Il contributo analizza il regime di responsabilità in caso di danno cagionato da cose in custodia, segnatamente soffermandosi sui connotati necessari e sufficienti, secondo la giurisprudenza di legittimità, perché il comportamento del danneggiato possa assurgere a fattore eziologico assorbente nella determinazione dell’evento lesivo, sì da integrare gli estremi del caso fortuito di cui all’art. 2051 c.c.
1. Il fatto, la pronuncia della Corte d'appello e il ricorso
1.1 Nel settembre del 2016, verso le ore 21 della sera, un minore, all'epoca undicenne, andò a sbattere, mentre era intento a giocare con alcuni coetanei nel parco ludico di una parrocchia, contro la sbarra metallica collocata trasversalmente, all'altezza di 123 cm dal suolo, tra i due montanti di una pagoda metallica.
Il ragazzo riportò danni alla persona.
Agendo sia in proprio che quali rappresentanti dell'infortunato, i genitori chiamarono in giudizio l'ente proprietario della struttura al quale chiesero il ristoro dei pregiudizi subiti ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto custode del parco, nonché, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per inottemperanza al principio generale del neminem laedere, avendo consentito l'accesso a un'area non illuminata in un'ora serale.
1.2 Il Tribunale rigettò la domanda.
La Corte d'appello confermò la decisione. Per quanto qui interessa, ritenne la Curia territoriale che correttamente il giudice di prime cure avesse escluso la responsabilità della Parrocchia, ai sensi dell'art. 2051 c.c., valutando in termini di caso fortuito, idoneo a escludere l'operatività della tutela invocata, la condotta colpevole dei genitori del minore, uno dei quali, presente sul posto, aveva tollerato che il ragazzo rincorresse i coetanei malgrado l'ora serale, la mancanza di illuminazione e la presenza di ostacoli.
Il decidente giudicò altresì infondate le critiche alla ritenuta insussistenza di una responsabilità della convenuta ai sensi dell'art. 2043 c.c., rilevando che essa non aveva alcun obbligo né di illuminare il parco nelle ore serali, né di renderlo inaccessibile, tanto più che un avviso affisso all'entrata avvertiva che l'uso dei giochi doveva svolgersi “sotto la sorveglianza di un accompagnatore”.
1.3 I genitori dell'infortunato proposero ricorso per cassazione.
Delle critiche con questo avanzate conviene focalizzare l'attenzione solo su quelle svolte nell'ottavo motivo, in quanto tese ad attaccare il cuore della scelta decisoria adottata dal giudice di merito, e cioè l'esclusione della responsabilità della Parrocchia, comunque declinata, in ragione del carattere assorbente della colpa dell'infortunato e di chi sullo stesso doveva vigilare.
Ora, con tale mezzo i ricorrenti, denunciando la violazione degli artt. 1227, 2051 e 2697 c.c., sostennero:
la tardività dell'eccezione di caso fortuito;
l'insussistenza di un uso improprio della struttura ove era collocata la sbarra trasversale, da parte del minore, considerato che l'infortunio non era avvenuto mentre lo stesso ci stava giocando;
l'impossibilità di ravvisare una condotta colposa nell'assenso della madre del ragazzo a che il figlio si intrattenesse con dei coetanei, potendo al più ragionarsi in termini di concausa del danno;
l'irrilevanza dell'avviso affisso all'ingresso del parco, dal quale non poteva desumersi l'esistenza della sbarra contro la quale il figlio degli attori era andato a sbattere;
l'assenza di qualsivoglia connotato di eccezionalità e imprevedibilità nel comportamento di questi, corrispondendo piuttosto a normalità che dei bambini in un parco giochino a rincorrersi.
Ridotta all'osso la questione, gli impugnanti contestarono che la condotta pretesamente distratta della madre del minore potesse essere inquadrata nell'ambito del caso fortuito, idoneo a escludere il nesso di causalità tra cosa in custodia e danno, e fosse altresì idonea a eliminare l'ipotizzabilità di una responsabilità colpevole della Parrocchia, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per la mancata chiusura e la mancata illuminazione del parco.
2. La sentenza della Cassazione 27 marzo 2024 n. 8346 (e una sintetica ricapitolazione dei contrasti giurisprudenziali in punto di responsabilità del custode)
2.1 Della censura relativa alla asserita tardività dell'allegazione del caso fortuito il collegio si è agevolmente liberato richiamando la consolidata giurisprudenza secondo cui il richiamo al fatto del terzo o dello stesso danneggiato, idoneo a integrare l'esimente del caso fortuito, costituisce una mera difesa, che deve essere esaminata e verificata anche d'ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull'eventuale incidenza causale di quelle condotte nella produzione dell'evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e dalle richieste formulate dalla parte, salva solo la prospettazione, a cura della stessa, degli elementi fattuali sui quali la deduzione si fonda (Cass. 30 settembre 2014 n. 20619, Cass. 19 maggio 2011 n. 11015). Il rilievo del caso fortuito costituisce invero, secondo il diritto vivente, un'applicazione paradigmatica del noto brocardo: da mihi factum, dabo tibi ius, sempre, s'intende, che il factum sia somministrato in giudizio nel rispetto dei termini e delle scansioni attraverso cui si sviluppa il dialogo processuale tra le parti.
2.2 Come è agevole immaginare, la parte più intrigante dell'arresto in esame è però quella in cui il collegio affronta, in maniera astratta e generale, la questione dei connotati che deve presentare il comportamento del danneggiato per assurgere a fattore eziologico assorbente nella determinazione dell'evento lesivo: questione che inevitabilmente chiama in causa quella, a monte, della natura giuridica della responsabilità del custode e della prova che lo stesso deve fornire per andarne esente.
Sul punto, a colpi di opposte pronunce, due tesi si sono, per moltissimo tempo, contese il campo:
quella secondo cui la responsabilità del custode andrebbe ricostruita in termini di responsabilità oggettiva, di guisa che, ai fini della sua sussistenza, sarebbe sufficiente il solo nesso causale tra bene in custodia e conseguenza dannosa, senza che assuma alcuna rilevanza la condotta del custode e l'osservanza o meno di uno specifico obbligo di vigilanza da parte dello stesso, rimanendo la responsabilità esclusa unicamente dalla verificazione del caso fortuito, ricollegabile al profilo causale dell'evento lesivo, e cioè ai modi con i quali si è verificato il danno (Cass. 6 luglio 2006 n.15383, Cass. 21 ottobre 2005 n. 20359);
l'orientamento secondo cui si tratterebbe invece di responsabilità presunta con conseguente inversione dell'onere della prova, e cioè necessità per il custode di dimostrare – in applicazione del principio di c.d. vicinanza alla prova – «di aver espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, di vigilanza e manutenzione su di lui gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio generale del neminem laedere, di modo che il sinistro appaia verificatosi per fatto non ascrivibile a sua colpa» (Cass. 2 febbraio 2007 n. 2308).
Orbene, con la pronuncia Cass. SU 30 giugno 2022 n. 20943, le sezioni unite, in dichiarata adesione ad alcune sentenze della terza sezione civile in tesi pilota in punto di corretta esegesi dell'area normativa rilevante in parte qua, hanno posto fine alla diatriba, ribadendo il carattere oggettivo della responsabilità del custode, per come disciplinata dall'art. 2051 c.c., «essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode».
2.3 Tanto premesso, in via generale, è sui criteri di valutazione della condotta del danneggiato che conviene ora soffermarsi.
Nella pronuncia del 2022 le sezioni unite hanno mostrato di aderire in pieno «ai principi espressi in funzione nomofilattica dalla terza sezione civile di questa Corte» e cioè:
che «il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode»;
che «le modifiche improvvise della struttura della cosa … divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere»;
che «il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 c.c. c. 1; e deve essere valutata tenendo … conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost. » di guisa che «quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale».
2.4 Cosa voglia dire in soldoni questo specifico criterio di valutazione del fatto del danneggiato, lo ha chiarito la successiva giurisprudenza della terza sezione la quale, nella pur dichiarata adesione ai principi enunciati dalle sezioni unite, non ha rinunciato a scarnificare, in chiave nomofilattica, la diversa caratura che ha il giudizio del decidente in ordine alla sussistenza della esimente del caso fortuito, a seconda che si ragioni del comportamento del terzo o di quello del danneggiato.
Nella pronuncia in commento, dopo aver ribadito che «se il caso fortuito è consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile», specifica il collegio che ai fini della valutazione di quello consistito nella condotta della vittima, è necessario stabilire in che misura la stessa avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno e, in particolare, se abbia o meno rispettato il «generale dovere di ragionevole cautela». E in tale prospettiva ha concluso:
che la responsabilità del custode andrà del tutto esclusa ove la condotta del danneggiato abbia costituito una evenienza «irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale»;
che ai fini del predetto giudizio, andrà considerata irrilevante la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile.
Conseguentemente – ha opinato la Corte – nella fattispecie l'astratta prevedibilità del comportamento del ragazzo non bastava per affermare la responsabilità della Parrocchia, posto che, per stabilire se essa fosse stata «causa esclusiva, concorrente o irrilevante nella genesi del danno» andava appurato soltanto se era stata colposa e quali «conseguenze avesse provocato», mentre non era necessario affermare che era stata «anche abnorme, eccezionale, imprevedibile e inevitabile».
3. Conclusioni
È difficile negare che l'ordinanza in commento, uscita da una camera di consiglio non partecipata, è di fatto andata a ridisegnare i contorni del giudizio di responsabilità del custode, quando nell'eziologia dell'evento lesivo si sia inserito il comportamento del danneggiato: zitta zitta, ha tirato fuori da quella stima il criterio della imprevedibilità e dell'abnormità, che permea il giudizio quando vengano in rilievo il fatto naturale o la condotta del terzo.
In sostanza il principio di solidarietà, sacramentato dall'art. 2 Cost., viene da essa declinato nel senso che la prudenza e l'attenzione alla incolumità nostra e delle persone che ci sono affidate sono doverose, e perciò stesso date per scontate, al punto che non di imprevedibilità dell'imprudenza deve discorrersi, ma semai di prevedibilità, e quindi di esigibilità di una condotta costantemente ispirata al criterio della «ragionevole cautela».
Si tratta, a ben vedere, di un approdo esegetico qualificabile, per certi versi, come sintomatico del bilanciamento, sempre in movimento, tra posizioni soggettive tutelate e tutelabili e costi sostenibili dalla collettività, si inveri questa in un ente territoriale o in un suo singolo esponente. Si direbbe che in tempi di ingravescenza degli oneri connessi alla disponibilità dei beni, mobili o immobili che siano, i giudici abbiano voluto sgravare i rispettivi titolari quanto meno di quelli evitabili con condotte di ordinaria prudenza da parte di chi con quei beni venga in contatto. Che non è opzione campata in aria, sia in ragione dei principi generali dell'ordinamento, a partire dall'emblematico invito alla solidarietà di cui al già menzionato art. 2 Cost.; sia della disciplina specifica in materia di responsabilità ove una norma – l'art. 1227 c.c. – espressamente prevede e disciplina gli effetti del concorso del fatto colposo del creditore nella determinazione del danno.
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Sommario
1. Il fatto, la pronuncia della Corte d'appello e il ricorso
2. La sentenza della Cassazione 27 marzo 2024 n. 8346 (e una sintetica ricapitolazione dei contrasti giurisprudenziali in punto di responsabilità del custode)