Caduta del pedone su lastra di ghiaccio: responsabilità da custodia o evento fortuito?
23 Settembre 2024
Massima Nel caso di caduta di pedone su un'ampia lastra di ghiaccio, visibile e, dunque, prevedibile ed evitabile con l'ordinaria diligenza, va escluso il carattere di insidia atta ad integrare la responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. e, conseguentemente, il nesso eziologico tra la res e l'evento di danno dovendosi, al contrario, ritenere che la condotta imprudente dello stesso danneggiato abbia avuto incidenza causale esclusiva interrompendo quel nesso e degradando la cosa a mera occasione. Il caso Una donna, lamentando di essere caduta a terra a causa di una lastra di ghiaccio presente sul manto stradale, non segnalata né tempestivamente visibile per la presenza di acqua formatasi dallo scioglimento della neve accumulata ai bordi strada, conveniva in giudizio il Comune e la di lui compagnia di assicurazione per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'incidente. Si costituivano in giudizio entrambi i convenuti resistendo alla domanda e chiedendone il rigetto sull'assunto che l'evento dannoso si fosse verificato per un mero caso fortuito ed, in particolare, per la condotta gravemente imprudente e negligente della stessa pedona la quale, incurante delle condizioni proibitive in cui la strada, peraltro in pendenza, visibilmente si trovava a causa della neve e del ghiaccio e, dunque, malgrado lo stato del luogo e la rigida temperatura sconsigliasse di percorrerla o, quantomeno, imponesse di procedere con la massima attenzione, non solo decideva di recarsi all'isola ecologica, posta a pochi metri di distanza dalla propria abitazione, per depositare i rifiuti ma, finanche, non si curava di scegliere il percorso più idoneo a consentirle di evitare la lastra di ghiaccio. Espletata la CTU medico-legale sulla persona della pedona, il Tribunale, ritenuta la causa matura per la decisione sulla base delle allegazioni e delle riproduzioni fotografiche dello stato del luogo prodotte dalla medesima danneggiata, pronunciava sentenza ex art. 281-sexies c.p.c. rigettandone la domanda sul presupposto che andava escluso che l'ampio strato di ghiaccio non fosse tempestivamente avvistabile e, dunque, prevenibile ed evitabile adottando l'ordinaria diligenza sicché il comportamento imprudente della stessa, integrando il caso fortuito che interrompe il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, mandava esente il Comune da responsabilità. La questione Nel caso di danno cagionato da cose in custodia, è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. la dimostrazione che la caduta del pedone sia avvenuta a causa della sua condotta imprudente per non aver evitato, benché visibile, una situazione potenzialmente pericolosa? Le soluzioni giuridiche Il Tribunale, con la sentenza in commento, per quanto qui di interesse, dopo aver premesso l'inquadramento della fattispecie nell'ambito previsionale dell'art. 2051 cc, osserva anzitutto come, trattandosi di responsabilità oggettiva, al danneggiato competa unicamente l'onere di provare l'evento dannoso ed il nesso di causalità con la cosa in custodia che lo ha determinato, mentre al convenuto spetti di offrire la prova liberatoria sotto forma della fortuità dell'evento, cui si imputa il danno, fermo che il fortuito liberatorio possa essere identificabile anche nella stessa condotta del danneggiato (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2014, n. 999; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2011, n. 15375). Alla luce del predetto criterio e delle espletate incombenze istruttorie, osserva, poi, il Tribunale come proprio quest'ultima circostanza del fortuito liberatorio ricorreva nella fattispecie in esame, ossia che la danneggiata fosse caduta a causa di una propria disattenzione. Ed, invero, evidenzia il Tribunale che, dalla documentazione versata in atti, fosse emerso che il sinistro si era verificato in una soleggiata giornata invernale e che, nei giorni precedenti, vi erano state precipitazioni nevose ed un clima particolarmente rigido. Ebbene, in tale contesto era, pertanto, pienamente prevedibile, secondo un criterio di comune diligenza, che le strade ed i marciapiedi in genere potessero essere interessati da formazioni di ghiaccio e, quindi, pericolose per la circolazione e ciò, a maggior ragione, se, come nel caso in esame, la neve ammonticchiata ai bordi della via, irradiata dal sole, si era, dapprima, sciolta per, poi, repentinamente formare pericolose lastre di ghiaccio nelle zone ombrose a causa delle basse temperature. Evidenzia, altresì, il Tribunale che, come allegato dalla medesima danneggiata, l'isola ecologica in questione era posta in una strada “in discesa” e, quindi, ancor più insidiosa in caso di fondo ghiacciato ma, ciononostante, la pedona si era avventurata al di fuori della propria abitazione, senza adottare le opportune e speciali cautele, di talché la responsabilità del sinistro era dipeso esclusivamente dalla sua imprudenza, atteso che le condizioni del tempo e le recenti nevicate avrebbero dovuto consigliarle di muoversi con la dovuta cautela atta a scongiurare il pericolo della rovinosa caduta, poi avvenuta. Nondimeno, osserva il Tribunale che la danneggiata ben conosceva l'area teatro del sinistro, essendo l'isola ecologica posta a pochissima distanza dalla propria abitazione e che, quel giorno, come da documentazione fotografica prodotta dalla medesima danneggiata, l'intera strada era interessata da ghiaccio ben visibile sicché l'allegazione secondo cui l'ampio strato di ghiaccio fosse “celato” dall'acqua non solo non era stata provata ma, anzi, era smentita proprio dalle fotografie che fornivano una percezione chiara della presenza di solo ghiaccio, notato, peraltro, anche dai soccorritori i quali, infatti, riuscivano ad intervenire per assistere l'infortunata senza incorrere, a loro volta, in cadute. Infine, evidenzia il Tribunale che non erano neppure stati allegati elementi ulteriori che potessero indurre a ritenere che, secondo l'id quod plerumque accidit, la danneggiata non fosse perfettamente in grado di evitare pericoli di tal genere con la dovuta pur minima attenzione certamente esigibile. Il Tribunale, in conclusione, ritenuta insussistente la prova dalla quale poter trarre un positivo convincimento favorevole circa l'effettiva sussistenza del carattere d'insidia, essendo di contro provato che la presenza della lastra di ghiaccio era prevedibile ed evitabile da parte di una persona adottando l'ordinaria diligenza, rigetta la domanda condannando la danneggiata al pagamento delle spese di lite di entrambi i convenuti. Osservazioni Secondo l'ormai consolidato orientamento della S.C., il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte del danneggiato del nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento di danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa ed evento, ed è comprensivo anche della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva (Cass. civ., sez. VI, 30 ottobre 2018, n. 27724). Tale principio è stato recentemente ribadito, con alcune precisazioni. E' stato, infatti, chiarito che, in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con il bene, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione, da parte del danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle concrete circostanze di fatto, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2023, n. 11152; Cass. civ., sez. VI, 3 aprile 2019, n. 9315; Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2018, n. 2477-2478-2479-2480-2481-2482-2483). Inoltre, sempre secondo il consolidato orientamento della S.C., il principio per il quale l'utente della strada deve poter fare affidamento sull'apparente transitabilità della stessa è limitato da quello di autoresponsabilità, in base al quale l'utente è gravato di un onere di particolare attenzione nell'esercizio dell'uso ordinario e diretto del bene demaniale sicché va ritenuta assorbente la circostanza che l'anomalia presente sul manto stradale si presenti in maniera assolutamente visibile e, dunque, prevedibile ed evitabile, sia per le apprezzabili dimensioni che per le condizioni temporali e ambientali (Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 30/10/2018, n. 27724). Infatti, ai fini della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., il caso fortuito può essere integrato anche dalla colpa del danneggiato, poiché la pericolosità della cosa, specie se nota o comunque facilmente rilevabile dal soggetto che entra in contatto con la stessa, impone un obbligo massimo di cautela, proprio perché il pericolo è altamente prevedibile e tale prevedibilità, con l'ordinaria diligenza, è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode (Cass. civ., sez. VI, 6 luglio 2015, n. 13930). Ne consegue che quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione che va compiuta sul piano del nesso eziologico ma che, comunque, sottende sempre un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela sicché, ove la condotta del danneggiato assurga, per l'intensità del rapporto con la produzione dell'evento, al rango di causa esclusiva dell'evento e del quale la cosa abbia costituito la mera occasione, viene meno appunto il nesso causale tra la cosa custodita e quest'ultimo e la fattispecie non può più essere sussunta entro il paradigma dell'art. 2051 c.c., anche quando la condotta possa essere stata prevista o sia stata comunque prevedibile, ma esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale (Trib. Marsala, 16 ottobre 2023, n. 706) Infatti, come di recente precisato dalla S.C., la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno della condotta del danneggiato (rientrante nella categoria dei fatti umani), caratterizzata dalla colpa ex art. 1227 c.c. e dalla oggettiva imprevedibilità rispetto all'evento pregiudizievole intesa, quest'ultima, non nel senso della assoluta impossibilità di prevedere l'eventualità di una condotta imprudente, negligente o imperita della vittima (che è sempre possibile prevedere), ma nel senso del rilievo delle sole condotte “oggettivamente” non prevedibili secondo la normale regolarità causale in una determinata situazione in quanto costituente violazione dei doveri minimi di cautela la cui osservanza è normalmente prevedibile (oltre che esigibile) da parte della generalità dei consociati e la cui violazione, di conseguenza, è da considerarsi, sul piano puramente oggettivo della regolarità causale (non quindi, con riferimento al piano soggettivo del custode), non prevedibile né prevenibile (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2023, n. 11152). Da quanto precede, è, allora, evidente, che la questione della soggettiva prevedibilità o meno della condotta colposa del danneggiato da parte del custode, non entra affatto nella struttura logico-giuridica della fattispecie del caso fortuito, la quale opera esclusivamente sul piano oggettivo e causale. In conclusione, dunque, se, da un lato, il custode si presume responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione stessa della cosa custodita e delle sue pertinenze, dall'altro, su tale responsabilità ben può influire la condotta imprudente della vittima, la quale, tuttavia, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove possa qualificarsi anche come imprevedibile - da intendersi da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata) -, perché estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso nella causazione dell'evento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. essendo la disattenzione sempre prevedibile come evenienza (Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2016, n. 15761). Elide, allora, il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento dannoso soltanto una condotta colposa della vittima che rivesta, anche, il carattere di una oggettiva imprevedibilità tale da poterla ritenere “eccezionale”, cioè manifestamente estranea ad una sequenza causale “ordinaria” o "normale" che corrisponde allo sviluppo potenzialmente possibile in un dato contesto secondo l'id quod plerumque accidit, ed autonomamente idonea a produrre l'evento escludendo fattori causali concorrenti (Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2011, n. 21286). In tale cornice, dunque, compito del giudice di merito sarà quello di indagare non solo se la condotta concretamente tenuta dalla vittima da cose in custodia sia stata, nel caso concreto, negligente perché difforme da quella che avrebbe tenuto una persona di normale avvedutezza secondo lo schema di cui all'art. 1176 c.c., ma, altresì, se detta condotta fosse prevedibile o meno ossia se il custode, valutando con giudizio ex ante, potesse “ragionevolmente” attendersi una condotta negligente da parte dell'utente delle cose affidate alla sua custodia. |