Concessioni balneari, opere inamovibili e diritto all’indennizzo

Giovambattista Palumbo
23 Luglio 2024

La Corte di Giustizia dell'Unione europea, con sentenza 11 luglio 2024, nella causa C-598/22, si è pronunciata in tema di concessioni balneari con riguardo agli indennizzi per le opere inamovibili effettuate in corso di concessione.

Massima

L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l’occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell’atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell’area concessa.

Il caso

La Corte Comunitaria, con sentenza dell'11 luglio 2024, nella causa C‑598/22, avente ad oggetto domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato, si è pronunciata sul delicato e complesso tema delle concessioni balneari, sotto il profilo degli indennizzi per le opere inamovibili effettuate in corso di concessione.

Nella specie la domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull'interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE ed era stata presentata nell'ambito di una controversia che opponeva una società che gestiva uno stabilimento balneare al Comune di Rosignano Marittimo, il quale aveva ritenuto che, alla scadenza della concessione di occupazione del demanio pubblico marittimo rilasciata alla detta società, le opere costruite da quest'ultima su tali aree fossero state acquisite, a titolo gratuito, dallo Stato italiano, con conseguente pagamento di canoni demaniali maggiorati.

L'ente locale richiamava in particolare il codice della navigazione, approvato con regio decreto del 30 marzo 1942, n. 327, che stabilisce, all'articolo 49, comma 1, che: «Salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato». Ai sensi poi dell'articolo 1 comma 251, della legge del 27 dicembre 2006, n. 296, l'acquisizione al demanio pubblico di beni costruiti dal concessionario comporta l'applicazione agli stessi del canone maggiorato, dato che tali opere sono considerate come pertinenze del demanio pubblico.

La società gestiva del resto, sin dal 1928 e senza soluzione di continuità, lo stabilimento balneare e asseriva di avere nel tempo legittimamente costruito una serie di opere, che il Comune aveva poi classificato tra le pertinenze del demanio pubblico marittimo, considerandole di difficile rimozione.

La società, che invece considerava le dette opere facilmente rimovibili, aveva quindi contestato la decisione dinanzi al TAR Toscana, impugnando poi anche le decisioni con cui lo stesso Comune, in applicazione del già citato articolo 1 comma 251, della legge del 27 dicembre 2006, n. 296, aveva applicato un canone maggiorato.

Il TAR respingeva tutti i ricorsi con sentenza del 10 marzo 2021, contro la quale la società proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato, giudice del rinvio.

Il Consiglio di Stato evidenziava che l'articolo 49 del codice della navigazione viene interpretato nel senso che l'acquisizione dei beni da parte dello Stato si produce automaticamente alla scadenza della concessione, anche in caso di rinnovo di quest'ultima, dal momento che tale rinnovo determina un'interruzione della continuità tra i titoli di occupazione del demanio pubblico. Invece, in caso di proroga della concessione prima della sua normale scadenza, le opere realizzate dai concessionari sul demanio pubblico resterebbero di proprietà privata esclusiva del concessionario fino alla scadenza effettiva o alla revoca anticipata della concessione e nessun canone sarebbe dovuto.

Il TAR aveva del resto escluso che l'applicazione dell'articolo 49 del codice della navigazione determinasse una surrettizia espropriazione del concessionario senza indennizzo, intervenendo l'acquisizione gratuita, da parte dello Stato, delle opere non amovibili costruite sul demanio pubblico soltanto in assenza di un accordo in senso contrario nell'atto di concessione (e dunque, in sostanza, con il consenso delle parti).

La società, dal canto suo, sosteneva che, in caso di rinnovo di una concessione, l'acquisizione al demanio pubblico marittimo dello Stato senza indennizzo delle opere costruite dal concessionario su tale demanio sarebbe contraria al diritto dell'Unione, e segnatamente agli articoli 49 e 56 TFUE, come interpretati nella sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza (C‑375/14).

Tanto premesso, il Consiglio di Stato decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se gli articoli 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza (C‑375/14, EU:C:2016:60), ove ritenuti applicabili, ostino all'interpretazione di una disposizione nazionale quale l'articolo 49 [del codice della navigazione] nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull'area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell'obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo».

La questione

Sebbene la controversia presentasse carattere puramente interno, il Consiglio di Stato rilevava che il codice della navigazione si applica indistintamente agli operatori economici italiani e a quelli provenienti da altri Stati membri, non potendosi pertanto escludere che degli operatori stabiliti in altri Stati membri fossero interessati ad avvalersi delle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi al fine di esercitare tali attività sul territorio italiano. Gli articoli 49 e 56 TFUE sanciscono del resto, rispettivamente, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servizi, laddove l'attribuzione di una concessione di occupazione del demanio pubblico marittimo implica necessariamente l'accesso del concessionario al territorio dello Stato membro ospitante in vista di una partecipazione stabile e continua, per una durata relativamente lunga, alla vita economica di tale Stato.

Ne conseguiva, secondo il Consiglio di Stato, che l'assegnazione di una tale concessione rientra nel diritto di stabilimento previsto dall'articolo 49 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 30 novembre 1995, Gebhard, C‑55/94; dell'11 marzo 2010, Attanasio Group, C‑384/08; e del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis, C‑201/15), laddove, invece, in virtù dell'articolo 57, comma 1, TFUE, le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) trovano applicazione soltanto se non si applicano quelle relative al diritto di stabilimento.

Il giudice del rinvio chiedeva quindi, in sostanza, se l'articolo 49 TFUE dovesse essere interpretato nel senso che esso osta ad una norma nazionale secondo la quale, alla scadenza di una concessione per l'occupazione del demanio pubblico e salva una diversa pattuizione nell'atto di concessione, il concessionario è tenuto a cedere, immediatamente, gratuitamente e senza indennizzo, le opere non amovibili da esso realizzate nell'area concessa, anche in caso di rinnovo della concessione, laddove, come da giurisprudenza della CGUE, devono considerarsi quali restrizioni a tale libertà tutte le misure che, seppur applicabili senza discriminazioni fondate sulla nazionalità, vietino, ostacolino o rendano meno attrattivo l'esercizio della libertà garantita dall'articolo 49 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 5 ottobre 2004, CaixaBank France, C‑442/02; del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis, C‑201/15; nonché del 7 settembre 2022, Cilevičs e a., C‑391/20).

Le soluzioni giuridiche

Ciò premesso, secondo la Corte Comunitaria, non viola il divieto stabilito dall'articolo 49 TFUE una normativa nazionale, opponibile a tutti gli operatori esercenti delle attività nel territorio nazionale, che non abbia come scopo di disciplinare le condizioni relative allo stabilimento degli operatori economici interessati e i cui eventuali effetti restrittivi sulla libertà di stabilimento siano troppo aleatori e indiretti perché l'obbligo da essa dettato possa essere considerato idoneo a ostacolare questa libertà (v., in tal senso, sentenze del 20 giugno 1996, Semeraro Casa Uno e a., da C‑418/93 a C‑421/93, nonché del 6 ottobre 2022, Contship Italia, C‑433/21 e C‑434/21).

Nel caso di specie, rilevano i giudici comunitari, è pacifico che l'articolo 49, primo comma, del codice della navigazione è opponibile a tutti gli operatori esercenti attività nel territorio italiano. Di conseguenza tutti gli operatori economici si trovano ad affrontare la medesima preoccupazione, che è quella di sapere se sia economicamente sostenibile presentare la propria candidatura e sottoporre un'offerta ai fini dell'attribuzione di una concessione, sapendo che, alla scadenza di quest'ultima, le opere non amovibili costruite saranno acquisite al demanio pubblico.

A questo proposito, evidenzia la Corte, l'articolo 49 del codice della navigazione si limita a trarre le conseguenze dei principi fondamentali del demanio pubblico, laddove l'appropriazione gratuita e senza indennizzo, da parte del soggetto pubblico concedente, delle opere non amovibili costruite dal concessionario costituisce l'essenza stessa del principio di inalienabilità del demanio pubblico, che implica segnatamente che il demanio resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono revocabili.

Ne conseguiva, secondo la CGUE, che la società non poteva ignorare, sin dalla conclusione del contratto di concessione, che l'autorizzazione all'occupazione demaniale che le era stata attribuita aveva carattere precario ed era revocabile.

I giudici evidenziano inoltre che, poiché l'articolo 49, primo comma, prevede espressamente la possibilità di derogare per contratto al principio dell'acquisizione immediata senza alcun indennizzo o rimborso delle opere non amovibili costruite dal concessionario, tale disposizione evidenzia la sua dimensione tipicamente contrattuale, e dunque consensuale, conseguendone che l'acquisizione immediata, gratuita e senza indennizzo non può essere considerata come una modalità di cessione forzosa.

Irrilevante infine era la questione se si trattasse di un rinnovo o della prima attribuzione, essendo a tal proposito sufficiente constatare che il rinnovo di una concessione di occupazione del demanio pubblico si traduce nella successione di due titoli di occupazione di tale demanio e non nella perpetuazione o nella proroga del primo, essendo peraltro tale interpretazione in linea con la conclusione che l'attribuzione di una concessione possa avvenire comunque soltanto all'esito di una procedura concorrenziale che ponga tutti i candidati e gli offerenti su un piano di parità.

Osservazioni

Il tema si inserisce nella più ampia questione se le norme del codice della navigazione siano o meno incompatibili con i trattati europei che garantiscono libertà di impresa, non potendo comunque gli operatori ignorare che le concessioni hanno una durata determinata e sono revocabili.

Una delle questioni più discusse in merito alle gare che dovranno essere organizzate per il rinnovo delle concessioni riguarda del resto proprio gli indennizzi nei confronti delle imprese che potrebbero lasciare la gestione degli stabilimenti, laddove, come visto, la Corte Ue ha ora confermato la legittimità della norma italiana (risalente al 1942) sull'incameramento a titolo gratuito delle strutture inamovibili al termine della concessione.

Grazie alle proroghe automatiche disposte negli ultimi decenni, la normativa in esame non aveva mai preoccupato i balneari. Ma ora il contesto è cambiato.

Al di là della pronuncia comunitaria, niente impedisce comunque al governo di abrogare l'articolo 49 del Codice della navigazione e disciplinare diversamente gli indennizzi economici per i concessionari uscenti, laddove la stessa Corte Giust. UE sottolinea che spetta allo Stato membro occuparsi di questo aspetto.

A dire il vero, peraltro, il principio dell'indennizzo ai concessionari uscenti è già contenuto nella l. n. 118/2022, che ha disposto per la prima volta la scadenza delle concessioni e l'avvio delle gare, ma deve essere specificatamente disciplinato, attraverso un decreto attuativo, con dei criteri nazionali. E questo magari anche considerando che, proprio in vista delle nuove gare, con il trasferimento della concessione si trasferirebbe anche l'azienda, con la conseguenza che la mancata previsione di un indennizzo a carico del concessionario subentrante assicurerebbe a costui un “indebito” arricchimento.

Certo, il tema è complesso, ma una soluzione va trovata, non essendo possibile affidarsi solo agli esiti della giurisprudenza, che, peraltro, affronta, di volta in volta, casi tra loro differenti e basati su presupposti di fatto e di diritto differenti.

In definitiva, al di là degli esiti giurisprudenziali, le peculiarità nazionali in questo settore andrebbero tutelate, laddove il legittimo affidamento si tutela con il fissare regole certe, ragionevoli e trasparenti, contemperando le istanze di tutela della concorrenza e del mercato con l'altrettanto importante esigenza di tutela dei concessionari uscenti.

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