Diritto al rimborso dell’IVA per opere di ristrutturazione su beni di proprietà di terzi

01 Agosto 2024

Le Sezioni Unite, con sentenza 14 maggio 2024, n. 13162 in tema di rimborso IVA, in osservanza del principio di neutralità dell'IVA di derivazione unionale, hanno concluso per il riconoscimento, in capo all'esercente attività d'impresa, del diritto al rimborso anche in relazione a lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi.

Massima

L'esercente attività d'impresa o professionale ha diritto al rimborso dell'IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l'attività svolta.

Il caso

Il caso risolto dalle Sezioni Unite della Corte nella sentenza in commento, si segnala per la condivisibile equiparazione tra il diritto alla detrazione ed il rimborso dell'IVA, aspetto più volte valorizzato dalla Corte UE, quali mere modalità procedurali tra loro differenti ma accomunate dal fine del recupero dell'imposta versata nonché espressioni del generale principio di neutralità dell'IVA che, tranne specifiche eccezioni, non può soffrire limitazioni.

La vicenda origina da un atto di recupero, notificato dall'Agenzia delle entrate al titolare di un'impresa individuale, derivante dalla richiesta del contribuente di un rimborso IVA afferente all'effettuazione di opere edilizie di ristrutturazione su beni (terreno/edifici/impianti) relativi ad un agriturismo, ed insistenti su un terreno che l'impresa deteneva non già in qualità di proprietario bensì in virtù di un contratto di locazione stipulato con un soggetto terzo.

Quindi al di fuori della previsione dell'art. 30 comma 3, lett. c), del d.p.r. n. 633/1972, che prevede che il diritto al rimborso dell'IVA spetti soltanto qualora si riferisca all'acquisto (o all'importazione) di beni ammortizzabili, aspetti giuridici che avevano portato l'Agenzia a disconoscere il diritto IVA sulla base di criteri ermeneutici che sono propri, però, delle imposte dirette e del diritto civile e come tali estranei al “sistema IVA”.

Il ricorso del contribuente veniva accolto da entrambi i giudici di merito con un'argomentazione, espressa in particolare da quelli di secondo grado, tesa ad estendere all'istituto del rimborso dell'IVA il principio di diritto, già valorizzato dalla Cassazione nel precedente intervento delle Sezioni Unite 11 maggio 2018, n. 11533, in materia di detrazione dell'IVA.

Lì veniva sostenuto, richiamando la Corte UE, che «Deve riconoscersi il diritto alla detrazione IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l'attività d'impresa o professionale, anche se quest'ultima sia potenziale o di prospettiva. E ciò pur se — per cause estranee al contribuente — la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi».

In tal modo i giudici della CTR argomentavano, condivisibilmente, nel senso dell'equivalenza giuridica dei presupposti della detrazione e del rimborso dell'IVA, i quali sono espressione del principio di neutralità dell'imposta, a sua volta traduzione, da parte del legislatore dell'Unione, in materia di IVA, del più ampio principio generale di parità di trattamento, il quale osta (in particolare) a che beni o prestazioni di servizi simili, che sono quindi in concorrenza tra loro, siano trattati diversamente dal punto di vista dell'IVA (v., tra i tanti, C-519/21, p. 88; C-449/19, p. 48; C‑305/16, p. 52; C-309/06, p. 49).

I medesimi giudici di merito accertavano l'evidenza della strumentalità dei lavori edili rispetto all'attività d'impresa del contribuente (aspetto come si vedrà dirimente per la Corte UE a prescindere dalle successive differenti modalità di recupero dell'IVA) e negavano, inoltre, che avesse portata ostativa alla richiesta di rimborso IVA la circostanza che gli immobili interessati dai lavori, in quanto di proprietà di un soggetto terzo, non fossero ammortizzabili dal contribuente medesimo.

Le doglianze dell'Agenzia, ricorrente in Cassazione, da questa al fine respinte, ruotavano intorno alla contestazione, inconferente già per la Corte UE (e richiamata qui dalla Cassazione in osservanza del principio di neutralità dell'IVA), dell'illegittima estensione della detrazione IVA, su fatture passive inerenti ad opere su beni detenuti ma di proprietà di terzi, anche all'ipotesi del rimborso d'imposta.

La tesi erariale poggiava su una non meglio precisata «diversità della disciplina giuridica dei due istituti» e sulla differente esegesi, ai fini però dell'imposizione diretta, dei beni ammortizzabili, per mezzo dell'eccezione dell'inapplicabilità dell'art. 30 comma 3, lett. c), d.p.r. n. 633/1972, il quale appunto prevede che «il diritto al rimborso dell'IVA spetti soltanto qualora si riferisca all' acquisto (o all' importazione) di beni ammortizzabili, dovendosi ritenere tali, ai sensi degli artt. 102, 103, d.p.r. n. 917/1986, quelli non solo strumentali all'attività dell'impresa, ma anche dei quali il contribuente (soggetto passivo) abbia il possesso in virtù del diritto di proprietà o altro diritto reale».

L'Ufficio, inoltre, circa la quota IVA sostenuta su manufatti di proprietà di terzi, riteneva insufficiente, ai fini del rimborso IVA, «la loro — pacifica — strumentalità all'esercizio dell'impresa stessa».

Tale impostazione, tesa di fatto alla subordinazione ed interdipendenza dei criteri ermeneutici dell'IVA rispetto a quelli delle imposte dirette (che si ritrova altresì, ad esempio, nell'art. 19-bis.1, comma 1, lett. h), del d.p.r. n. 633/1972, per il quale «non è ammessa in detrazione l'imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito»), era già stata derubricata dalla Corte UE (v. da ultimo C-334/20).

Lì i giudici UE hanno ribadito, ai fini della detrazione IVA, la necessaria valorizzazione qualitativa, e non già quantitativa, di una spesa, nel caso specifico di sponsorizzazione, sostenuta da una società operante nel settore degli impianti elettrici ed avente ad oggetto la fornitura di servizi pubblicitari consistenti nell'apporre adesivi pubblicitari su automobili in occasione di un campionato di corsa automobilistico in Ungheria (lì in relazione all'interpretazione della clausola di standstill prevista dall'art. 176, par. 1, della direttiva IVA 2006/112).

Nel caso odierno la Sezione semplice della Cassazione ha rilevato un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione, primaria, dell'equivalenza o meno dei presupposti per la detrazione IVA rispetto a quelli del rimborso aventi ad oggetto spese su beni di terzi, prendendo atto del proprio precedente (sentenza Cass., sez. un., n. 11533/2018) su una questione analoga a quella odierna, avente ad oggetto il «diritto di detrazione e, almeno non direttamente, quello di rimborso dell'IVA».

Le Sezioni Unite, dal canto loro, riferiscono in sentenza di un divergente orientamento in seno alla sezione semplice che, da un lato, afferma l'equivalenza dei due presupposti del rimborso e della detrazione con l'unica condizione della “strumentalità” dei beni utilizzati dall'impresa (Cass. n. 27813/2022, Cass n. 36014/2021, 8389/2013) e, dall'altro, con un indirizzo più restrittivo, lo nega (Cass. n. 24779/2015 e Cass. n. 24518/2020).

La questione

Partendo dall'analisi dell'art. 183, par. 1, comma 1, della direttiva IVA, secondo il quale «qualora, per un periodo d'imposta, l'importo delle detrazioni superi quello dell'IVA dovuta, gli Stati membri possono far riportare l'eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite”, in sentenza si evidenzia come il “cuore della questione» sia capire se la norma unionale sia da intendere nel senso che «il legislatore interno possa differenziare il trattamento giuridico della detrazione da quella del rimborso in termini sostanziali ovvero solo procedimentali».

La Cassazione, condivisibilmente, risolve la questione nel senso di ritenere che la norma unionale lasci agli Stati membri solo la facoltà di disciplinare le “modalità” di rimborso dell'imposta, quale alternativa al riporto dell'eccedenza attiva annuale, e non già l'an, in tal modo valorizzando l'aspetto «meramente procedimentale e non sostanziale della facoltà normativa interna», rintracciando viceversa le precondizioni al diritto a detrazione nell'art. 167 della direttiva IVA, atto «a garantire il principio generale di neutralità che governa l'imposta sul valore aggiunto» (rich. C-107/10; C-431/12; C-254/16).

In tema di detrazione, esigibilità dell'imposta e tutela del principio di neutralità dell'IVA, si registrano interventi del giudice interno sovente asimmetrici rispetto ai criteri ermeneutici utilizzati dai giudici del Lussemburgo.

Così, ad esempio, nel precedente Cass., sez. V, 4 dicembre 2015 n. 24779 richiamato in sentenza (poi ripreso da successivi interventi di vertice), la Cassazione leggeva l'art. 30, comma 3, lett c), del d.p.r. n. 633/1972 nel senso che, in difetto di una corrispondente nozione rinvenibile in materia di IVA di “beni ammortizzabili”, a cui era legata la richiesta di rimborso IVA per il loro acquisto o importazione, era lecito dedurne il suo significato «dalle disposizioni che in tema di imposte dirette ne recano una sommaria enunciazione con riferimento ai beni materiali od immateriali di cui è menzione negli artt. 102 e 103 Tuir».

Concludevano per la necessaria compresenza, ai fini del rimborso, dei requisiti della «strumentalità ed ammortizzabilità» dei beni acquistati, richiedendo che «il bene sia utilizzato nel ciclo produttivo, e che soddisfi quindi il requisito della strumentalità; e che si tratti di beni di uso durevole, la cui vita non si esaurisca nell'arco di un esercizio e che, quindi, soddisfino anche il requisito dell'ammortizzabilità» (concetto ribadito, da ult., nell'ordinanza della Cass., sez. V, 19 luglio 2023, n. 21228).

La soluzione giuridica

Differentemente i giudici unionali, in osservanza del principio di neutralità dell'imposta, tendono a salvaguardare le ipotesi di detrazione o di rimborso di imposta, anche nel caso in cui l'attività economica non sia stata ancora intrapresa.

È il caso, ad esempio, del riconoscimento della detrazione prospettica (richiamata nel principio di diritto dalle Sezioni Unite nella sentenza 11 maggio 2018, n 11533) in presenza di attività economiche consistenti in vari atti consecutivi, le cui «attività preparatorie devono già ritenersi parte integrante delle attività economiche», consentendo quindi a «chiunque abbia l'intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un'attività economica ed effettua a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato un soggetto passivo» (C-42/19, p. 33 e 34).

In tale precedente la Corte UE riconosceva il diritto a detrazione IVA ad una società che compia atti preparatori nell'ambito di un progetto di acquisizione di azioni di un'altra società, allo scopo di esercitare un'attività economica consistente nell'intervenire nella gestione di quest'ultima fornendole prestazioni di servizi di gestione soggette all'IVA, considerandola di fatto un soggetto passivo a norma della sesta direttiva (rich. C‑249/17, p. 19).

Di rilievo, poi, il precedente (C-334/20) in cui è stata riconosciuta la detrazione dell'IVA assolta a monte per servizi pubblicitari anche nel caso in cui il prezzo fatturato per siffatti servizi sia stato ritenuto dall'Erario nazionale «eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall'amministrazione finanziaria nazionale» e, dall'altro, tali servizi non abbiano dato luogo ad un aumento del fatturato del soggetto passivo.

Lì la Corte ha messo in evidenzia come dalla propria costante giurisprudenza discenda che una prestazione di servizi è effettuata a titolo oneroso e configura un'operazione imponibile solo quando tra il prestatore e il beneficiario intercorra un rapporto giuridico che vede lo scambio di prestazioni reciproche e «la remunerazione percepita dal prestatore costituisce l'effettivo controvalore del servizio fornito al beneficiario» (v. anche C‑501/19 punto 31).

Ciò è espressione di un «nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto» il quale viene in evidenza quando «due prestazioni si condizionano reciprocamente, vale a dire l'una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l'altra, e viceversa» (v. C‑94/19, p. 26, nonché C-16/93, p. 17), rimanendo la vicenda IVA del tutto impermeabile ad ulteriori e/o ultronei canoni ermeneutici estranei al sistema IVA (come ad esempio il titolo giuridico di proprietà o altro diritto reale), come ad esempio la circostanza che un'operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, aspetto irrilevante rispetto alla qualificazione di operazione a titolo oneroso IVA (v. C‑846/19, p. 43).

Il riconoscimento del diritto a detrazione dell'IVA assolta a monte (idem se ai fini del rimborso), per giurisprudenza costante della Corte UE va riconosciuto, in primo luogo, in presenza di un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione, nella misura in cui le spese compiute per acquistare beni o servizi «facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione» (v. C-405/19, p. 25; C‑132/16, p. 28; C‑165/17, p. 30).

Tale diritto, in secondo luogo, «è tuttavia parimenti ammesso a beneficio del soggetto passivo, anche in mancanza di un nesso diretto e immediato», qualora i costi dei servizi in questione facciano parte delle «spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce», in quanto riconducibili (sulla base dei canoni ermeneutici dell'IVA) al complesso delle attività economiche del soggetto passivo (v. C-405/19, p. 26; C‑132/16, p. 29).

L'estraneità al sistema IVA dei differenti canoni giuridici (relativi alle imposte dirette) richiamati da una parte della giurisprudenza della Cassazione e perorati dall'Agenzia nel ricorso di legittimità, legati al concetto di proprietà del bene o della titolarità di altro diritto reale di godimento sullo stesso, è stata più volte valorizzata e ribadita dalla Corte UE in quei casi in cui ha riconosciuto il beneficio anche in relazione a spese su beni di terzi.

Così, ad esempio, in C-405/19, si chiedeva alla Corte UE se la circostanza che le spese effettuate da un soggetto passivo, promotore immobiliare, a titolo di spese di pubblicità, di spese amministrative e di commissioni di intermediazione, da esso sostenute nell'ambito della vendita di appartamenti, vadano a beneficio anche di un terzo, ostasse a che tale soggetto passivo potesse detrarre integralmente l'IVA assolta a monte relativa a tali spese qualora, da un lato, vi fosse un nesso diretto e immediato tra dette spese e l'attività economica del soggetto passivo e, dall'altro, il vantaggio per il terzo fosse accessorio rispetto alle esigenze dell'impresa del soggetto passivo.

Lì la Corte concludeva per l'ammissibilità della detrazione IVA, dal momento che «una volta accertata l'esistenza di un nesso diretto e immediato tra i servizi prestati al soggetto passivo e l'attività economica di quest'ultimo, la circostanza che detti servizi vadano a vantaggio anche di un terzo non può giustificare il fatto che il diritto a detrazione corrispondente a tali servizi sia negato al soggetto passivo» (C-405/19, p. 28; v. anche C‑132/16, p. 35 e C‑124/12, p. 33).

Di rilievo, altresì, il precedente C-132/16, in cui si chiedeva alla Corte se una società di costruzioni potesse detrarre l'IVA, assolta a monte per la prestazione di servizi consistenti nel ripristino della stazione di pompaggio delle acque reflue nel territorio di un Comune, nel quale tale società aveva acquistato diversi terreni per erigere immobili destinati a turismo, imposta assolta su lavori di costruzione o di ristrutturazione di detta stazione affidandoli ad una società terza.

Ciò anche qualora il Comune beneficiava a titolo gratuito del risultato di detti servizi e questi ultimi erano destinati ad essere utilizzati tanto dal soggetto passivo quanto dal terzo nell'ambito delle rispettive attività economiche.

Dal momento che senza il ripristino della stazione di pompaggio il collegamento a questa degli immobili che la società intendeva costruire sarebbe stato impossibile, tale ripristino era indispensabile (nesso diretto) ai fini della realizzazione del progetto e che, quindi, in sua assenza, la società non avrebbe potuto esercitare la propria attività economica.

Per tali motivi la Corte UE ha riconosciuto (p. 34) «l'esistenza di un nesso diretto e immediato tra il servizio di ripristino della stazione di pompaggio delle acque reflue appartenente al Comune e l'operazione soggetta ad imposta effettuata a valle» (elemento costitutivo del prezzo) risultando che tale servizio fosse stato fornito per consentire alla società di realizzare il progetto immobiliare oggetto del procedimento principale (in continuità con la Corte UE v. anche Risposta ad interpello 219 E 2021, Risposta 6 E 2019, e Risposta 4 E 2020).

Viceversa la Corte UE, in C-621/19, in relazione all'eccepita detrazione dell'IVA all'importazione da parte del soggetto iva unionale su beni di proprietà di terzi introdotti in UE per lavorazioni (si trattava di autorizzazione per operazioni di perfezionamento attivo), ha argomentato nel senso che l'art. 168, lett. e), della direttiva 2006/112 «osta alla concessione del diritto a detrazione dell'IVA ad un importatore quando non dispone dei beni come un proprietario e quando i costi di importazione a monte sono inesistenti o non sono incorporati nel prezzo di particolari operazioni a valle, o nel prezzo dei beni e dei servizi forniti dal soggetto passivo nel corso della sua attività economiche».

In quel caso l'esclusione della detrazione veniva fatta derivare dall'assenza di un nesso diretto tra il costo a monte ed il suo assorbimento nel prezzo di vendita della merce a valle, analogamente a quanto deciso in C-187/14 in cui, condivisibilmente, si escludeva il diritto alla detrazione dell'IVA all'importazione «gravante sul trasportatore che non è né l'importatore né il proprietario delle merci di cui trattasi, ma che ne ha soltanto assicurato il trasporto e il trattamento doganale nell'ambito della sua attività di trasportatore di merci soggetto all'IVA».

Osservazioni

Sulla base delle argomentazioni spese in sede unionale, i giudici di vertice hanno evidenziato che all'espressione «acquisto di beni ammortizzabili» utilizzata dal legislatore all'art. 30 comma 3, lett. c), del d.p.r. 633/1972, vada attribuito «il significato — lato — di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo (quale appunto è, di norma, non solo quello derivante dall'acquisizione della proprietà ovvero di un diritto reale, ma anche da un contratto di locazione/comodato), ferma in ogni caso la necessaria "strumentalità" dei beni stessi all'esercizio dell' impresa», quale presupposto irrinunciabile ai fini della detraibilità dell'IVA ai sensi dell'art. 19 comma 1, d.p.r. n. 633/1972.

Quanto poi al secondo aspetto del problema, legato alla nozione di «bene ammortizzabile», condivisibilmente la Cassazione evidenzia come questo non possa essere correttamente inteso «nel contesto giuridico dell'IVA con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette (artt. 102, 103, d.p.r. n. 917/1986) e nemmeno risultano ermeneuticamente dirimenti le disposizioni sul bilancio contenute nel codice civile ovvero i principi contabili», ciò per le ragioni su brevemente espresse.

La Cassazione, invece, propone di legare la codifica di tale nozione a quella «ampia e sostanzialmente economica di beni di investimento», di cui vi sono riferimenti negli artt. 174, par. 2, lett. a) e par. 3, 188, par. 1 e 2, 189, lett. a) e 190, della direttiva IVA 2006/112, quale «unico parametro» al quale affidarsi.

Per la Corte devono quindi essere considerati «ammortizzabili», ai fini Iva, quei beni che «pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all'esercizio dell'impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali)», come nel caso odierno in cui l'impresa ha effettuato opere su beni di terzi che sono destinati, in maniera diretta e stabile, all'esercizio della propria attività imprenditoriale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.