Interessi moratori eccessivi in caso di tardivo pagamento dei servizi di manutenzione dell’impianto di riscaldamento e di somministrazione di energia
19 Agosto 2024
Massima Al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. Il caso La fattispecie sostanziale - sottesa alla controversia giunta all'esame del Supremo Collegio - aveva ad oggetto la stipula di un contratto di somministrazione di energia elettrica, comprensivo del servizio di assistenza e manutenzione dell'impianto termico di riscaldamento ambienti ed acqua per uso sanitario, per la durata di anni cinque, con previsione di un corrispettivo annuo globale, tra una Società erogatrice di tali servizi e un Condominio: atteso che quest'ultimo si era reso moroso per il mancato pagamento di una fattura relativa al saldo del corrispettivo per l'anno 2011 e per i maturati interessi di mora, la stessa Società lo aveva convenuto in giudizio perché fosse condannato al pagamento di quanto rimasto insoluto, sia a titolo di corrispettivo sia per interessi di mora. Il Condominio aveva contestato la debenza di entrambe le ragioni di credito, chiedendo di accertare la “vessatorietà” della clausola contrattuale relativa agli interessi per il caso di ritardato pagamento, deducendo di aver saldato la fattura relativa all'ultimo corrispettivo dell'anno 2011 ed invocando l'ammissione di una CTU volta ad accertare gli effettivi consumi di metri cubi di gas, e la quantità di megawatt prodotti. Il Tribunale adìto, rilevata la riconducibilità del Condominio alla categoria dei consumatori e ritenuta vessatoria la clausola contrattuale relativa all'importo degli interessi di mora (9,25%) ai sensi dell'art. 33, lett. f), del Codice del consumo, aveva negato la spettanza di tali interessi ed aveva ritenuto, quanto alla fattura relativa ai corrispettivi, che la Società attrice non avesse assolto all'onere della prova delle ragioni costitutive del proprio credito. A seguito di gravame da parte della soccombente, la Corte d'Appello aveva dato atto che il Condominio aveva saldato ante causam il debito di cui alla fattura relativa al saldo del corrispettivo, realizzando pertanto il pagamento completo del servizio espletato per l'ultima stagione del rapporto contrattuale (2010-2011), peraltro dichiarando espressamente di farlo e, dunque, riconoscendone la debenza con valore confessorio, ed aveva ritenuto parzialmente fondata la domanda relativa al pagamento degli interessi di mora; si era, infatti, ritenuto che, risultando accertata la debenza delle somme, peraltro già versate a saldo del corrispettivo contrattuale, il Condominio era tenuto a pagare su di essa e su altre fatture gli interessi di mora per ritardato pagamento nella misura legale ai sensi dell'art. 1224, comma 1, c.c.; conseguentemente, in parziale accoglimento dell'appello, il giudice distrettuale aveva considerato saldato il debito di cui alla fatture per corrispettivi ed aveva ritenuto fondata la domanda di pagamento degli interessi di mora ma al tasso legale ex art. 1224, comma 1, c.c. Avverso la sentenza emessa a conclusione del giudizio di secondo grado, la Società proponeva, quindi, ricorso per cassazione. La questione Si trattava di verificare se, nel caso concreto, fosse applicabile la disciplina consumeristica, in forza della quale la clausola contrattuale de qua, avente ad oggetto gli interessi convenzionali di mora, era da ritenersi nulla ai sensi dell'art. 33, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 206/2005, perché di importo manifestamente eccessivo, in assenza di prova della specifica trattativa sulla misura prevista, prevedendo un importo addirittura superiore a quello previsto dal d.lgs. n. 231/2002 per le transazioni commerciali (nella specie, nella misura pattuita del 9,25%, raffrontato con il tasso legale in vigore al momento della stipula del contratto del 2,5%, passato al 3% nel periodo 2008/2009, all'1% nel 2010 e all'1,5 % nel 2011). Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondate le doglianze della ricorrente. Invero, si è osservato che, laddove ha affermato nella specie essere applicabile la disciplina del Codice del consumo, svolgendo un confronto tra il tasso pattuito e quello legale, la Corte di merito aveva posto a base dell'impugnata sentenza una congrua motivazione, del tutto in linea con le previsioni normative e con l'orientamento interpretativo offerto dagli ermellini. Innanzitutto, si è evidenziato che la disciplina applicabile alla fattispecie è quella di cui all'art. 33, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 206/2005, secondo cui è vessatoria la clausola che impone al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro, a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente, di “importo manifestamente eccessivo”. La scelta del giudice del merito della disciplina applicabile è conforme alla giurisprudenza dai giudici di legittimità secondo cui, al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale (Cass. civ., sez. II, 22 maggio 2015, n. 10679; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2001, n. 10086). Osservazioni L'ordinanza in commento ripete, dunque, la formuletta tralaticia in forza della quale vi è un'equivalenza tout court tra la figura del consumatore e quella del condominio, nonostante il primo debba essere, secondo la legge, una “persona fisica” ed il secondo possa essere articolato in proprietari di unità immobiliari componenti l'edificio che persone fisiche non lo siano affatto (nella maggioranza o, addirittura, in toto). Interessa, però, maggiormente la seconda parte della motivazione, perché, aldilà di tale (discutibile) automatismo, si indaga in ordine alla ricaduta della disciplina consumeristica riguardo all'ipotesi di interessi moratori eccessivi riguardo al tardivo pagamento di alcuni servizi forniti al condominio. Sul punto, gli ermellini hanno ulteriormente sottolineato che la valutazione, con confronto tra il tasso pattuito e quello legale, se la clausola pattuita a titolo di penale o ad altro titolo equivalente dia luogo ad un importo manifestamente eccessivo a carico del consumatore per l'ipotesi di inadempimento o di ritardo nell'adempimento in quanto pari e, nel corso del rapporto, divenuto addirittura superiore a quello previsto dal d.lgs. n. 231/2002 per le transazioni commerciali tra imprese o tra imprese e Pubbliche Amministrazioni - fattispecie ben differenti da quelle in cui è parte contrattuale un soggetto a favore del quale opera la disciplina di tutela del consumatore - è stato nella specie effettuato dal giudici di merito nel compiuto esercizio dei poteri ad esso spettanti, dandone altresì congrua motivazione. Del pari infondato - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - è il preteso contrasto, dedotto dalla ricorrente, tra la decisione in scrutinio e la pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un, 18 settembre 2020, n. 19597) in materia di interessi usurari, con eccessiva ingerenza da parte del giudice sul potere dei privati di disporre dei propri interessi. Per quel che riguarda la giurisprudenza in tema di interessi usurari, si rileva che non sussiste alcun contrasto con la sentenza di cui sopra, sia perché essa si occupa del superamento del tasso soglia ai fini della normativa antiusura, sia perché, in ogni caso, quella stessa pronuncia prevede che, nei contratti conclusi con i consumatori, è altresì applicabile la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f), e 36, comma 1, del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), essendo rimessa all'interessato la scelta di far valere l'uno o l'altro rimedio - come, peraltro, ammesso dalla stessa ricorrente - in conformità a quanto affermato anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale ha avuto modo di porre in rilievo come il sistema nazionale, che riduca entro una soglia ritenuta lecita il tasso eccessivo degli interessi moratori, non deve comunque precludere al giudice, in caso di contratto dei consumatori, la facoltà di ritenere la clausola abusiva, con conseguente relativa eliminazione ex art. 6 della Direttiva 93/2013 (Corte di Giustizia 21 gennaio 2015, C-482/13, C484/13; C-485/13 e C-487/13). Secondo gli ermellini, si rivela infondata, altresì, la tesi dell'illegittima interferenza nel potere dispositivo delle parti, con il conseguente rischio di arbitrio nella valutazione dell'eccessività della clausola penale, in quanto è lo stesso legislatore ad attribuire alla giurisprudenza il compito di dare contenuto alle clausole generali in conformità al sentire sociale, a tale stregua determinando la regola effettiva del momento storico dato. Nella specie, i giudici del merito, nel componimento dei diversi interessi delle parti contrattuali, hanno esercitato il potere ad essi spettante in conformità all'orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui le finalità di tutela del consumatore, quale parte debole del contratto, sono idoneamente salvaguardate - oltre che da quella altra e diversa, ma concorrente, ex artt. 1341 e 1342 c.c., relativa a contratti unilateralmente predisposti da un contraente in base a moduli o formulari in vista dell'utilizzazione per una serie indefinita di rapporti (Cass. civ., sez. VI, 8 luglio 2015, n. 14288; Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2010, n. 6802) - dalla disciplina sulle clausole abusive dettata nel Codice del consumo (artt. 33 e 34 d.lgs. n. 206/2005, già artt. 1469-bis ss. c.c.), che può invero riguardare anche il singolo rapporto, ed è funzionalmente volta a tutelare il consumatore a fronte dell'unilaterale predisposizione ed imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso, sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale nella sua fondamentale espressione rappresentata dalla libertà di determinazione del contenuto del contratto. Il tutto, con conseguente alterazione, su un piano non già solamente economico, della posizione paritaria delle parti contrattuali idoneo a ridondare, mediante l'imposizione del regolamento negoziale unilateralmente predisposto, sul piano dell'abusivo assoggettamento di una di esse (l'aderente) al potere (anche solo di mero fatto) dell'altra (il predisponente) (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2008, n. 24262). Infatti, è evidente, sia mediante l'unilaterale predisposizione di moduli o formulari in vista dell'utilizzazione per una serie indefinita di rapporti, sia in occasione della stipulazione di un singolo contratto redatto per uno specifico affare, mediante l'unilaterale predisposizione ed imposizione del relativo contenuto negoziale, che il professionista può affermare la propria autorità (di fatto) contrattuale sul consumatore. La lesione dell'autonomia privata del consumatore, riguardata sotto il segnalato particolare aspetto della libertà di determinazione del contenuto dell'accordo, fonda allora sia nell'una che nell'altra ipotesi l'applicazione della disciplina di protezione in argomento (Cass. n. 6802/2010, cit.): nel che si coglie la pregnanza e la specificità del relativo portato. A precludere l'applicabilità della suddetta disciplina di tutela del consumatore, il giudice di ultima istanza ha avuto modo di precisare, poi, che è necessario che ricorra il presupposto oggettivo della trattativa ex art. 34, comma 4, del d.lgs. n. 206/2005 (Cass. n. 14288/2015, cit.; Cass. n. 6802/2010, cit.; Cass. n. 24262/2008, cit.), la cui sussistenza, pertanto, è da considerarsi un prius logico rispetto alla verifica della sussistenza del significativo squilibrio in cui riposa l'abusività della clausola o del contratto (v., altresì Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2005, n. 13890), spettando al “professionista” dare la prova del fatto positivo del prodromico svolgimento di una trattativa dotata dei caratteri essenziali suoi propri, quale fatto impeditivo della relativa applicazione (cui adde, Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2010, n. 18785). Si è, al riguardo, sottolineato (Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2019, n. 25914) che, in presenza di accordo frutto (in tutto o in parte) di trattativa, l'accertamento giudiziale in ordine all'abusività delle clausole contrattuali rimane viceversa (in tutto o in parte) precluso, quand'anche l'assetto di interessi realizzato dalle parti risulti significativamente squilibrato a danno del consumatore, discendendo qui tale preclusione - non già dalla non vessatorietà della clausola, o del contratto fatti oggetto di specifica trattativa, bensì - dall'inconfigurabilità della loro unilaterale predisposizione ed imposizione, quali (possibili) fonti di abuso nella vicenda di formazione del contratto. Per potersi considerare preclusa l'applicazione della disciplina di tutela del consumatore in questione, la trattativa deve, tuttavia, non solo essersi storicamente svolta, ma altresì risultare caratterizzata dai requisiti della individualità, serietà ed effettività (v., per tutte, Cass. n. 24262/2008, cit.), essendo consentita l'esclusione dell'applicazione della disciplina di protezione in questione con esclusivo riferimento a quelle clausole che abbiano costituito singolarmente oggetto di specifica trattativa, seria ed effettiva, mentre la restante parte, non negoziata, del contratto rimane assoggettata alla disciplina di tutela del consumatore. A tale stregua, si è rigettata anche la pretesa violazione dell'art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale asseritamente omesso di verificare l'adempimento, da parte del consumatore, dei suoi oneri probatori, in quanto - come sopra detto - incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole o gli elementi di clausola dal medesimo unilateralmente predisposti siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore, sicché alcuna inversione dell'onere della prova è stata integrata dal giudice di merito. Riferimenti Bosso, I contratti del condominio e il condominio come consumatore: introduzione e principi generali, in Arch. loc. e cond., 2017, 4; Baciucco, Il condominio e la figura del consumatore, in Riv. giur. sarda, 2015, I, 334; Grisafi, Il condominio può essere classificato come “consumatore”? Note in tema con particolare riguardo alla disciplina in materia di trasparenza bancaria, in Studium iuris, 2014, 1142; Belli, Condominio “consumatore”: nullità di protezione delle clausole vessatorie nei contratti di assicurazione e intervento integrativo del giudice, in Giur. merito, 2013, 282; Celeste, Regolamento contrattuale e tutela del consumatore-condomino, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 10, 24; Tortorici, Il condominio-consumatore e i diversi rapporti contrattuali, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 10, 6; Dona - Savasta, Il condominio inteso come consumatore: nuovi scenari di tutela e difficoltà applicative, in Merito, 2005, fasc. 6, 20; Scarpa, Appalto di servizi condominiali, recesso unilaterale del condominio-committente e tutela del condominio-consumatore, in Rass. loc. e cond., 2003, 416; Terzago, Condominio e tutela del consumatore, in Riv. giur. edil., 2001, I, 866. |