Morte del figliastro: il patrigno, convivente con la vittima primaria, ha diritto al risarcimento?
02 Settembre 2024
Massima In tema di risarcimento del danno da lesione o perdita del rapporto parentale, in caso di assenza del rapporto di parentela, non è sufficiente l’allegazione della mera convivenza, ma è necessaria l’allegazione della lesione di un legame affettivo. Inoltre il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà, escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza, dovendoci essere comunque un’incidenza sull’intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà. Il caso Un detenuto, a causa di forti dolori addominali, viene visitato più volte dai medici in servizio presso la casa circondariale. Successivamente viene trovato in coma nella sua cella e, trasferito presso un ospedale, subisce un intervento chirurgico e, ciononostante, decede per una grave peritonite in atto. Viene così instaurato un procedimento penale nei confronti dei medici che hanno avuto in cura il detenuto indagati per il reato di omicidio colposo (art. 590 c.p.) in cooperazione tra loro (art. 113 c.p.). Nel corso del procedimento penale si costituisce come parte civile il patrigno convivente della vittima primaria. Il Tribunale di Ascoli Piceno, sezione penale, con sentenza del 2 luglio 2007 assolve i medici dai reati loro ascritti, ex art. 530, comma 2, c.p.p. Il patrigno propone appello ai soli fini civili avverso detta sentenza. La Corte di Appello di Ancona, sez. pen., con sentenza del 2 ottobre 2014 n. 3052:
Il patrigno propone ricorso ai soli fini civili avverso detta sentenza. La Suprema Corte di Cassazione, sezione penale, con sentenza Cass. pen., 22 marzo 2016, n. 12238:
Il patrigno, con atto di citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c. e art. 622 c.p.p., riassume il giudizio in sede civile innanzi alla Corte di Appello di Ancona e chiede il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale con il figliastro. Radicatasi così la lite si sono costituiti:
Tali parti chiedono il rigetto della domanda. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 6 luglio 2020 n. 656 - prima di valutare se, contrariamente a quanto assunto dai giudici penali di merito e conformemente a quanto ipotizzato dalla Cassazione penale, vi fosse un nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e la morte del paziente - rigetta la domanda ritenendo che il patrigno avesse allegato una mera convivenza, ma non avesse allegato l'esistenza di un legame affettivo, che è necessaria perché la lesione della convivenza produca danno risarcibile. Il patrigno propone ricorso per cassazione avverso detta sentenza affidato a quattro motivi. Con il primo motivo lamenta «violazione degli artt. 384, 392, 393 c.p. e 622, 627 c.p.p. nonché art. 112 c.p.c.»: il ricorrente, con tale motivo, lamenta sostanzialmente che i giudici del rinvio abbiano erroneamente ritenuto non provato il legame affettivo tra lui e il figliastro in quanto la prova era in realtà in atti atteso che era stato ammesso a costituirsi parte civile, e questa decisione in sede penale era dimostrazione del fatto che egli era persona danneggiata dal reato e, anzi, su tale questione si era, per ciò stesso, formato giudicato, inoltre v'era agli atti del giudizio penale lo stato di famiglia e, comunque, egli aveva chiesto la prova per testi. Con il secondo motivo lamenta «violazione dell’art. 101 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost.»: il ricorrente con tale motivo lamenta sostanzialmente che i giudici del rinvio abbiano erroneamente fatto applicazione di un principio di diritto, quello sulla diversità del giudizio civile di rinvio da quello penale e sulla necessità che il primo si svolga secondo le regole proprie e, cioè, in autonomia rispetto a quanto accertato in quello penale senza sottoporre la questione al contraddittorio delle parti. Con il terzo motivo lamenta «violazione dell’art. 185 c.p., nonché art. 116 c.p.c. e art. 2727 c.c.»: il ricorrente con tale motivo lamenta sostanzialmente che i giudici del rinvio abbiano erroneamente ritenuto non provato il legame affettivo tra lui e il figliastro in quanto dai documenti in atti risultava chiaramente come si trattasse di una famiglia di fatto e che non è vero che egli si è limitato a invocare la convivenza, in quanto egli aveva, per contro, allegato l'esistenza proprio di una famiglia di fatto, alla cui dimostrazione ha destinato la richiesta di prova testimoniale. Con il quarto e ultimo motivo lamenta «violazione dell'art. 92 c.p.c.»: il ricorrente con tale motivo non formula alcuna specifica censura all'impugnata sentenza ma auspica che, in caso di accoglimento del ricorso, venga rivisto il regime delle spese di lite. Radicatasi così la lite in sede di legittimità i medici resistono con controricorso mentre l'impresa di assicurazione rimane intimata. La Suprema Corte con la decisione in commento (Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2023 n. 31867):
La questione Le questioni giuridiche affrontate dal giudice di legittimità sono varie, ma quella oggetto del presente commento è relativa al diritto del patrigno al risarcimento del danno non patrimoniale subito per la morte del figliastro in presenza di convivenza e al conseguente onere del danneggiato di allegazione e prova. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte, dopo aver affrontato e risolto alcuni problemi prettamente processuali relativi al secondo motivo, passa a esaminare congiuntamente il primo e il terzo motivo, che attengono alla medesima questione e li ritiene infondati. La Suprema Corte, in particolare, rileva che:
La Suprema Corte, pertanto, alla luce di tali principi rigetta il ricorso. Osservazioni La decisione della Suprema Corte, in relazione al diritto del patrigno al risarcimento del danno non patrimoniale subito per la morte del figliastro in presenza di convivenza, appare senz'altro corretta sia un punto di vista processuale che sostanziale. Queste le ragioni. Da un punto di vista processuale in quanto la Suprema Corte ha rilevato il deficit di allegazione del ricorrente. Tale decisione è perfettamente in linea:
È ius receptum, infatti, che:
Tali principi sono applicabili anche al caso del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale subito dai congiunti della vittima primaria che è un danno-conseguenza, sicché esso non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2021, n. 19372; Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2021, n. 13158; Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2021, n. 12681; Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2019, n. 5807; Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2018, n. 10321; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 907; Cass. civ., sez. III, 6 settembre 2012, n. 14931; Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2011, n. 10108; Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2011, n. 7728; Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2007, n. 3758; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2003, n. 16946; Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124). Da un punto di vista sostanziale, la sentenza appare corretta in quanto perfettamente in linea con la giurisprudenza consolidata di legittimità, la quale ha costantemente ritenuto che il danno conseguente alla lesione e/o perdita del rapporto parentale possa essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale. A tal fine il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà, escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza, atteso che deve esserci comunque un'incidenza sull'intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà. È ius receptum, infatti, che:
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte il patrigno ha allegato la mera convivenza con il figliastro. Ma ciò, come innanzi esposto, non è sufficiente in quanto avrebbe dovuto allegare prima e provare, poi, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni semplici) l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il defunto. |