Liquidazione in via equitativa, ed in applicazione della tabella milanese, del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa

08 Luglio 2024

La questione esaminata dalla Corte di Cassazione è la seguente: il Giudice, nella liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, è tenuto ad applicare i criteri e i parametri di cui alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano dando atto in motivazione degli elementi di fatto valutati nel caso concreto? Un eventuale discostamento da tali tabelle senza alcuna motivazione sul punto può essere fatto valere, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., come violazione dell'art. 1226 c.c.

Massima

In fase di liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, il Giudice è tenuto ad applicare i criteri delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano dando atto in motivazione degli elementi di fatto valutati nel caso concreto, al fine di garantire un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto e l'uniformità di giudizio in casi analoghi.

Il caso

In data 23 dicembre 2018 veniva pubblicato sul quotidiano La Repubblica un articolo che riportava la cronaca giornalistica della vicenda processuale riguardante un giudice del Tribunale di Napoli, il dott. Tizio, indagato per abuso d'ufficio. L'articolo di giornale menzionava, altresì, la figlia del dott. Tizio, l'avv. Caia, prospettandone il coinvolgimento “nello scambio di piaceri tra il padre e l'imprenditore Sempronio” dal quale poi scaturiva l'accusa di abuso d'ufficio per il dott. Tizio.

Tizio e Caia agivano, quindi, in giudizio contro gli autori del suddetto articolo di cronaca giornalistica al fine di vedersi riconosciuto e risarcito il danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, patito a seguito della pubblicazione dello stesso.

Il giudice di prime cure escludeva il reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del dott. Tizio posto che i fatti esposti nell'articolo rispondevano a verità. Il Tribunale, infatti, applicava l'esimente del diritto di cronaca ex art. 51 c.p. sussistendone i presupposti nella fattispecie concreta (presupposti individuati dalla giurisprudenza maggioritaria in: verità, pertinenza e continenza). Riteneva, invece, configurabile la fattispecie della diffamazione nei confronti della figlia Caia, avvocato non particolarmente noto, e liquidava il danno non patrimoniale da ella patito in Euro 3.000,00.

Avverso la sentenza di primo grado, il dott. Tizio e la figlia Caia proponevano ricorso in appello, ove veniva respinto il gravame proposto dal dott. Tizio ritenendo che il Tribunale avesse correttamente statuito la non configurabilità della fattispecie della diffamazione a mezzo stampa nei confronti dello stesso, mentre veniva accolto il gravame incidentale della figlia Caia di rivalutazione dell'ammontare del danno da diffamazione alla luce dei criteri di cui alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano per aver ella risentito un “estremo disagio a seguito dell'articolo che ne ha prospettato il coinvolgimento nelle vicende del padre”.

La Corte d'Appello, pertanto, qualificava il danno subìto da Caia come di “media gravità” e lo liquidava, in via equitativa, a titolo di risarcimento nella somma di Euro 25.000, maggiorato del danno da ritardo ad Euro 28.420,96.

Avverso la suddetta pronuncia i giornalisti autori dell'articolo in oggetto e il gruppo editoriale del quale fa parte il giornale di appartenenza dei giornalisti, proponevano ricorso per cassazione per violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 1226,2043,2056 e 2059 c.c., nonché delle tabelle del Tribunale di Milano. 

La questione

La questione esaminata dalla Corte di Cassazione è la seguente: il giudice, nella liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, è tenuto ad applicare i criteri e i parametri di cui alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano dando atto in motivazione degli elementi di fatto valutati nel caso concreto? Un eventuale discostamento da tali tabelle senza alcuna motivazione sul punto può essere fatto valere, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., come violazione dell'art. 1226 c.c.

Le soluzioni giuridiche 

La Corte di cassazione, con l'ordinanza in esame, ha affermato che “anche nella materia della diffamazione a mezzo stampa e relativamente alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno debba essere liquidato seguendo quelle tabelle, quali elaborate dal Tribunale di Milano, che prevedano parametri oggettivi e diffusamente adoperati, a cominciare dalla notorietà del diffamante, dalle cariche pubbliche e il ruolo istituzionale o professionale eventualmente ricoperti dal diffamato, dalla natura della condotta diffamatoria, dall'esistenza di condotte diffamatorie singole, reiterate o dall'orchestrazione di vere e proprie campagne stampa. E, inoltre, considerando: la collocazione dell'articolo e lo spazio che la notizia diffamatoria occupa; l'intensità dell'elemento psicologico in capo all'autore della diffamazione; il mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e la sua diffusione; la risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie; la natura ed entità delle conseguenze sull'attività professionale e sulla vita del diffamato; la limitata riconoscibilità del diffamato; la rettifica successiva e/o lo spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato ovvero il loro rifiuto”.

I giudici di legittimità, inoltre, richiamano la fattispecie della personalizzazione del danno, consentendo l'applicazione di correttivi sull'importo finale del danno risarcibile, in ragione della particolarità del caso concreto.

Al contrario, nella fattispecie in esame, la Corte d'Appello, dopo aver correttamente richiamato le tabelle del Tribunale di Milano nella materia, non motivava come fosse giunta a considerare quello in esame come un caso di  “media gravità” di diffamazione (in particolare, in relazione al fatto che Caia non era stata indicata con il nome ed era quindi identificabile solo da una ristretta cerchia di persone), pur rammentando la stessa che nelle suddette tabelle sono individuate cinque tipologie di diffamazione (di gravità tenue, modesta, media, elevata ed eccezionale) a cui corrispondono diverse fasce di importo di danno liquidabile.

La Corte di Cassazione evidenzia, infatti, che: a) quanto alla notorietà del diffamante ed al ruolo istituzionale e professionale del diffamato, all'epoca dei fatti l'avv. Caia era nelle fasi di iniziale sviluppo della propria professione e non godeva di notorietà; b) quanto alla condotta diffamatoria, l'aspetto diffamatorio è stato rintracciato in uno “scollamento tra quanto risultava dalla documentazione giudiziaria a carico del dott. Tizio e l'inciso relativo alla figlia Caia a chiusura di un articolo che non interessava direttamente la stessa e di cui non veniva speso il nome” (si noti che la limitata riconoscibilità del diffamato, ad es. per mancata indicazione del nome, è indicata tra i parametri elaborati dalla giurisprudenza di merito); c) quanto alla collocazione dell'articolo, lo stesso appariva alla pag. 8 e il riferimento (implicito) a Caia era marginale; d) quanto alle conseguenze lesive sul diffamato, esse non si riverberavano sull'attività professionale dell'avv. Caia, ma esclusivamente sul suo stato d'animo e mai la stessa ha domandato una rettifica a ridosso della pubblicazione dell'articolo.

Alla luce di quanto sopra, i giudici di ultimo grado hanno ritenuto la motivazione della Corte d'Appello - circa la liquidazione del danno non patrimoniale - non corrispondente ai criteri di riferimento individuati dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, pur correttamente poste a fondamento della sentenza impugnata né adeguata alla peculiarità del caso concreto, accogliendo così il ricorso (nella fattispecie concreta, infatti, la danneggiata non era stata identificata con il nome ed era quindi identificabile solo da una ristretta cerchia di persone).

A tal proposito, giova evidenziare che la giurisprudenza, così come richiamata dalla stessa Corte nel pronunciare l'ordinanza in esame, ha da tempo chiarito che nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all''art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. - salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono e che devono essere puntualmente esposte in motivazione (cfr. Cass. civ. n. 12408/2011).

Inoltre, la giurisprudenza è costante nell'affermare che quando il giudice procede alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in applicazione delle predette tabelle è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subito dal danneggiato; in ogni caso, ai fini della corretta valutazione delle diverse circostanze che caratterizzano il caso concreto, è consentito al giudice in fase di liquidazione del danno “personalizzare” lo stesso, superando i limiti massimi e minimi degli ordinari parametri previste dalle tabelle del Tribunale di Milano. Tuttavia, ciò è consentito solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all'oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'id quod plerumque accidit, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate (cfr. Cass. civ. n. 1203/2007; Cass. civ. n. 2228/2012; Cass. civ. n. 9231/2013; Cass. civ. n. 3505/2016).

La giurisprudenza è conforme poi nel ritenere che, qualora il Giudice del caso concreto, nella liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale, ometta o applichi erroneamente i criteri di cui alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, è possibile far valere tale vizio, in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., come violazione dell'art. 1226 c.c., “costituendo le stesse tabelle una sorta di parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge”, mentre l'omesso esame di un fatto specializzante idoneo a giustificare lo scostamento da dette tabelle deve essere denunciato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. civ. n. 27562/2017; Cass. civ. n. 8508/2020).

Da ultimo, la giurisprudenza - in punto di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa - cui si è conformata la Corte di Cassazione con l'ordinanza in esame, ha da tempo ribadito la necessità che la motivazione dia conto degli elementi di fatto riferibili  alle tabelle di Milano, ai fini della riconduzione della fattispecie concreta ad una delle fasce di gravità ivi contemplate, come supra indicate (cfr. Cass. civ. n. 18127/2023).

Pertanto, in fase di liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, il Giudice è tenuto ad applicare i criteri elaborati dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, al fine di garantire un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto e l'uniformità di giudizio in casi analoghi; una eventuale omissione o erronea applicazione dei parametri di cui alle tabelle configura vizio di violazione di legge, ricorribile per cassazione. 

Osservazioni

In fase di liquidazione del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa, il Giudice deve procedere a una valutazione in via equitativa, posto che un simil danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, così come disposto dall'art. 1226 c.c..

Il suddetto giudizio di equità è basato sulla giustizia sostanziale e tiene conto delle esigenze particolari del caso concreto e presuppone che la prova dell'esistenza del danno sia stata fornita, essendovi incertezza solo nella sua effettiva misura.

Orbene, posto che il risarcimento del danno presuppone una valutazione che venga condotta dal giudice caso per caso con particolare attenzione alle peculiarità della fattispecie concreta, vi è da segnalare come tale esigenza debba essere necessariamente bilanciata con quella - altrettanto importante e meritevole di tutela ai sensi dell'art. 3 Cost. - di garantire parità di trattamento tra situazioni simili.

Proprio per far fronte a entrambe tali esigenze (garantire l'uniformità del giudizio in casi analoghi e permettere una valutazione delle circostanze del caso concreto), il Tribunale di Milano ha elaborato le c.d. tabelle del danno che hanno predisposto parametri oggettivi al fine di orientare il giudice nella liquidazione equitativa del danno.

Le tabelle milanesi – edizione 2024 –,  infatti, con particolare riferimento al danno non patrimoniale da diffamazione, prevedono diverse tipologie di diffamazione, formulando i seguenti criteri orientativi per la liquidazione equitativa: 1) diffamazioni di tenue gravità: danno liquidabile nell'importo da euro 1.175,00 ad euro 11.750,00; 2) diffamazioni di modesta gravità: danno liquidabile nell' importo da euro 11.750,00 ad euro 23.498,00; 3) diffamazioni di media gravità: danno liquidabile nell'importo da euro 23.498,00 ad euro 35.247,00; 4) diffamazioni di elevata gravità danno liquidabile nell'importo da euro 35.247,00 ad euro 58.745,00; 5) diffamazioni di  eccezionale gravità: danno liquidabile in importo superiore ad Euro 58.746,00;  le stesse tabelle prevedono, altresì, i parametri cui il giudice deve attenersi nella liquidazione del danno: a)  la  notorietà del  diffamante;  b)  le cariche pubbliche ed il ruolo istituzionale o professionale eventualmente ricoperti dal diffamato; c) la natura della condotta diffamatoria (se inerente alla sfera personale o professionale, se violativa della sola verità o anche della continenza e della pertinenza, se sia circostanziata o generica, se vi sia uso del turpiloquio, se la condotta abbia anche rilievo penale, etc.); d) l'esistenza di condotte diffamatorie singole, reiterate o l'orchestrazione di vere e proprie campagne stampa: e) la collocazione dell'articolo e lo spazio che la notizia diffamatoria occupa; f ) l'intensità dell'elemento psicologico in capo all'autore della diffamazione; g) il mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e la sua diffusione; h) la risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie; i)  la  natura  ed  entità  delle  conseguenze  sull'attività  professionale  e  sulla  vita del diffamato; l) l'eventuale esistenza di una reputazione già compromessa; m) la limitata riconoscibilità del diffamato (es. mancata indicazione del nome); n) la rettifica successiva e/o lo spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato ovvero il loro rifiuto.

Orbene, proprio al fine di garantire una liquidazione uniforme di tale danno, la giurisprudenza è ormai costante nell'applicare le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano a livello nazionale, nonostante altri Tribunali abbiano elaborate proprie e diverse tabelle.

Tali tabelle hanno con il tempo assunto una portata e valenza tali da far sì che qualora il giudice se ne discosti (senza motivare in modo opportuno il perché della personalizzazione del danno nel caso concreto rispetto ai parametri predisposti dalle tabelle) incorrerà nel vizio di violazione di legge e in particolare dell'art. 1226 c.c., posto che le tabelle costituiscono parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge. Quindi, tanto l'omessa applicazione delle tabelle quanto la loro erronea applicazione sono vizi ricorribili in cassazione per violazione di legge ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c.

Ciò detto, il giudice, in fase di liquidazione equitativa del danno da diffamazione, nella determinazione dell'ammontare del danno risarcibile è tenuto ad attenersi ai parametri indicati dalle tabelle di cui supra e, quindi, sulla base degli elementi di fatto individuati in astratto dalle tabelle e ricorrenti nel caso di specie, inquadrare la fattispecie concreta in una determinata fascia di gravità di diffamazione a cui corrisponde un determinato range di ammontare di danno risarcibile (come sopra esplicato). Con la precisazione che, qualora intenda discostarsene alla luce delle peculiarità del caso concreto dovrà darne atto motivando sul punto.

La Corte di cassazione nell'ordinanza qui in esame, pertanto, ha ben inquadrato la portata delle tabelle e il loro valore ai fini delle esigenze fin qui descritte. La stessa ha correttamente valutato come erronea l'applicazione da parte del Giudice di secondo grado delle tabelle per la ragione che, stante la mancata indicazione del nome di Caia nell'articolo, la stessa non può aver subito un danno da diffamazione di “grave entità”, posto che l'indicazione del nome rientra tra i parametri elaborati dalle tabelle per una corretta liquidazione del danno da diffamazione, né ha motivato o esposto i fatti per cui ha deciso di liquidare il danno con tale importo, discostandosi da quanto stabilito dalle tabelle e facendolo rientrare in quella determinata fascia di gravità anziché in una inferiore.

Dunque, alla luce delle considerazioni svolte, la sentenza di secondo grado è stata correttamente  censurata dal Giudice di legittimità per violazione di legge per non aver i giudici in sede di Appello correttamente applicato i parametri di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale elaborati dalle tabelle del Tribunale di Milano.

Riferimenti

  • V. Cardone e F. Verri, Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento del danno, in Fatto e Diritto, Giuffrè, 2013;
  • F. Angeli, Risarcimento per danno da diffamazione a mezzo stampa: una ricerca empirica, in Sociologia del diritto, 2009.

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