Responsabilità civile
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Vendita a consegne ripartite e garanzia per vizi: i chiarimenti della Cassazione

13 Giugno 2024

Il problema affrontato riguarda l'interpretazione dell'art. 1495 c.c. in relazione alla vendita a consegne ripartite e al riconoscimento dei vizi da parte del venditore. Nello specifico, in caso di vendita a consegne ripartite, se il venditore riconosce i vizi della merce, come si modifica il termine decadenziale per la denuncia dei vizi da parte del compratore? E in che modo tale riconoscimento può esonerare il compratore dall'onere della tempestiva denuncia?

Massima

“In tema di garanzia per vizi nella compravendita, il riconoscimento dei difetti da parte del venditore, che, ai sensi dell'art. 1495 c. 2 c.c., esonera il compratore dall'onere della tempestiva denuncia, può aver luogo anche tacitamente, per facta concludentia, come nel caso in cui lo stesso venditore provveda alla sostituzione della cosa. Ed inoltre, quando sia stata venduta, a consegne ripartite, merce con le medesime caratteristiche di qualità, il riconoscimento del vizio della merce stessa da parte del venditore, dopo la prima consegna, esclude il verificarsi della decadenza, ai sensi dell'art. 1495 c.c., in relazione a vizi dello stesso genere relativi alle successive partite”.

Il caso

Con atto di citazione una società di vendita, sia all'ingrosso che al dettaglio, di abbigliamento tecnico professionale proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Busto Arsizio (Sezione distaccata di Gallarate) aveva ingiunto in favore di altra società (specializzata nella produzione di items per la protezione sul lavoro) il pagamento di una certa somma di denaro, maggiorata degli interessi legali nel frattempo maturati, a saldo del corrispettivo per la fornitura di calzature da lavoro, come da fatture commerciali all'uopo emesse.

In particolare, la società opponente faceva rilevare che, contravvenendo a quanto pattuito nel contratto di distribuzione sottoscritto dalle parti, l'opposta avesse prodotto e consegnato delle calzature affette da gravi vizi e difetti, tali da renderle inidonee al loro utilizzo e alla relativa commercializzazione. Sulla scorta di tali motivi, l'opponente domandava la risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1497 c.c., con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto e condanna alla restituzione delle somme versate in acconto, oltre al risarcimento dei danni per la lesione subita all'immagine commerciale.

Con memoria di costituzione, l'opposta si difendeva, eccependo la decadenza e la prescrizione dell'azionata garanzia per i vizi della merce fornita, e insisteva per la conferma del provvedimento monitorio opposto.

All'esito della fase istruttoria, nella quale era stata disposta ed espletata anche una consulenza tecnica d'ufficio, il giudice adito tratteneva in decisione la causa, accogliendo integralmente l'esperita opposizione e pronunciando, per l'effetto, la risoluzione del contratto di fornitura per i gravi vizi della merce fornita, con revoca del decreto ingiuntivo opposto.

Avverso tale sentenza, proponeva appello la società soccombente in primo grado, affidando la propria impugnazione, tra i vari motivi, all'erroneo rigetto dell'eccezione di decadenza già fatta valere nel giudizio di opposizione e all'erronea condanna al risarcimento dei danni in mancanza di alcuna dimostrazione della lesione all'immagine commerciale.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'appello di Milano riformava, in parte qua, la sentenza emessa dal giudice di prime cure solo in relazione alla domanda di risarcimento dei danni per lesione dell'immagine commerciale, mentre per la restante parte confermava la sentenza emessa dal giudice di prime cure. In particolare, il giudice di secondo grado rilevava che, in ordine alla prima consegna, vi era stata la regolare e tempestiva denuncia in ordine alla presenza di vizi e difetti della merce, mentre, per le successive consegne, una volta accertata la permanenza dei vizi sulla fornitura già asseritamente sostituita dalla concedente, la concessionaria aveva accettato di mettere in vendita la merce con riserva, subordinando – senza rinunciarvi – l'azione di garanzia al positivo collaudo da parte dei clienti finali. Proprio sulla base di queste premesse, con successiva missiva, la concessionaria aveva provveduto a comunicare l'esito negativo del collaudo da parte degli acquirenti finali alla concedente.

Per il giudice d'appello, in ogni caso, la presenza di vizi, tali da rendere la merce venduta difettosa delle qualità essenziali per l'uso a cui era destinata, ai sensi dell'art. 1497 c.c., era emersa con certezza dalla consulenza tecnica d'ufficio espletata in primo grado, benché l'esame effettuato avesse riguardato solo una parte della fornitura disponibile, trattandosi di produzione di massa che avrebbe giustificato un controllo a campione per verificare la qualità del prodotto.

La società concedente, soccombente anche nel giudizio di secondo grado, proponeva, infine, ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi, ovverosia:

  1. violazione e falsa applicazione dell'art. 1495 c.c., per avere la Corte di merito disatteso l'eccezione di decadenza tempestivamente sollevata in ordine alla spiegata azione di garanzia per i vizi della vendita;
  2. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all'art. 115, primo comma, c.p.c., per avere la Corte d'appello posto a fondamento della decisione impugnata un documento, di cui sarebbe stato travisato il contenuto;
  3. violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., per essere stata la consulenza tecnica d'ufficio eseguita a campione su una parte limitata di merce (rectius, su un numero limitato di calzature) e non su tutta la fornitura, così determinandosi un'inversione dell'onere probatorio, poiché sarebbe stata rimessa alla società fornitrice la dimostrazione dell'assenza dei vizi medesimi.

La questione

La pronuncia in commento si pone all'attenzione dell'interprete per aver affrontato la seguente questione: quali effetti giuridici produce il riconoscimento dei difetti da parte del venditore (ai sensi dell'art. 1495 c. 2 c.c.) sull'onere di  tempestiva denuncia, che grava sul compratore, in tema di garanzia per i vizi, nella vendita a consegne ripartite?

Soluzioni giuridiche

Ai fini del corretto inquadramento della tematica in esame, giova, preliminarmente, soffermarsi sulla natura del contratto sottoscritto dalle parti. Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte, infatti, i paciscenti, dando esecuzione all'accordo quadro precedentemente concluso (segnatamente, un contratto di distribuzione), avevano stipulato un contratto di vendita c.d. a consegne ripartite.

Si tratta di un contratto atipico, sia pure ampiamente diffuso nella prassi commerciale, che si distingue dalla vendita di matrice codicistica, in quanto l'obbligazione del venditore di consegnare la cosa al compratore (art. 1476 c.c.) non viene adempiuta in un unico momento, ma attraverso una pluralità di consegne.

Nondimeno, l'obbligazione dedotta in contratto ha ad oggetto un'unica prestazione ed è proprio questo elemento a segnare il confine rispetto alla somministrazione (ex multis, Cass. 11 novembre 2021 n. 33559), inducendo la dottrina e la giurisprudenza a ritenere applicabili a tale fattispecie le regole dettate dal legislatore in materia di compravendita, tra le quali, in primis, quelle relative alla garanzia per i vizi.

A tal riguardo, importa rammentare che, ai sensi dell'art. 1495 c. 1 c.c., sul compratore che lamenti un vizio del bene venduto grava un onere di tempestiva denuncia. Più nello specifico, il compratore decade dalla garanzia per i vizi se non li contesta al venditore entro otto giorni dalla scoperta. Il comma successivo della norma testé citata facoltizza la denuncia (rendendola non necessaria), laddove il venditore abbia riconosciuto l'esistenza del vizio o lo abbia occultato. In ogni caso, l'azione del compratore è soggetta al termine di prescrizione breve di un anno dalla consegna (art. 1495 c. 3 c.c.).

Orbene, ferma l'asserita applicabilità di tale disciplina anche alla vendita a consegne ripartite, il formante giurisprudenziale è stato impegnato in una delicata operazione di coordinamento, tesa a individuare il dies a quo dal quale far decorrere i termini di denuncia e prescrizione fra tre possibili soluzioni: 1) dal giorno della prima consegna; 2) dal giorno dell'ultima consegna; 3) da ogni consegna (venendo, così, in rilievo un termine autonomo di denunzia e prescrizione per ogni consegna).

Come è evidente, la scelta dell'una o dell'altra opzione esegetica è di non poco momento, sotto il profilo pratico, perché, ove la denuncia dei vizi venisse considerata intempestiva, ovvero l'azione di garanzia fosse ritenuta prescritta, il compratore potrebbe vedere definitivamente compromessa la tutela dei propri diritti.

In questa ottica, la giurisprudenza di legittimità ha mostrato una netta preferenza per la prima delle soluzioni innanzi esposte, stabilendo che, nella vendita a consegne ripartite che abbia ad oggetto una quantità di beni con le medesime caratteristiche, per la tempestività della denuncia deve guardarsi solo alla prima consegna.

Osservazioni

La pronuncia in commento si inserisce nel solco già tracciato dalla giurisprudenza pregressa (si veda, in particolare, Cass. 21 giugno 2019 n. 16766) e, nel risolvere il caso concreto, ribadisce che, nella vendita a consegne ripartite, avente ad oggetto merce con le medesime caratteristiche di qualità, ai fini della tempestività della denuncia, si deve aver riguardo solo alla prima consegna.

Logica conseguenza di tale assunto è che, ove sia affetta da vizi anche la merce oggetto delle successive partite, non decorre un nuovo termine decadenziale per la contestazione e non è necessaria, comunque, un'ulteriore denuncia.

Tuttavia, rispetto agli altri precedenti, questa ordinanza si segnala per aver aggiunto un tassello ulteriore alla conclusioni già raggiunte, soffermandosi su una delle ipotesi, sancite dall'art. 1495, comma 2, c.c., che esonerano il compratore dall'onere di denuncia, vale a dire il riconoscimento del vizio da parte del venditore.

A tal proposito, viene, anzitutto, ribadito che il riconoscimento dei vizi può avvenire tacitamente, attraverso facta concludentia. Ed invero, la sostituzione dei beni venduti (nella fattispecie de qua, dell'intera fornitura di calzature) integra un comportamento palesemente incompatibile con la volontà di respingere le pretese del compratore.

Il quid pluris, però, si rinviene nel passaggio motivazionale in cui i giudici di Piazza Cavour, specularmente a quanto statuito in ordine alla tempestività della denuncia, affermano che il riconoscimento da parte del venditore del vizio della merce oggetto della prima partita esclude il verificarsi della decadenza, ai sensi dell'art. 1495 c.c., anche in relazione alle successive partite, ove si tratti di merce con le medesime caratteristiche di qualità, affetta da vizi dello stesso genere.

Viene, di tal guisa, introdotto, almeno in via interpretativa, un regime “di favore” per il concedente (sia pure attenuato, potendo trovare attuazione solo per merce con le stesse caratteristiche tipologiche), considerato quasi alla stregua di “parte debole” del rapporto contrattuale, così come accade, mutatis mutandis, in materia consumeristica.

Da questo punto di vista, l'ordinanza oggetto della presente disamina offre spunti di interesse anche sotto il profilo squisitamente probatorio, laddove conferma – dando ragione ai giudici d'appello – che, trattandosi di una produzione di massa, la CTU può dirsi correttamente espletata (con conseguente raggiungimento della prova sui vizi), pur essendo stata condotta solo su una parte della merce venduta (in specie, sulle rimanenze di magazzino).

Nondimeno, argomentando in questi termini, la pronuncia potrebbe prestare il fianco a critiche, non avendo fatto, probabilmente, a dispetto dei proclami, una rigorosa applicazione del principio di vicinanza della prova, che addossa al compratore, in quanto soggetto nella materiale disponibilità del bene, l'onere di dimostrare la sussistenza dei vizi.

Come è noto, infatti, secondo il più recente orientamento pretorio, avallato dai giudici di nomofilachia nel 2019 (Cass. SU 3 maggio 2019 n. 11748, conf. Cass. SU 13 novembre 2012 n. 19702), la disciplina del riparto dell'onere della prova tra venditore e compratore, nelle azioni edilizie, non può ritenersi compresa nell'ambito applicativo dei principi fissati dalla nota sentenza Cass. SU 30 ottobre 2001, n. 13533 per le ordinarie azioni contrattuali, secondo cui chi deduce un inadempimento è tenuto a provare solo la fonte del proprio diritto (c.d. onere di allegazione del titolo), mentre spetta al debitore dimostrare di aver eseguito prontamente ed esattamente la prestazione.

Alla base di tale indirizzo, vi è il rilievo che la consegna della cosa viziata non costituisce un inadempimento alle obbligazioni del venditore, bensì l'imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso.

Più nello specifico, la garanzia per vizi non può essere intesa come oggetto di un dovere di prestazione, ma pone, semmai, il venditore in una posizione disoggezione”, esponendolo all'iniziativa del compratore, che può ottenere tutela attraverso l'actio quanti minoris (finalizzata ad ottenere una riduzione del prezzo), o l'actio redibitoria (rimedio caducatorio, mediante il quale è possibile pervenire alla risoluzione del contratto), oltre al risarcimento del danno, qualora il venditore non provi di aver ignorato senza colpa l'esistenza dei vizi.

Ne consegue che la garanzia per i vizi pone in capo al venditore una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita e basata sul solo presupposto dell'esistenza dei vizi.

Sulla base di tali premesse, le Sezioni Unite (nella sentenza Cass. SU 3 maggio 2019 n. 11748, cit.) giungono ad affermare che la questione del riparto dell'onere della prova tra venditore e compratore, nelle azioni edilizie, è di agevole soluzione, sia alla stregua del principio fissato nell'art. 2967 c.c., in forza del quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, sia in virtù del sopra richiamato principio di vicinanza della prova.

Anche sotto il profilo della vicinitas, invero, non vi è dubbio che, tra i due contraenti, sia il compratore a trovarsi nella miglior posizione per dimostrare l'esistenza del vizio. La fonte di prova del vizio è, infatti, il bene compravenduto, che si trova proprio nella disponibilità materiale del compratore.

Rebus sic stantibus, si può osservare come, nella pronuncia in commento, la Suprema Corte, nel ricondurre, sostanzialmente, il difetto della merce venduta ad una negligenza nel processo di fabbricazione (come sembra doversi intendere il riferimento esplicito alla produzione di massa, che ha consentito di ritenere satisfattiva la prova dei vizi risultante dalla CTU espletata sulle mere rimanenze di magazzino, piuttosto che su tutta la fornitura), ha dato la stura, probabilmente, a una sostanziale inversione dell'onere della prova.

Questa impostazione rischia, infatti, di introdurre, in modo surrettizio, una forma di responsabilità oggettiva, maggiormente gravosa per il venditore, considerata la notevole difficoltà di provare l'efficienza, in assoluto, del processo produttivo.

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