Azione possessoria ed influenza del giudicato esterno
10 Luglio 2024
Massima Nel giudizio possessorio, l'accoglimento della domanda prescinde dall'accertamento della legittimità del possesso, perché è finalizzato a dare tutela ad una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprietà o di un altro diritto reale; ne consegue che il giudicato formatosi sulla domanda possessoria è privo di efficacia nel giudizio petitorio avente ad oggetto l'accertamento dell'avvenuto acquisto del diritto per usucapione, in quanto il possesso utile ad usucapire deve avere requisiti che non vengono in rilievo nel giudizio possessorio. Il caso La quaestio juris sottoposta all'esame del giudice di legittimità muove dall'accertamento riguardante un fondo al fine di stabilire se possa ritenersi o meno gravato da una servitù di passaggio veicolare o di parcheggio, anziché di semplice passaggio pedonale, con accesso dal cancello esistente in loco, unitamente alla richiesta di condanna della stessa parte resistente alla rimozione di una telecamera di sorveglianza installata sul balcone e puntata in direzione del portone d'ingresso. La questione La statuizione emessa in sede possessoria e divenuta irrevocabile costituisce un caso di giudicato esterno, al quale il giudice del gravame successivamente adito necessariamente deve adeguarsi? La soluzione giuridica I giudici di legittimità, rigettano il motivo specifico enunciato nel ricorso, a tale fine, conformandosi all'orientamento giurisprudenziale consolidato, con il quale è stato chiarito che le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell'eventuale identità soggettiva sono caratterizzate dall'assoluta diversità degli altri elementi costitutivi - causa petendi e petitum sulla cui scorta, consegue che nel giudizio petitorio non possono essere invocati i provvedimenti emessi in sede possessoria, né le argomentazioni e le circostanze risultanti dalla pronuncia che ha definito quel giudizio, giacché queste ultime hanno rilievo solo in quanto si trovino in un rapporto di connessione logica e causale con la decisione assunta in sede possessoria, in tale modo, lasciando impregiudicata ogni ulteriore questione, sulla legittimità della situazione oggetto della richiesta tutela possessoria, non potendo influire sull'esito del giudizio petitorio. Osservazioni La sentenza in commento - condivisibile nei contenuti - è l'occasione per ribadire l'àmbito di efficacia del giudicato possessorio, opportunamente delimitandone il perimetro rispetto al successivo ed eventuale giudizio petitorio, dal quale si discosta per finalità e presupposti, non senza considerare la natura stessa del procedimento di cui si discorre, alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale. Infatti, delle due l'una: o il provvedimento rimane assorbito nella sentenza emessa all'esito dell'eventuale fase di cognizione piena instaurata con la richiesta di prosecuzione del giudizio, ai sensi del 4 comma dell'art. 703 c.p.c., definita con una pronuncia che costituisce, a sua volta, l'unico provvedimento decisorio sulla domanda, ovvero, in caso di mancata richiesta di prosecuzione del giudizio nel termine perentorio stabilito da quest'ultima norma, si pone un'ulteriore alternativa, ravvisabile nel fatto che a tale ordinanza si riconosca una stabilità puramente endoprocessuale ed un'efficacia soltanto esecutiva, come avviene per le pur ontologicamente diverse misure cautelari, giacché applicandosi l'art. 669-octies, ultimo comma c.p.c. in base al rinvio agli artt. 669-bis ss. c.p.c. in quanto compatibili, per effetto del comma 2 dell'art. 703 c.p.c. Questa al pari di quelle è inidonea al giudicato è dunque, per definizione, non decisoria. L'ipotesi preferibile, per ragioni di carattere sistematico, è che l'estinzione del giudizio possessorio per la mancata prosecuzione di esso ai sensi del 4 comma dell'art. 703 c.p.c., determini una preclusione pro iudicato al pari di altre situazioni simili. In tale caso, esclusa per incompatibilità l'applicazione dell'art. 669-octies, ultimo comma, c.p.c., la parte che non abbia raccolto la provocatio ad prosequendum contenuta nel 4 comma dell'art. 703 c.p.c., e, con essa, la possibilità di ottenere una sentenza sul merito possessorio, pone in essere una condotta acquiescente che rende irretrattabile l'ordinanza possessoria, munendola di una stabilità non meramente endoprocessuale, ma esterna, parificabile a quella della sentenza passata in giudicato (Cass. civ., sez. VI/II, 4 marzo 2015, n. 4292). A ben vedere, l'anzidetta soluzione interpretativa non si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale per cui il giudicato in materia di diritti e di status richiede la garanzia della cognizione piena, laddove si consideri che, in tale ottica, ciò che è inalienabile non è l'effettivo svolgimento di un giudizio presidiato dalle forme della cognizione piena, ma la sua possibilità, nel senso che ciascuna parte deve avere il potere di coltivare o di lasciare cadere la relativa opzione. Aggiungasi che ragioni opposte alla suddetta conclusione non potrebbero trarsi neppure ove si consideri l'ipotesi del regolamento delle spese di lite, atteso che, a riguardo, con la nuova disciplina, la prosecuzione o non del giudizio con le forme della cognizione piena dipende dall'istanza dell'una e/o dell'altra parte, e non più dall'ordinanza interinale del giudice, il quale provveda a fissare d'ufficio l'udienza di trattazione, ragione per cui l'assimilazione di tale provvedimento ad una sentenza non è più predicabile, se non a causa del e limitatamente al capo relativo alle spese. A riguardo, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale di legittimità, il giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico, e la relativa preclusione opera anche nell'ipotesi in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono il petitum del primo (Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 2007 n. 26482), posto però che tale indirizzo richiede che le cause, tra le stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo titolo negoziale od un medesimo rapporto giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato. In tale caso, infatti, l'accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente l'indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono l'esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2006, n. 1365; Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6628; Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2005, n. 19317). Ciò premesso, posto che le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell'eventuale identità soggettiva, sono caratterizzate dalla assoluta diversità degli ulteriori elementi costitutivi (Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2018, n. 10382), il principio espresso dai giudici di legittimità con la pronuncia in commento ribadisce l'assoluta diversità dell'azione possessoria e petitoria, elevata a ragione ostativa alla formazione del giudicato in quanto, nel giudizio possessorio è tutelata una situazione di fatto corrispondente all'esercizio del diritto mentre in sede petitoria viene in rilievo il titolo di proprietà o il possesso ad usucapionem (Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 2020, n. 27513). In effetti, nel procedimento possessorio l'esame dei titoli costitutivi dei rispettivi diritti fatti valere dalle parti, ove mantenuto nei limiti imposti dalla natura del procedimento stesso, e, cioè, compiuto al solo fine di dedurre elementi sulla sussistenza e le modalità del possesso, lasciando impregiudicata ogni questione sulla conformità a diritto della situazione possessoria oggetto di tutela, la quale, pertanto, osta a che il provvedimento reso a conclusione del procedimento possessorio possa spiegare i suoi effetti di giudicato nel giudizio petitorio, a sua volta caratterizzato da diversità di petitum e di causa petendi (Cass. civ., sez. II, 6 settembre 2023, n. 25978). Conseguentemente, nel giudizio petitorio - tale essendo anche quello divisorio, il quale presuppone il vanto del diritto reale sul bene in comunione - non possono essere invocati i provvedimenti emessi in sede possessoria, nè le argomentazioni e le circostanze risultanti dalla sentenza che ha definito quel giudizio, giacché queste ultime hanno rilievo solo in quanto si trovino in rapporto di evidente connessione logica e causale con la decisione in sede possessoria, non potendo influire sull'esito del giudizio petitorio (Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1999, n. 7747). Pertanto, il giudicato possessorio non può spendere alcun effetto giuridicamente rilevante rispetto allo ius possidendi, anche se i relativi titoli legittimanti siano stati oggetto d'esame ad colorandam possessionem, con la conseguenza che, tale forma di giudicato può assumere rilevanza unicamente con riguardo ad una pretesa azione di spoglio o turbativa dello stato di fatto, ma non essere invocato nel giudizio petitorio deputato ad accertare l'esistenza effettiva del diritto che legittima il possesso. Il corollario che ne deriva consente di dedurre che fra il giudizio possessorio e quello petitorio non sussiste alcuna ipotesi di litispendenza, continenza o connessione, neanche ponendosi la necessità della sospensione prevista dall'art. 295 c.p.c. del giudizio possessorio a seguito della proposizione di quello petitorio, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità fra i medesimi (Cass. civ., sez. II, 8 settembre 2009, n. 19384). In tale ottica, si è quindi affermato che a nulla rileva, pertanto, l'esito vittorioso della parte nel giudizio di rivendica in quanto, pur avendo l'azione di rivendica funzione recuperatoria, nulla impedisce che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, si possa esercitare un possesso autonomo sullo stesso bene, considerato altresì che, in tema di azione di reintegrazione nel possesso, la produzione del titolo da cui la parte interessata trae lo ius possidendi potrebbe solo integrare la prova del possesso, al fine di meglio determinare e chiarire i connotati del suo esercizio, ma giammai sostituire la prova richiesta nel relativo giudizio, avendo in questo caso, il ricorrente l'onere di provare di avere effettivamente esercitato, con carattere di attualità, la signoria di fatto sul bene che si assume sovvertita dall'altrui comportamento violento od occulto (Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2005, n.17567). Le considerazioni che precedono consentono quindi di concludere in senso favorevole alla impermeabilità della causa petitoria alle risultanze del giudizio possessorio (Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 2016, n. 2300), atteso che, non può ritenersi operante il giudicato esterno con efficacia riflessa laddove la parte interessata non risulti titolare di un diritto dipendente dalla situazione definita con la pronuncia irrevocabile resa nel giudizio possessorio, per essere diversa la situazione giuridica dedotta nel giudizio petitorio (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2023, n. 24260). Analoga situazione - con la correlata conclusione - si verifica anche nel caso in cui esauritosi il giudizio possessorio con esito negativo, venga successivamente instaurato il giudizio petitorio (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2016, n. 13450). Le considerazioni che precedono aiutano a comprendere anche la ratio prevista dall'art. 705 c.p.c. riguardante il divieto di promuovere il giudizio petitorio fino al momento in cui non sia esaurito, anche nella fase esecutiva, quello possessorio, che poggia sull'esigenza di garantire che il giudizio possessorio tenda unicamente a ripristinare la situazione di fatto preesistente al lamentato pregiudizio, indipendentemente da ogni preventiva valutazione inerente la legittimità del possesso, non costituendo detta tutela alcuna anticipazione circa l'esito del successivo ed eventuale giudizio petitorio (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2015, n. 14979). Per completezza espositiva, va detto che tale situazione è ovviamente diversa da quella specificamente inerente l'eventualità del cumulo delle due azioni, come si verifica allorquando nel corso del giudizio petitorio, la parte interessata proponga al medesimo giudice la domanda volta a conseguire la tutela possessoria - che, non esonera però il giudice del petitorio dal procedere ad un autonomo accertamento del fatto (Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2018, n. 10382, cit.), o ancora nell'ulteriore ipotesi in cui nelle more del giudizio possessorio e nella fase di attuazione del relativo provvedimento derivi o possa derivare alla parte convenuta un pregiudizio irreparabile o la mancata esecuzione del provvedimento possessorio dipenda da fatto imputabile al ricorrente. In questi termini è intervenuta la Consulta, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 705, comma 1, c.p.c., nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed all'esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile al convenuto (Corte Cost., 3 febbraio 1992, n. 25). In sintesi, il provvedimento possessorio emesso dal giudice del petitorio ha carattere puramente incidentale, essendo destinato a venire assorbito dalla sentenza definitiva che decide la controversia petitoria e che costituisce l'unico titolo per regolare in via definitiva i rapporti di natura possessoria e/o petitoria in contestazione tra le parti, ragione per cui il giudice del petitorio, se esclude l'esistenza del diritto legittimante il possesso, nega che quest'ultimo sia suscettibile di protezione giuridica con la conseguente revoca del provvedimento possessorio interinale (Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2003, n. 6648), laddove invece, nell'ipotesi inversa, la parte vittoriosa nel giudizio petitorio non può ex se invocare gli accertamenti compiuti con la relativa sentenza nel giudizio possessorio, in cui è stata convenuta da un terzo estraneo al giudizio petitorio. Il passaggio in giudicato della sentenza di rigetto della separata domanda di accertamento della proprietà non comporta automaticamente il venire meno della protezione giuridica del potere di fatto, giacché la tutela del possesso è destinata a cedere non a fronte dell'accertamento, nel giudizio petitorio, che il possessore non è proprietario, quanto del diritto incompatibile spettante all'autore dello spoglio (Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2371). Riferimenti Finocchiaro, Protezione giuridica del possesso: va accertato se il proprietario del fondo ha diminuito l'esercizio della servitù o lo ha reso più incomodo, in Ntplusdiritto.Ilsole24ore.com, 22 marzo 2022; Celeste, La tutela possessoria e nunciatoria, Milano, 2021; Corea, Profili della tutela possessoria, in Rass. dir. civ., 2012, 14; D'Alessandro, Brevi riflessioni intorno ai rapporti tra giudizio possessorio e giudizio petitorio, in Giur. it., 2012, 1379; Motto, Efficacia del provvedimento possessorio nel giudizio petitorio, in Corr. giur., 2010, 374; Vianello, L'eccezione petitoria nel giudizio possessorio, in Studium juris, 2008, 1213; Leccisi, Rapporto tra giudizio possessorio e petitorio, in Giur. merito, 2008, 1911; Troncone, Brevi note in tema di rapporti fra giudizio possessorio e giudizio petitorio, in Consiglio Superiore della Magistratura, Relazione tenuta in Roma il 15 aprile 2004, in unirc.it; Chiarloni, Valori e tecniche per ricostruire la struttura del procedimento possessorio, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 16; Luiso, La tutela possessoria dopo la riforma del processo civile, in Giust. civ., 1994, II, 599. |