Responsabilità medica: la deduzione di profili di colpa diversi e ulteriori costituisce mutamento della domanda?
05 Agosto 2024
Massima In tema di responsabilità della struttura sanitaria, la deduzione di profili di colpa diversi e ulteriori rispetto a quelli originariamente allegati, fondati su circostanze emerse all'esito della consulenza tecnica d'ufficio, non integra domanda nuova, poiché non determina alcun mutamento della causa petendi e dell'ambito dell'indagine processuale, non potendo attribuirsi portata preclusiva, in tal senso, alle specificazioni della condotta inizialmente operate dall'attore, il cui onere di allegazione dev'essere rapportato alle informazioni accessibili e alle cognizioni tecnico-scientifiche da lui esigibili, senza imporgli di enucleare specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conoscibili soltanto dagli esperti del settore. (Nella specie - relativa alla responsabilità per la tardiva esecuzione del parto cesareo, che aveva determinato la morte di una neonata venuta alla luce in condizioni di grave insufficienza respiratoria - la S.C. ha escluso che la deduzione, negli atti conclusionali, di fatti di inadempimento emersi all'esito della c.t.u. - quali il malfunzionamento dell'apparecchio cardiotocografico e l'omessa aspirazione del meconio dopo la nascita - integrasse un mutamento del titolo della domanda rispetto all'iniziale allegazione della colpa dei sanitari nei termini di omessa effettuazione dei dovuti controlli nella fase antecedente al parto). Il caso Due genitori citavano in giudizio un'Azienda Ospedaliera al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso della loro figlia all'atto del parto, sul rilievo, per un verso, dell'omessa attività di vigilanza e monitoraggio delle condizioni fetali nel lasso temporale anteriore al taglio cesareo; dall'altro, della ritardata esecuzione di tale intervento. Il Tribunale, con sentenza confermata in appello, ha rigettato la domanda sul rilievo della intervenuta mutatio libelli giacché, in esito alla consulenza svolta, gli attori avevano imputato il decesso del feto al malfunzionamento dell'apparecchio cardiotocografico (che avrebbe impedito il controllo delle condizioni fetali), circostanza mai allegata tra i fatti costitutivi del diritto azionato, traducendosi nell'introduzione in giudizio di un nuovo tema di indagine diretto ad alterare l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia. Gli attori proponevano ricorso in Cassazione, dolendosi dell'assunto del giudice di appello che aveva ritenuto che il malfunzionamento dell'apparecchio cardiotocografico e l'omessa aspirazione del mecomio dopo la nascita non corrispondessero a quelli allegati nella domanda introduttiva integrando, sul piano processuale, una inammissibile mutatio libelli, incompatibile con il divieto di nova operante dopo la maturazione della barriera preclusiva di cui all'art. 183 c.p.c. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la sentenza di appello. La questione La questione in esame è la seguente: in tema di responsabilità medica la deduzione di profili di colpa diversi e ulteriori rispetto a quelli originariamente allegati integra un mutamento della causa petendi? Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte torna ad occuparsi del corretto riparto dell'onere della prova in tema di responsabilità medica, con particolare riferimento al contenuto dell'onere di allegazione gravante sul paziente danneggiato. Per la pronuncia che si annota, l'art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento: dunque, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento. Tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno. Se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. civ., sez. VI, 5 dicembre 2017, n. 29135; Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. civ., sez. VI, 21 marzo 2018, n. 7044). In particolare, con specifico riferimento, poi, agli oneri di allegazione della domanda risarcitoria per responsabilità medica e, segnatamente, di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per la condotta ascrivibile ai sanitari ausiliari della stessa (dunque, di responsabilità ex art. 1228 c.c., come nella specie dedotta in giudizio), l'attore danneggiato è tenuto ad allegare, oltre all'esistenza del c.d. contratto di spedalità, l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e l'inadempimento del debitore. Sotto quest'ultimo profilo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato (sin da Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577) che «l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno»; occorre, dunque, allegare i fatti materiali che individuino, in modo specifico (pena, come detto, la nullità della citazione), quale sia stata la condotta del sanitario che abbia assunto il ruolo di causa efficiente, sia pure astrattamente, dell'evento lesivo della salute del paziente. Né un onere siffatto è posto in discussione da Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2017, n. 26516, atteso che - sebbene il principio massimato evidenzi che «ai fini dell'allegazione di un inadempimento qualificato del medico non è necessario che l'attore individui specificamente la condotta omessa o l'errore commesso, essendo invece sufficiente la deduzione di una prestazione mal adempiuta e di una incidenza causale della stessa sul pregiudizio lamentato» - la motivazione della sentenza (cfr. pp. 4/6) dà conto che, nel caso oggetto di cognizione, l'onere di allegazione in ordine alla condotta di inadempimento "qualificato" del sanitario (e, dunque, dei fatti specifici che la sostanziavano, individuati come "condotta omessa" ed "errore commesso") era stato assolto, avendo gli attori dedotto che l'inadempimento era consistito:
Invece, ciò che si è reputato non necessario era che «l'allegazione degli attori concernesse specificamente l'inadempimento costituito dal mancato riscontro della displasia setto ottica», ossia di una specifica patologia del feto e non già di «una (qualsiasi) malformazione grave, in funzione dell'eventuale scelta abortiva». Osservazioni La domanda con la quale si invoca, in giudizio, il risarcimento del danno conseguenza di un illecito civile - contrattuale o extracontrattuale e, dunque, anche la domanda di risarcimento danni per responsabilità sanitaria (che si riferisca a condotte illecite avvenute sia prima dell'entrata in vigore della l. n. 24/2017 sia in epoca successiva) - ha ad oggetto un diritto c.d. eterodeterminato, per cui si richiede all'attore di allegare i fatti materiali sui quali quel diritto viene a fondarsi, così da consentire l'individuazione specifica delle ragioni della domanda (ossia della causa petendi), pena la nullità della stessa per violazione dell'art. 163 comma 3, n. 4, c.p.c. E' opportuno anche richiamare i più generali orientamenti secondo i quali si ha mutatio libelli quando la parte muti l'oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell'azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2015, n. 1585). Esorbita dai limiti di una consentita emendatio libelli il mutamento della causa petendi che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2018, n. 32146). La modificazione della causa petendi, ritualmente dedotta in giudizio, è consentita ai sensi dell'art. 183 c.p.c. (ove ciò non comporti una modificazione della domanda in misura tale che questa, così modificata, non risulti più connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio: Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310) e, dunque, anche secondo la scansione temporale da tale norma disciplinata. Da tale premessa, si osserva come nella giurisprudenza di legittimità vi sono orientamenti (almeno apparentemente) contrastanti circa la possibilità per l'attore, nelle cause di responsabilità sanitaria, di modificare i fatti costituitivi della domanda. Secondo un primo orientamento, nel giudizio di risarcimento del danno derivato da colpa medica non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che l'attore, dopo avere allegato nell'atto introduttivo che l'errore del sanitario sia consistito nell'imperita esecuzione di un intervento chirurgico, nel concludere alleghi, invece, che l'errore sia consistito nell'inadeguata assistenza postoperatoria, dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l'ambito dell'indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall'attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato (Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2012, n. 13269). Pertanto, nel giudizio di responsabilità per inadempimento contrattuale del professionista, non costituisce mutamento della domanda, ma semplice emendatio libelli, l'allegazione di profili di inadeguatezza della prestazione diversi da quelli inizialmente prospettati (nella specie, relativi alla mancata previsione di un fenomeno di risalita per capillarità dell'acqua), restando immutato il fatto giuridico invocato a causa petendi del risarcimento (Cass. civ., sez. II, 26 agosto 2014, n. 18275). Secondo altro orientamento, invece, è stato ritenuto che, in tema di responsabilità medica, qualora sia proposta domanda di risarcimento dei danni per l'inesatta esecuzione di un intervento chirurgico, la sentenza che condanna al risarcimento in ragione dell'erronea valutazione riguardo alla sua necessità viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato perché, vertendosi in materia di diritti eterodeterminati, pone a fondamento della sentenza una causa petendi diversa da quella allegata dall'attore (Cass. civ., sez. III, 30 gennaio 2023, n. 2719). Secondo tale ultimo formante, in ipotesi di domanda risarcitoria la cui causa petendi non sia stata modificata nel rispetto del regime delle preclusioni processuali, il giudice non può pronunciare su di essa ponendovi a fondamento fatti materiali non allegati tempestivamente dalla parte, pena la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), che è a presidio dei principi, fondamentali, del contraddittorio e della difesa in giudizio (art. 24 Cost.). E tanto vale anche per i fatti che siano stati acquisiti al giudizio in base alle risultanze di una c.t.u. ove, per l'appunto, si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare quale ragione della domanda configurandosi, altrimenti, una nullità assoluta, rilevabile d'ufficio o, in difetto, da farsi valere come motivo di impugnazione ai sensi dell'art. 161 comma 1 c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2022, n. 3086). La pronuncia in commento aderisce al primo orientamento sicché, pur gravando sull'attore l'onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore, essendo sufficiente la contestazione dell'aspetto colposo dell'attività medica, secondo quelle che si ritengono essere i profili di responsabilità del sanitario, dovendosi considerare il fatto costitutivo, idoneo a delimitare l'ambito dell' indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall'attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato (Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2012, n. 13269). Resta il problema della compatibilità con il regime del riparto dell'onere probatorio di un'allegazione generica, che contesti l'aspetto colposo dell'attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni di un professionista che, espletando, peraltro, la professione di avvocato, conosca l'attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario. Un'allegazione così generica rischia di essere ostativa ad una buona difesa da parte del convenuto il quale, in presenza di un atto di citazione eccessivamente indeterminato, si troverebbe nell'impossibilità di opporre le dovute eccezioni. Né tale assottigliamento dell'onere di allegazione sembra rispondere ad esigenze di equità, avendo come effetto quello di rendere le regole sul giudizio di responsabilità più severe quando convenuto sia un medico piuttosto che un altro professionista. Il rischio è, poi, quello di una mutatio libelli nel processo (rischio che la pronuncia esclude): infatti, in assenza di precise indicazioni da parte dell'attore sui singoli aspetti di colpevolezza della condotta medica, il c.t.u. potrebbe allargare all'infinito l'indagine, arrivando comunque alla conclusione che il medico o la struttura hanno sbagliato, ma per motivi del tutto diversi rispetto a quelli «forse immaginabili» e su cui, in assenza di una precisa indicazione dell'attore, il convenuto ha preso posizione nella comparsa di risposta. In altri termini, sarà onere dell'attore individuare una condotta alternativa lecita che, se tenuta, avrebbe avuto serie possibilità di scongiurare l'evento dannoso, dovendosi ritenere non assolto l'onere di allegazione da parte dell'attore tutte le volte che non indichi, né nell'atto di citazione né nella perizia allegata, il comportamento specifico che i sanitari avrebbero posto in essere in violazione delle regole di diligenza, prudenza e perizia. Appare evidente che tale modo di procedere parte dall'assunto che in tema di medical malpractice assume un ruolo privilegiato la c.t.u., atteso che l'accertamento del nesso di causalità non appare più nell'esclusivo dominio del danneggiante (quale unico conoscitore di regole tecniche ignote al creditore ed estranee alla comune esperienza), bensì accertabile mediante la scienza medica. Infatti, ai fini di un'allegazione adeguata, sembra quanto meno necessario che il paziente indichi in che cosa il medico avrebbe sbagliato, ricorrendo anche all'aiuto di un consulente tecnico: in questo contesto il ruolo dei periti, anche ai fini di un accertamento tecnico preventivo, è di fondamentale importanza e l'avvalersi di tali figure professionali non può configurarsi un onere eccessivamente gravoso per il paziente. Invero, tale posizione è in sintonia con i principi di recente affermati dalle Sezioni Unite, ad avviso delle quali è pacifico che, stante il potere del c.t.u. di procedere nei limiti dei quesiti sottopostigli alla investigazione dei fatti accessori, costui possa estendere il proprio giudizio anche ai fatti che, pur se non dedotti dalle parti, siano pubblicamente consultabili, non essendovi ragione di vietare in tal caso al c.t.u., pur se ne maturi la conoscenza aliunde, di esaminare i fatti conoscibili da chiunque, così come è pacifico che l'attività consulenziale possa indirizzarsi anche in direzione dell'accertamento dei fatti accessori allorché, pur non costituendo oggetto di espressa indicazione, risultino in qualche modo già ricompresi nelle allegazioni delle parti in quanto, fermo il fatto costitutivo o, diversamente, modificativo od estintivo dedotto dalla parte, il fatto accessorio accertato dal c.t.u. nel corso delle indagini affidate dal giudice corrobori indirettamente l'assunto fatto valere con la domanda o con l'eccezione (Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2022, n. 3086). Le Sezioni Unite, dopo aver rimarcato - come raccomandazione di carattere generale e, di più, come condizione irrinunciabile per consentire al consulente l'esame di fatti e documenti non oggetto di rituale deduzione delle parti - che, nell'espletamento delle attività demandategli, il consulente tecnico nominato dal giudice deve attenersi al più fedele e scrupoloso rispetto del principio del contradditorio, rilevano che, come il giudice, così anche il consulente non potrà deflettere nell'attività che comporta l'accertamento dei fatti e la raccolta dei documenti significativi ai fini dell'espletamento del mandato peritale - la cui introduzione nel giudizio non è rituale opera di parte - dalla necessità che su di essi il confronto tra le parti si esplichi nel modo più idoneo a garantirne il diritto di difesa. |