualifica prevista dal legislatore.

Per il reato di bancarotta sono prevista delle specifiche circostanze aggravanti che sono ora previste all'interno dell'art. 326 del nuovo codice della crisi di impresa.

Una prima circostanza aggravante, disciplinata dal primo comma della norma, consiste nel caso in cui i fatti previsti negli artt. 322, 323 e 325 del medesimo codice abbiano cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità (Perini-Dawan, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, 174 ss.).

L'entità del danno va valutata in relazione al pregiudizio arrecato alla massa dei creditori, non dalla liquidazione giudiziale, bensì dalla bancarotta; ovviamente, nel caso di più fatti di bancarotta, occorre far riferimento al danno arrecato nel complesso.

Un'ulteriore circostanza aggravante si configura se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno dei summenzionati articoli; deve trattarsi di una molteplicità di azioni criminose, indifferentemente relative alla medesima ipotesi di reato realizzata più volte, o a distinte ipotesi o al cumulo tra la reiterazione di singole ipotesi e l'attuazione di ipotesi diverse.

Anche nel caso in cui il soggetto attivo per divieto di legge non poteva esercitare un'impresa commerciale verrà applicato un aumento di pena.

Dal punto di vista delle circostanze attenuanti, è prevista solamente quella del danno di particolare tenuità che comporta una diminuzione di un terzo della pena.

La soluzione giuridica

Nell'esaminare il ricorso, la Corte di cassazione rileva che la bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216 comma 1 n. 2, l. fall., prevede due fattispecie alternative: quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili; quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita.

Anche l'ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può essere ricondotta, sotto il profilo dell'elemento materiale, nell'alveo di tipicità dell'art. 216 comma 1 n. 2, l. fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d'affari, a fortiori ha inteso punire anche l'imprenditore che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell'impresa.

Le condotte riferibili alla prima ipotesi (sottrazione e distruzione, cui va equiparata l'omissione) integrano gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta solo laddove sorrette da dolo specifico; solo, cioè, qualora si accerti che scopo di esse sia quello di recare pregiudizio ai creditori.

Ed è proprio tale finalità a distinguere la bancarotta fraudolenta da quella semplice documentale, prevista dall'art. 217 l. fall., e punita anche a titolo di colpa, con riferimento all'omissione della tenuta delle scritture.

Con riferimento alla linea di discrimine tra bancarotta fraudolenta documentale a dolo generico e corrispondente ipotesi a dolo specifico, la norma incriminatrice di cui all'art. 216, comma 1 n. 2, l. fall., tende, tra l'altro, anche a tutelare l'agevole svolgimento delle operazioni della curatela; sicché, nel caso in cui le scritture siano state tenute in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, la disposizione circoscrive nel perimetro della rilevanza penale ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari.

La parziale omissione del dovere annotativo, che riguardi uno o più libri contabili, integra quindi la fattispecie di bancarotta documentale a dolo generico; ciò in quanto la singola, omessa annotazione, o anche l'annotazione parziale, presuppongono, in ogni caso, l'esistenza della scrittura contabile di riferimento, elemento imprescindibile per la configurazione della bancarotta a dolo generico.

Inoltre, tali condotte di falsificazione ideologica, che rendono lacunosa e/o incompleta la rappresentazione contenuta nella scrittura, concretano, in sostanza, altrettante falsificazioni per omissione, valutabili ai fini di una impossibilità o difficoltà nella ricostruzione delle vicende contabili e patrimoniali dell'impresa sotto l'aspetto fenomenico deve osservarsi che, in realtà, sia la tenuta confusa, incompleta, falsificata della contabilità, che l'omessa tenuta della stessa – totale o parziale che sia –, ovvero le condotte di sottrazione, distruzione, occultamento e falsificazione, determinano tutte, indistintamente, una impossibilità ricostruttiva dell'andamento dell'azienda e delle scelte imprenditoriali, nella misura in cui queste ultime rilevano sul piano penale.

Tuttavia, nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento è richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori, che costituisce cardine dell'elemento soggettivo, integrando il dolo specifico richiesto dalla norma.

Le condotte di bancarotta documentale fraudolenta a dolo generico, invece, sono connotate esclusivamente da una peculiare modalità della condotta che, pur non costituendo l'evento del reato, individuano l'atteggiamento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice

Osservazioni

Mediante la decisione oggetto del presente commento la Suprema corte ha fatto buon governo e corretta applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. Pen, Sez. V, 10 maggio 2023, n. 28257).

È difatti ormai consolidato il principio di diritto secondo cui la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità del curatore fallimentare, anche sotto forma della loro omessa tenuta, è fattispecie di reato a dolo specifico consistente nel fine di recare pregiudizio ai creditori – in ciò differenziandosi dalla tenuta fraudolenta dei documenti contabili, punibile a titolo di dolo generico e che presuppone un accertamento effettuato sulla contabilità fisicamente consegnata all'organo fallimentare o rinvenuta presso l'impresa fallita.

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per poter fondare la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita, deve essere aggiunta, alla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, anche la dimostrazione non solo astratta e presunta, bensì effettiva e concreta, della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di farne emergere la strumentalità verso fini di pregiudizio in danno dei creditori: ciò che è imposto dal rispetto del principio costituzionale di colpevolezza.

Se la carica di amministratore di diritto di una società conferisca alla persona che la ricopre doveri di vigilanza e controllo (ex art. 2392 c.c.), è pur vero che l'addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito può muoversi soltanto quando la condotta omissiva sia stata accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui abbia consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della società fallita, oppure la sottraggano agli organi fallimentari o la omettano in danno dei creditori o per un ingiusto profitto.

Pertanto, il giudice deve fornire adeguata motivazione circa la possibilità, non soltanto astratta e presunta, ma reale, della conoscenza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture ovvero della loro preordinata omessa tenuta, in guisa tale da cagionare l'effetto di impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi di dolo specifico, di procurare un danno al ceto creditorio o un ingiusto profitto a taluno.

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