Usucapione: uso uti condominus e uti dominus del bene comune

20 Settembre 2024

La sentenza in commento affronta la complessa questione dell'usucapione di un bene comune da parte di un condomino. La complessità si accentua - quanto alla prova del possesso - se il bene oggetto della domanda di usucapione sia un bene il cui possesso (rectius, compossesso) è solo teorico e astratto (come, per esempio, nel caso della facciata condominiale) e se il bene comune (come, per esempio, il cortile) sia gravato da servitù in favore di un altro condomino. Infatti, per l'usucapione di un bene comune, è necessario non solo il possesso dell'agente ma anche l'esclusione dal compossesso degli altri condomini. In mancanza, si è di fronte ad un utilizzo del bene comune uti condominus a norma degli artt. 1102, 1120, ultimo comma e 1122 c.c.

Massima

Il godimento pur esclusivo della cosa comune da parte di uno dei comproprietari non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem risultando necessario, a fini della usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando I'onere della relativa prova su colui che invochi I'avvenuta usucapione del bene. Non basta, dunque, che gli altri condomini si astengano dall'uso del bene ma occorre che il condomino interessato dimostri di aver goduto del bene in modo esclusivo e palese, tale da escludere gli altri. Fattispecie in materia di installazione di una scala che dal balcone al primo piano scendeva nel giardino comune, gravato da servitù perpetua non aedificandi e servitù perpetua di sosta pedonale a favore dell'unità immobiliare al piano seminterrato.

Il caso

Con atto di citazione, un condomino ha citato in giudizio il condominio in persona dell'amministratore e tutti gli altri condòmini personalmente per sentir dichiarare che il cortile/giardino insistente nell'edificio condominiale ove è stata posizionata la scala in ferro costituisce un bene di natura condominiale ex art. 1117 c.c. - sebbene gravato da servitù perpetua non aedificandi e da servitù perpetua di sosta pedonale a favore dell'appartamento al piano terreno/seminterrato - e per sentire dichiarare di avere esercitato unitamente ai suoi danti causa e genitori, per oltre un ventennio in modo continuativo e indisturbato il possesso della scala in ferro e della porzione di terreno ove la stessa poggia, con conseguente intervenuta usucapione (ex art. 1158 c.c.) della proprietà della scala della proprietà del fondo e/o della servitù di accesso al fondo.

Si costituivano in giudizio il condominio ed i condomini personalmente, eccependo l'inammissibilità, l'improcedibilità e l'infondatezza a norma dell'art. 1158 c.c. della domanda dell'attore finalizzata all'acquisto della proprietà del giardino e/o della servitù di passaggio sul bene comune. I convenuti formulavano anche domanda riconvenzionale di rimozione della scala per violazione del decoro architettonico e delle simmetrie dell'edificio, anche a norma dell'art. 949 c.c., con richiesta di ripristino dello status quo, oltre alla domanda di danni.

La questione

Il Tribunale milanese affronta la questione dell'usucapione di un bene comune sotto tre profili:

a) quali siano gli atti che importino l'interversione del possesso (o l'esclusione del godimento altrui) rispetto ad un bene comune, tenuto conto che il comproprietario può utilizzare il bene comune uti condominus a norma dell'art. 1102 c.c.;

b) a chi spetti l'onere della prova del possesso e dell'esclusione dei compossessori;

c) l'irrilevanza degli atti di mera tolleranza.

Le soluzioni giuridiche

Il ragionamento del Tribunale di Milano prende le mosse dai seguenti presupposti: il cortile\giardino è un bene condominiale gravato da servitù in favore del proprietario del piano terra/seminterrato; negli anni novanta i danti causa dell'attore hanno installato una scala che dal balcone al primo piano dell'immobile di loro proprietà conduce al sottostante giardino condominiale; l'installazione della scala non è mai stata autorizzata dai comproprietari del cortile\giardino; nel 1992, i danti causa dell'attore stesso per il tramite del loro legale hanno confermato, con confessione stragiudiziale, che il bene era condominiale e hanno preso atto che i condòmini avevano richiesto la rimozione delle opere non autorizzate, tra cui la scala.

In tale contesto, il Tribunale milanese richiama l'orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte per il quale, “In tema di possesso ad usucapione di beni immobili, la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà si perfeziona allorché il comportamento materiale continuo ed ininterrotto attuato sulla res sia accompagnato dall'intenzione resa palese a tutti di esercitare sul bene una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, sicché - in materia di usucapione di beni oggetto di comunione - il comportamento del compossessore, che deve manifestarsi in un'attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, deve rivelare in modo certo ed inequivocabile l'intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo” (Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2003, n. 11419; Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2006, n. 21068; Cass. civ., sez. II, 20 settembre 2007, n. 19478; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2009, n. 17462).

Nel caso di specie, l'attore non ha provato la sussistenza dell'animus possidendi come risulta dalla stessa confessione stragiudiziale dei danti causa dell'attore che implicitamente riconoscono il bene come condominiale sin dal 1992.

Gli stessi principi - precisa il Tribunale di Milano - devono valere in relazione all'acquisto per intervenuta usucapione della servitù di accesso dalla scala al cortile/giardino comune e di passo e sosta sul cortile/giardino condominiale in oggetto atteso che, a prescindere dalla qualificazione della detta scala, (se bene mobile o immobile), manca in atti la prova che l'accesso al giardino de quo fosse inteso come diritto uti dominus o che I'attore (ed i suoi danti causa) esercitassero il diritto reale sulla cosa. Fermo restando che la mera tolleranza dei comproprietari al passaggio, peraltro non continuativo, dal balcone al cortile/giardino per il tramite della scala ritenuta esplicitamente abusiva, non ha valenza. Come non ha valenza la coltivazione del fondo da parte dell'agente.

Osservazioni

La tematica dell'acquisto per usucapione di un bene comune è materia particolarmente complessa in ambito condominiale. Tanto più ove le opere visibili e permanenti destinate all'utilizzo del bene insistano su parti comuni come la facciata o il cortile, il cui utilizzo e il cui possesso esclusivo/o compossesso non può facilmente configurarsi in “concreto”, ma soltanto in via teorica e astratta. In quest'ottica diventa particolarmente complessa la prova per l'agente del possesso esclusivo utile all'usucapione. Ed invero il condomino utilizza “normalmente” il bene comune in base ai principi e nei limiti di cui agli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c. In quest'ottica, il semplice prolungamento di un balcone e l'installazione di una scala sulla facciata comune difficilmente possono valere all'acquisizione per usucapione di un diritto reale. Quanto poi al giardino gravato da servitù perpetua non aedificandi e da servitù perpetua di sosta pedonale in favore della proprietà al piano terra/seminterrato, la situazione non cambia. Ed invero anche nel caso in cui il bene comune sia gravato da “servitù perpetua” in favore di un condòmino, si è comunque in presenza di un diritto reale di godimento su cosa parzialmente altrui. Senonchè la sussistenza della servitù perpetua in favore del proprietario dell'appartamento al piano terra e seminterrato non esaurisce tutte le facoltà dominicali spettanti agli altri condòmini e all'agente che rimane, dunque, tenuto a fornire la prova dell'esclusione del possesso altrui nei confronti del titolare della servitù e degli altri condòmini (salvo ricadere nell'ambito dell'art. 1102 c.c.).

L'uso individuale da parte del condòmino titolare del diritto di servitù di sosta pedonale (cioè del proprietario del locale al piano terra/seminterrato), non esclude, infatti, le residue potenziali utilità ritraibili dall'area comune da parte degli altri condòmini: utilizzo del sottosuolo e dello spazio sovrastante al suolo; potenziale passaggio sull'area per l'esecuzione di opere straordinarie nei rispettivi appartamenti; godimento della veduta; diritto di impedire all'usuario di eseguire opere che alterino le caratteristiche e la destinazione dell'area ed altro.

Respinta la domanda di usucapione, ci pare significativo che il Tribunale di Milano abbia accolto la domanda di rimozione della scala e di ripristino dello status quo portata avanti dal condominio e dai condòmini, a nulla rilevando il decorso del tempo. Inquadrato, infatti, l'uso da parte dell'agente nell'àmbito dell'art. 1102 c.c., il Tribunale di Milano ha correttamente rilevato che l'azione dei condòmini a tutela della proprietà è perseguibile senza limiti temporali quanto al diritto di ottenere la rimozione dell'opera illegittima (Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427; App. Milano 23 maggio 2023, n. 1654).

Riferimenti

Rezzonico M. , Manuale del condominio, Rimini, 2023;

Petrelli , Condominio negli edifici, “usi esclusivi” e “usi individuali”, in Riv. notariato, 2021, fasc. 2;

Matteo Rezzonico, Silvio Rezzonico e Luca Rezzonico , Proprietà diritti reali e condominio, Milano, 2017.

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