Irrilevanti ai fini IVA le operazioni tra i soggetti passivi appartenenti al medesimo gruppo IVA

17 Settembre 2024

Con sentenza resa nella causa C-184/23 in relazione all'attrazione nel campo IVA delle prestazioni a titolo oneroso tra soggetti appartenenti al medesimo gruppo IVA, la Corte UE ne ha escluso l'assoggettamento ad imposta, anche nel caso in cui l'IVA dovuta o assolta dal committente non possa essere oggetto di una detrazione totale o parziale a monte.

Massima

L'articolo 2, punto 1, e l'articolo 4, paragrafo 4, secondo comma, della sesta direttiva n. 388/1977/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, devono essere interpretati nel senso che le prestazioni effettuate a titolo oneroso tra persone facenti parte di uno stesso gruppo formato da persone che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi, designato come unico soggetto passivo da uno Stato membro, non sono soggette all'imposta sul valore aggiunto (IVA), anche nel caso in cui l'IVA dovuta o assolta dal destinatario di tali prestazioni non possa essere oggetto di una detrazione a monte.

Il caso

La vicenda riguarda una fondazione tedesca di diritto pubblico (la ricorrente), che ricopre il ruolo di amministratrice e finanziatrice di un'università, che gestisce anche una facoltà di medicina, ed in qualità di soggetto passivo IVA fornisce servizi a titolo oneroso di assistenza e cura ai pazienti.

Allo stesso tempo, in quanto persona giuridica di diritto pubblico, esercita funzioni che implicano l'esercizio di potestà pubbliche (formazione degli studenti) per le quali non è considerata soggetto passivo d'imposta.

La ricorrente è la capogruppo fiscale sia della facoltà di medicina sia di una società da cui riceve servizi di pulizia, igiene e lavanderia nonché servizi di trasporto dei pazienti, che riguardano sia il complesso edilizio del dipartimento di medicina universitaria, tra cui i locali adibiti alla cura dei pazienti (stanze di degenza, corridoi e sale operatorie) quali servizi rientranti nella sfera di attività economica della ricorrente in cui essa agisce come soggetto passivo IVA, sia i locali inerenti allo svolgimento delle attività svolte in quanto pubblica autorità (quelli utilizzati come aule e laboratori per la formazione degli studenti), riguardo alle quali non è considerata soggetto passivo ai fini dell'IVA.

La percentuale di superficie totale da pulire del complesso destinata alle attività esenti si aggira intorno al 7,6% della superficie totale del medesimo complesso.

A seguito di verifica fiscale, l'Ufficio tedesco riteneva che i vari settori di attività della ricorrente dovessero costituire un'unica impresa, considerando altresì i servizi di pulizie ricevuti in quanto pubblica autorità quali servizi forniti nell'ambito del rapporto di unità fiscale esistente tra la ricorrente e la società prestatrice.

Sosteneva, altresì, che i servizi citati erano funzionali ad un'attività di natura non commerciale, dando luogo ad una prestazione in natura (gratuita) alla ricorrente e, sulla base della proporzione delle aree oggetto dei servizi di pulizie riconducibili al settore di attività svolta nell'esercizio di pubblica autorità, l'Ufficio determinava una maggiore IVA.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

Di fatto il Fisco tedesco riteneva che, nei limiti in cui i servizi di pulizia erano stati forniti alla capogruppo per le attività per le quali essa non era considerata assoggettata all'IVA, esse erano state fornite «per fini estranei all'impresa», dando luogo a favore della società madre ad una «prestazione di servizi a titolo gratuito, assimilata a una prestazione di servizi a titolo oneroso», ai sensi dell'art. 6, par, 2, lett. b), della Sesta Direttiva IVA 77/388 (attuale art. 26, par. 1, lett. b), della Direttiva IVA 2006/112) e su tale base aveva maggiorato l'importo dell'IVA dovuta dalla capogruppo.

La domanda di pronuncia pregiudiziale alla base della causa C-184/23 è stata presentata dallo stesso giudice tedesco nell'ambito di una controversia che aveva già dato luogo ad una prima sentenza della Corte UE tra le medesime parti (la C-269/20).

Tale precedente, ai fini della soluzione delle questioni principali, è stato richiamato dal giudice del rinvio ed analizzato dalla Corte UE in C-184/23 unitamente ad un'altra sentenza in materia pronunciata nella causa C‑141/20, quali precedenti che hanno portato il giudice del rinvio a dubitare della soluzione da offrire in sentenza ed a presentare, quindi, una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale.

In C-269/20 (emessa sul primo rinvio del giudice tedesco tra le medesime parti oggetto di C-184/23), in particolare con la seconda questione, veniva chiesto alla Corte UE se, nel caso di un'entità che costituisce il soggetto passivo unico di un gruppo IVA e che svolga da un lato attività economiche per le quali è soggetto passivo e, dall'altro, attività nell'ambito dell'esercizio di pubbliche potestà per le quali non è considerato soggetto IVA, la fornitura, da parte di un'entità appartenente a tale gruppo, di una prestazione di servizi (di pulizia) connessa a tale esercizio esente debba o meno essere considerata come prestazione rientrante nell'ambito dell'attività economica del gruppo IVA e destinata al suo ambito di attività di autorità pubblica, tassabile in forza dell'art. 6, par. 2, lett. b), della sesta direttiva.

Tale previsione, come già interpretata dalla Corte UE, è finalizzata ad evitare che un soggetto passivo ottenga «in esenzione d'imposta prestazioni di servizi del soggetto passivo per le quali un privato avrebbe dovuto versare l'IVA» (v. C-269/20, p. 56 nonché C‑412/03, p. 23), garantendo quindi il rispetto del principio di neutralità dell'imposta, quale applicazione del più generale principio di «parità di trattamento fra il soggetto passivo che prelevi un bene o che fornisca servizi per proprie esigenze private o per quelle del proprio personale, da un lato, e, dall'altro, il consumatore finale che si procuri un bene o un servizio dello stesso tipo» (v. tra i tanti C-230/94, p. 35 nonché C-258/95, p. 25).

Si impedisce, in tal modo, che un soggetto passivo che abbia potuto detrarre l'IVA sull'acquisto di un bene destinato alla propria impresa possa sfuggire al pagamento di tale imposta prelevando il bene stesso dal patrimonio della propria impresa per fini privati o per quelli del proprio personale, godendo in tal modo di indebiti vantaggi rispetto al consumatore ordinario che acquisti il bene pagando l'IVA (v. C-20/91, p. 15).

Al secondo quesito in C-269/20, la Corte rispondeva argomentando circa l'inapplicabilità dell'art. 6, par. 2, lett. b) citata al caso esaminato, dal momento che nel caso in cui un soggetto passivo unico di un gruppo IVA benefici di una prestazione di servizi, da parte di un'entità appartenente a tale gruppo, destinata al suo ambito di attività di autorità pubblica, «ritenere che una siffatta prestazione sia imponibile ai sensi della norma richiamata equivarrebbe a considerare che detta prestazione sia effettuata per fini estranei all'impresa e quindi ad equiparare l'attività di autorità pubblica che si colloca al di fuori dell'ambito di applicazione dell'IVA», di fatto svuotando di significato sia l'articolo 2, punto 1, sia l'articolo 4, paragrafo 5, della sesta direttiva.

La Corte concludeva dichiarando che il diritto UE deve essere interpretato nel senso che, «nel caso in cui una tale società effettui attività economiche per le quali è soggetto passivo dell'IVA e attività nell'ambito dell'esercizio di pubbliche potestà, per le quali non è considerata soggetto passivo dell'IVA in forza dell'articolo 4, paragrafo 5, di tale direttiva, la fornitura, da parte di un'entità appartenente a detto gruppo, di una prestazione di servizi inerente a tale esercizio, non deve essere tassata» in forza dell'art. 6, par. 2, lett. b), su richiamata.

Quanto al richiamo al coevo precedente C-141/20 (emesso in pari data di C-269/20), i dubbi del giudice del rinvio, alla base di C-184/23, riposavano su due argomentazioni giuridiche.

Con la prima si chiedeva se le prestazioni fornite a titolo oneroso tra soggetti che fanno parte dello stesso gruppo IVA rientrino nel campo di applicazione dell'IVA, ciò alla luce dell'incertezza rilevata (in seno al giudicante) dalle argomentazioni spese dalla Corte UE ai punti da 77 a 80 della sentenza C‑141/20.

In tale ultimo precedente la Corte, ribadendo che il presupposto per l'imponibilità ai fini IVA di una prestazione è l'esistenza di un rapporto giuridico tra le parti dell'operazione, all'interno del quale sia valorizzabile «uno scambio di reciproche prestazioni» (sinallagma, rich. C‑7/13, p. 24), ricorda che, nell'ambito del gruppo IVA, tale rapporto tra una entità e gli altri membri di tale gruppo ai fini dell'assoggettamento all'IVA richiede che l'entità stessa che offre il servizio «svolga un'attività economica indipendente» (per i criteri di riferimento di un'attività svolta «a nome e per conto proprio e sotto la propria responsabilità» sopportando i rischi economici, v. C‑7/13, p. 25 nonché C‑420/18, p. 39).

In C-141/20, quindi, preso atto che in qualità di unico soggetto passivo e di rappresentante del gruppo IVA la società madre era incaricata di presentare la dichiarazione dei redditi a nome di tutte le entità facenti parte di tale gruppo, la Corte deduce come «resta il fatto che … tali entità sopportano esse stesse i rischi economici connessi all'esercizio delle rispettive attività economiche», non potendo in alcun modo essere considerate come «entità non indipendenti» per il solo fatto di appartenere ad un gruppo IVA.

Concludeva poi che dalla direttiva (tanto la 77/388 quanto la 2006/112) non è consentito dedurre che il requisito dello svolgimento di «attività economiche indipendenti» (a cui si affianca quello dello stabilimento delle singole entità all'interno del medesimo territorio, come chiarito in C-7/13, p. 32) venga meno a fronte dell'esigenza che tali entità siano «strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici e organizzativi».

Ciò perché la norma unionale in materia non prevede «che l'esistenza di simili rapporti comporti l'esercizio di un'attività economica non indipendente da parte di un'entità del gruppo diversa dalla società madre», così escludendo che tale entità cessi di svolgere attività economiche indipendenti per il solo fatto di appartenere al gruppo IVA.

Con la seconda questione in C-184/23 il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte se le prestazioni «non debbano, in ogni caso, essere assoggettate all'IVA nel caso in cui il destinatario della prestazione non sia o sia solo parzialmente legittimato alla detrazione dell'imposta dovuta o pagata a monte, per evitare il “rischio di perdite del gettito fiscale”», ciò in ossequio alle argomentazioni espresse dalla Corte in C‑141/20 e C‑269/20 con cui si riconosceva la legittimità della norma statuale in tema di gruppo IVA a condizione che l'attuazione del regime speciale concesso dalla direttiva «non comporti un rischio di perdite di gettito fiscale».

Osservazioni

Le due questioni pregiudiziali sollevate in C-184/23 sono naturale conseguenza dell'assenza di un precedente della Corte circa l'assoggettamento o meno ad IVA delle operazioni interne al gruppo IVA.

Si è accennato alla circostanza, derivante dalla direttiva, che l'art. 4 della sesta direttiva (attuale art. 11 della direttiva IVA) consente ad ogni Stato membro di considerare come un unico soggetto passivo più entità, stabilite all'interno dello stesso territorio, che siano giuridicamente indipendenti ma vincolate tra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi, senza che sia data la possibilità agli Stati di individuare ulteriori requisiti al fine di valorizzare l'evidenza di un gruppo IVA.

L'istituto consente alle singole entità, secondo le indicazioni fornite nel tempo dalla Corte UE sin da C-162/07, di cessare di essere considerate distinti soggetti passivi ai fini dell'IVA per essere invece valutate ai fini IVA come un unico soggetto passivo (la legge tedesca parla di «unità fiscali», v. C-141/20, p. 52), escludendo che i membri del gruppo IVA continuino a presentare separatamente dichiarazioni IVA e continuino ad essere individuati, all'interno e all'esterno del gruppo, quali soggetti passivi, dato che solo il soggetto passivo unico è autorizzato a presentare tali dichiarazioni previa assegnazione al gruppo di un unico numero di partita IVA (v. l'art. 214 della direttiva IVA nonché C-162/07 p.20, e C-141/20, p. 46).

Da ciò discende che, in punto di detrazione dell'IVA a monte, in applicazione dell'art. 11 della direttiva iva il diritto spettante alle singole entità «non viene esteso» ma è limitato alle sole attività soggette ad IVA effettuate dal gruppo (v. le concl. dell'avv. gen. Jääskinen in C‑85/11, par. 43).

Quanto all'incidenza dell'IVA di gruppo sul diritto a detrazione, già nella Comunicazione della Commissione COM(2009) 325 def., par. 3.5.2., si prendeva atto che «una delle conseguenze più importanti» della costituzione di un gruppo IVA (creato con la Seconda direttiva 67/228/CEE, al punto 2 del suo All. A) è la «scomparsa, sotto il profilo dell'IVA, delle operazioni effettuate tra i membri del gruppo», aspetto che genera, però, un effetto neutrale (per il gettito erariale) solo nei casi di un gruppo IVA «consistente soltanto di soggetti passivi con diritto a detrazione totale».

Viceversa, nei casi di un gruppo IVA composto anche di soggetti passivi senza diritto o con diritto parziale a detrazione (da qui l'ulteriore dubbio del giudice del rinvio in C-184/23), l'effetto sul gettito erariale IVA «potrebbe non essere più neutro», perché in tal caso l'IVA non detraibile che dev'essere versata per operazioni infra gruppo «è infatti persa per l'Erario», data l'inesistenza delle operazioni interne ai fini dell'IVA (di qui l'evidente beneficio economico derivante dalla «autoproduzione interna» di beni e/o servizi).

Tale vantaggio finanziario di neutralizzazione dei costi ai fini dell'imposta, per i gruppi IVA che comprendono membri senza diritto o con diritto a detrazione parziale, è stato giudicato dall'avv. gen. Jääskinen in C‑85/11 (v. par. 46), condivisibilmente, «un effetto inevitabile che deriva dalla scelta di politica tributaria di base di uno Stato membro di autorizzare l'IVA di gruppo».

Quanto poi al soggetto giuridico che deve ricoprire il ruolo di «unico interlocutore che assume gli obblighi IVA del gruppo nei confronti dell'amministrazione fiscale», in assenza di alcuna prescrizione nella direttiva circa la designazione dell'entità rappresentativa del gruppo IVA o della forma con cui essa deve assumere gli obblighi di soggetto passivo, tale ruolo può essere ricoperto anche dalla società madre, qualora questa «sia in grado di imporre la propria volontà nei confronti delle altre entità facenti parte del gruppo, in modo da garantire l'esatta riscossione dell'IVA» e non vi sia il rischio di perdite di gettito fiscale (v. C-141/20, p. 56 e ss.).

Quanto alla caratteristica principale del regime speciale inaugurato con la seconda direttiva, è stato ricordato dall'avv. gen. L. Medina, nelle proprie conclusioni in C-141/20 (v. p. 2 e 83), come «i gruppi IVA sono una finzione giuridica ai fini dell'IVA ai sensi della sesta direttiva che consente di trattare i suddetti gruppi in quanto tali allo stesso modo di un singolo soggetto passivo registrato ai fini dell'IVA».

Il fine è quello sia di semplificare gli adempimenti IVA, facilitando la dichiarazione IVA dei gruppi di società che «possono così presentare un'unica dichiarazione IVA consolidata a copertura delle attività di tutti i membri del gruppo», sia di combattere gli abusi fiscali, senza dover altresì «contabilizzare l'IVA sui beni ceduti e sui servizi prestati tra membri del gruppo».

Tali conclusioni richiamano le argomentazioni espresse al punto 3.2 della comunicazione della Commissione in COM(2009) 325 final («Obiettivo principale dell'opzione di IVA di gruppo»), ove si legge che un «gruppo IVA potrebbe essere descritto come una “finzione” creata ai fini dell'IVA, in cui la sostanza economica prevale sulla forma giuridica. Un gruppo IVA è un genere particolare di soggetto passivo che esiste soltanto ai fini dell'IVA. Si basa su reali vincoli finanziari, economici ed organizzativi tra imprese. Benché ogni membro del gruppo mantenga la propria forma giuridica, la costituzione del gruppo IVA prevale, soltanto ai fini dell'IVA, sulle forme giuridiche basate, ad esempio, sul diritto civile o sul diritto societario».

L'adesione al gruppo IVA, quindi, produce l'astrazione del singolo membro «da qualsiasi forma giuridica possibile», mediante l'ingresso in un nuovo soggetto passivo distinto ai fini dell'IVA (il gruppo), potendo il singolo conservare il proprio numero d'identificazione individuale soltanto per consentire alle amministrazioni fiscali un «controllo delle attività interne del gruppo IVA».

Di conseguenza le prestazioni di servizi effettuate da un terzo a favore di un membro del gruppo IVA devono essere considerate, ai fini dell'IVA, «come effettuate a favore non di un membro, ma dello stesso gruppo IVA cui il medesimo appartiene» (v. C‑7/13, p. 29; C‑77/19, p. 46; C‑812/19, p. 28).

Dall'unicità giuridica formata delle singole entità del gruppo IVA, già l'avv. gen. A. Rantos, nelle proprie conclusioni a C-184/23 (v. p. 44), deduceva che «le operazioni interne, vale a dire le prestazioni fornite a titolo oneroso tra i membri di un gruppo IVA, non ricadono nel campo di applicazione dell'IVA», diventando soggetto passivo il gruppo stesso e venendo meno l'obbligo tributario distinto dei singoli membri (v. anche le concl. dell'avv. gen. Jääskinen in C‑85/11, par. 42 e C‑480/10, par. 40; nonché le concl. dell'avv. Kokott in C-533/22, p. 33, che riferisce di un'assenza dell'operazione nei rapporti interni al fine di assicurare «una certa neutralità organizzativa»).

Di qui, le operazioni effettuate all'interno del gruppo tra i singoli membri (e che ivi restano) vanno considerate come effettuate dal gruppo per sé stesso e, di conseguenza, sono inesistenti ai fini IVA, costituendo dei meri “flussi interni” non imponibili (v. le concl. dell'avv. gen. Mengozzi in C‑108/14, par. 49 e dell'avv. Jääskinen in C‑85/11, par. 42; nonché gli orientamenti della riunione n. 119 del Comitato IVA del 22 novembre 2021).

Mentre le operazioni poste in essere dalla singola entità del gruppo IVA verso un soggetto IVA esterno vanno considerate come effettuate dall'unico soggetto passivo (il gruppo) che sarà altresì debitore della relativa imposta (v. C‑812/19, p. 28).

Richiamando le conclusioni dell'avv. Santos (v. par. 44 e 45), nella causa in commento (C-184/23) la Corte conclude, condivisibilmente, circa l'esclusione dal campo di applicazione dell'IVA dell'operazione posta in essere dalla singola entità del gruppo IVA a favore di un analogo soggetto del gruppo, ciò a fronte della perdita della natura giuridica “individuale” di soggetto passivo, cosicché non occorre di conseguenza indagare se tale prestatore soddisfi il requisito dell'indipendenza previsto dalla direttiva quando fornisce una prestazione a titolo oneroso ad un'altra entità del gruppo (v. i p. 40-42 in sentenza).

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