Dichiarazione fraudolenta: basta il dolo eventuale

Giancarlo Marzo
17 Giugno 2024

Nella sentenza in commento i giudici di legittimità hanno ritenuto che, sotto il profilo psicologico, ai fini dell’integrazione del reato ex art. 2 del d.lgs. n. 74/2000, sia sufficiente provare l’accettazione del rischio che, dalla presentazione della dichiarazione, comprensiva di fatture o altri documenti per fatture per operazioni inesistenti, possa derivare l’evasione delle imposte dirette o dell’IVA.  

Massima

Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di dolo eventuale del soggetto agente.

Il caso

L'imputato – in qualità di legale rappresentante di una società di capitali – veniva riconosciuto penalmente responsabile, in primo e secondo grado, per il reato di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto, avvalendosi di una fattura per operazioni inesistenti, aveva indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione relativa all'anno d'imposta 2011, con il presunto fine di evadere l'imposta. Nello specifico, in primo e secondo grado, il ricorrente lamentava la totale estraneità rispetto all'operazione fittizia. Quest'ultima, infatti, era stata posta in essere da un'altra società, poi assorbita in quella di cui il ricorrente, illo tempore, rivestiva la qualifica di rappresentante legale. Solo dopo tale operazione, infatti, l'imputato presentava regolarmente la dichiarazione mendace all'Amministrazione Finanziaria.

Investita della questione, la Corte di cassazione, dichiarando il ricorso inammissibile, evidenziava quale che fosse il consolidato indirizzo giurisprudenziale circa l'elemento psicologico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. In particolare, specificava che: «il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, la quale deve aggiungersi alla volontà di realizzare l'evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell'accettazione del rischio che l'azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l'evasione delle imposte dirette o dell'Iva».

A nulla valeva, peraltro, il fatto che il ricorrente si fosse insediato solo successivamente rispetto all'operazione ritenuta fittizia, se, con la dovuta diligenza, lo stesso avrebbe avuto facile conoscenza (o conoscibilità) della falsità della fattura inserita in dichiarazione. Di fatto, le plurime anomalie evidenziate dall'esame della fattura, nonché degli ulteriori documenti allegati alla stessa, sono stati ritenuti sufficienti, secondo la Corte, per sancire la penale responsabilità dell'imputato.

La questione giuridica

L'articolo 2 comma 1, d.lgs. n. 74/2000 stabilisce espressamente che «È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi».

L'elemento oggettivo del reato, dunque, ossia la condotta descritta dalla norma, risulta la seguente: l'avvalersi di fatture, o altri documenti per operazioni inesistenti indicati all'interno della dichiarazione fiscale IVA o dei redditi.

L'elemento soggettivo, invece, risulta in maniera limpida, integrato dal dolo specifico. Ciò lo si desume dalla locuzione «al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto». Trattasi di reato di pericolo (o, altresì, di mera condotta), in cui il vulnus è meramente potenziale rispetto al bene giuridico. Infatti, l'art. 2 comma 2, d.lgs. 74/2000 stabilisce espressamente che si considera commesso il fatto nel momento in cui le fatture – o altri documenti contabili – afferenti ad operazioni inesistenti, sono registrati nelle scritture contabili, ovvero sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria.

Ponendo l'attenzione su quello che è il tema principale della sentenza in commento, il focus è da rapportare rispetto all'elemento psicologico richiesto. Come sopra precisato, il reato è punibile a titolo di dolo specifico; è necessario, dunque, che l'agente abbia la consapevolezza e la volontà di porre in essere la condotta, ossia servirsi di fatture afferenti ad operazioni inesistenti, al fine precipuo di evadere le imposte indicate dalla norma a danno dell'Erario.

La soluzione giuridica

La sentenza in commento – in linea con l'orientamento giurisprudenziale di cui al pregresso decisum (Cass pen., sez. III, 23 giugno 2015, n. 30492)– statuisce che il dolo specifico richiesto dall'art. 2, d.lgs. n. 74/2000, sarebbe sostanzialmente compatibile con il dolo eventuale, rappresentato dall'accettazione del rischio che, presentando la dichiarazione, comprensiva di fatture o documenti contabili afferenti ad operazioni inesistenti, possa conseguirsi un indebito risparmio d'imposta.

Tuttavia, si duole precisare che, sotto il profilo strutturale, ammettere la “compatibilità” del dolo specifico con il dolo eventuale è un'operazione ermeneutica ardua da potere continuare a sostenere.

In primis, secondo il principio di stretta legalità (espresso nel brocardo «nullun crimen, nulla poena sine lege») le norme sanzionatorie di stampo penalistico devono essere scritte in modo chiaro e preciso, così da permettere a chiunque di comprendere quali comportamenti siano puniti (e come); da ciò sorge la necessità di una valutazione complessiva sia delle espressioni, tanto di carattere tecnico che di natura extragiuridica, utilizzate dal legislatore, che della capacità delle stesse di definire in termini di ragionevole certezza i confini applicativi, onde evitare un'applicazione generalizzata ed incontrollata. Inoltre, nell'ordinamento sussiste un espresso e chiaro divieto, imposto agli operatori del settore, di estendere per via di analogia il campo di applicazione delle norme. Solo i casi espressamente previsti come penalmente rilevanti possono essere sanzionati, e solo secondo la casistica normativamente prevista.

Ulteriormente, il percorso argomentativo della Corte è fortemente criticabile in quanto si pone in diretta contrapposizione rispetto a quelli che sono i caratteri del dolo specifico.

Il dolo specifico, infatti, richiede che il soggetto agente si prefiguri l'intenzionalità di raggiungere un obiettivo. Per integrare tale elemento soggettivo, quindi, occorre che il soggetto agente si rappresenti il fatto di reato e che agisca al fine precipuo di realizzarlo.

Il dolo eventuale, invece, così come “perimetrato” nei suoi contenuti dalle note Sezioni Unite ThyssenKrupp 18 settembre 2014, n. 38343, è integrato laddove, il soggetto agente, ponendo in essere una condotta diretta al raggiungimento di altri scopi, si rappresenta la concreta possibilità che l'evento dannoso possa accadere (in quanto conseguenza della di lui condotta) e, tuttavia, agisce accettando tale possibilità.

Come precisato dalle Sezioni Unite già citate, infatti, per accertare la sussistenza di tale elemento psicologico, il giudice «deve comprendere se l'agente (…), dopo avere tutto soppesato, dopo avere considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia consapevolmente determinato ad agire comunque, ad accettare l'eventualità della causazione dell'offesa».

La distinzione strutturale tra le due forme di dolo appena esaminate, risulta evidente.

Il principio di legalità è posto, primariamente, a baluardo della libertà dei consociati da indebite ingerenze dallo Stato Autorità, tale per cui, costituisce reato solo ciò che viene espressamente indicato come tale dalla legge.

Ebbene, l'elemento soggettivo, non solo funge da strumento di analisi dell'intensità dell'atteggiamento «antidoveroso» tenuto, ma assurge anche al ruolo di «filtro selettivo della tipicità». Ciò vuol dire, quindi, che laddove non venga integrato l'elemento soggettivo espressamente previsto dalla norma, il reato non potrà dirsi integrato.

Osservazioni

A ciò si aggiunga, in un’ottica sistematica, che la giurisprudenza si è diversamente pronunciata su altre fattispecie incriminatrici, ai fini della compatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico: con sentenza 19 marzo 1984, n. 7489, ad esempio, è stata sostenuta la piena incompatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico ai fini dell’integrazione del delitto di strage ex art. 422 c.p. «dovendo sempre rappresentare lo scopo specificamente perseguito dell’agente e non un evento che il soggetto, nel volerne un altro meno grave, si sia rappresentato come probabile o possibile conseguenza della propria azione, e perciò, agendo anche a costo di determinarlo».

L’incompatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico, inoltre, è stata espressamente enunciata anche con la sentenza 12 marzo 2008, n. 15633, in ordine alla fattispecie di corruzione di minorenne ex art. 609-quinquies c.p., ratione temporis vigente.

Non è dato quindi comprendere, come, a seconda della fattispecie incriminatrice di riferimento, la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico possa essere ammessa od esclusa, con inevitabili contraddizioni di sistema.

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