Danni provocati dall’impianto di scarico condominiale e prova del pregiudizioFonte: Trib. Massa , 27 marzo 2024
10 Ottobre 2024
Massima In tema di responsabilità civile da inadempimento di contratto, non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì esser provato il pregiudizio effettivo e reale incidente nella sfera patrimoniale del contraente danneggiato, principio che, mutatis mutandis, può applicarsi anche alla responsabilità extracontrattuale, nel senso che il danneggiato, il quale chieda in giudizio il risarcimento di un danno, è tenuto a provare ex art. 2697 c.c. di aver subìto un'effettiva lesione del proprio patrimonio o di aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può, al riguardo, avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base, però, di elementi indiziari da allegare e provare da parte del preteso danneggiato che possano sorreggere il convincimento sia dell'esistenza di tale danno conseguenza, sia del suo collegamento causale con l'evento lesivo. Il caso La Società attrice conveniva in giudizio il Condominio per il risarcimento dei danni provocati dall'impianto di scarico fognario nei locali di proprietà, allegando la relazione di un professionista e quantificando gli importi della merce danneggiata in euro 14.250,00 e degli arredi in euro 7.060,00. Il Condominio convenuto si costituiva in giudizio, contestando le pretese attoree e chiamando in causa la propria Compagnia di assicurazioni. Quest'ultima si costituiva eccependo l'inoperatività della polizza, in assenza di copertura per i danni da occlusione e trabocco. La causa veniva istruita mediante l'assunzione di testi (due) e l'esperimento di una consulenza tecnica d'ufficio. Ritenuta sufficiente l'istruttoria espletata, e non essendo stata raggiunta la prova in ordine ai fatti contestati, la causa veniva trattenuta in decisione. Il Tribunale respingeva, quindi, la domanda attorea nei confronti del Condominio e condannava la Società attrice a rifondere al Condominio le spese di lite e, quest'ultimo, a rifondere le spese di lite alla Compagnia di assicurazioni, ritenuta ingiustificata la chiamata in causa. Le spese di CTU venivano poste a carico delle Parti in misura paritaria. La questione Si tratta di considerare la legittimità della richiesta di risarcimento formulata dalla Società proprietaria di un esercizio commerciale nei confronti del Condominio ove essa è inserita, per i danni provocati dall'impianto di scarico fognario, sulla base della nota responsabilità per cose in custodia di cui il Condominio è chiamato a rispondere ex art. 2051 c.c., nonchè l'importanza dell'onere del richiedente di provare tanto la riconducibilità dell'evento dannoso ad un tratto della proprietà comune della conduttura, quanto la provenienza dei danni lamentati dall'evento descritto, sia sotto il profilo dell'an che del quantum. Le soluzioni giuridiche Il Tribunale di Massa è chiamato a decidere sulla richiesta avanzata da una società proprietaria di un esercizio commerciale, sito all'interno del Condominio, per i danni sofferti a causa da eventi riconducibili a beni comuni, quale l'impianto di scarico fognario condominiale. Parte attrice documenta la propria domanda risarcitoria mediante il deposito di una relazione di parte che rileva delle criticità. Secondo il giudice di primo grado, detta relazione forniva la prova della contaminazione da liquami dei locali della società attrice senza, però, fornire un adeguato accertamento se i danni fossero riconducibili ad un tratto comune - o di proprietà individuale - della conduttura in esame. Essa, inoltre, non assolveva all'onere di provare la determinazione dei danni lamentati, limitandosi a dichiarare che, pur se contaminati in modesta misura, gli arredi e i beni ivi presenti risultavano inutilizzabili; le foto allegate mostravano merce sporca, senza dare conto del materiale eventualmente compromesso né del suo smaltimento e/o risanamento. Il Tribunale non riteneva raggiunta la prova né con le deposizioni testimoniali - una ritenuta generica e sommaria e, comunque, resa da soggetto legato da un rapporto con l'attrice, l'altra inconferente, posto che non era in grado di individuare il materiale danneggiato - né con la disposta CTU in corso di causa. L'accertamento peritale, infatti, pur elaborando l'elenco di materiali ritenuti danneggiati e corredati dalle relative fatture di acquisto, non può assolvere l'onere di provare che tali beni erano stati deteriorati irrimediabilmente; le fotografie prodotte, invece, mostrano modesti danneggiamenti che, in realtà, giustificano invece una possibile recuperabilità di molti dei materiali, eventualmente a prezzo ridotto (trattasi, infatti, di attrezzature e abbigliamento ciclistico). Stesse considerazioni vengono utilizzate per la valutazione sulla entità e la natura dei danni subiti dagli arredi, così come per la richiesta di ristoro delle spese di pulizie che, oltre che prive di riscontro probatorio, risultano spropositate nel loro ammontare e senza essere indicate dettagliatamente, ai fini di una corrispondente identificazione. Il giudice di prime cure, quindi, rileva che, in materia di responsabilità civile contrattuale, così come in quella extracontrattuale, non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore ma deve, altresì, esser provato il pregiudizio effettivo tale da incidere nella sfera patrimoniale del danneggiato. Invece, sarà possibile una valutazione equitativa del danno da parte del Giudicante solo laddove sussistano carenze insuperabili per la quantificazione del danno. Il Tribunale, poi, a sostegno dei propri assunti, suggerisce come la società attrice avrebbe piuttosto potuto produrre in giudizio una perizia - o un documento di analogo contenuto - che contenesse nel dettaglio una raccolta fotografica di ogni articolo presente all'interno dell'esercizio commerciale che si sussumeva danneggiato, o della prova che ognuno dei suddetti beni fosse stato venduto a sottocosto ed allegando anche la prova della avvenuta pulizia e sanificazione della merce e dei locali. In ragione di quanto sopra, il Giudice respinge la domanda della società attrice nei confronti del Condominio con condanna al pagamento nei confronti di quest'ultimo delle spese di lite. Posto che nelle condizioni di polizza veniva esclusa la risarcibilità dei danni a terzi subiti a causa di occlusioni e rigurgiti dalla rete fognaria (sia pubblica che privata), veniva ritenuta fondata la eccezione sollevata dalla Compagnia di Assicurazioni di inoperatività della polizza in essere e il Tribunale condannava il Condominio a rifondere alla terza chiamata le spese di lite. Osservazioni La pronuncia in esame del Tribunale di Massa si sofferma sulla indiscussa importanza dell'onere della prova quando si avanza una richiesta di risarcimento, nel caso di specie in materia condominiale per i danni provocati da eventi riconducibili ai beni comuni condominiali, nei quali rientra certamente l'impianto di scarico fognario. Nella fattispecie attenzionata parte attrice, pur con l'ausilio di una relazione tecnica di parte - evidentemente carente o inadeguata - avrebbe sì provato la contaminazione dei liquami fognari dei locali dell'esercizio commerciale ma non, invece, se tale evento fosse riconducibile ad un tratto di rete fognaria di proprietà privata oppure comune, e quindi imputabile al Condominio. Inoltre, essa si era resa ancor più inadempiente nella prova dei danni lamentati e della loro determinazione nell'ammontare. Anzitutto, si rammenta che gli impianti di scarico delle acque che vengono utilizzate all'interno delle singole unità abitative di una compagine condominiale confluiscono in una rete di tubazioni per poi essere smaltite all'esterno del fabbricato: precisamente, con l'indicazione "fognatura condominiale" si intende l'insieme di opere e strutture volte a raccogliere le acque chiare piovane e quelle derivanti dai servizi igienici dei vari appartamenti siti nell'edificio condominiale. La rete fognaria, poi, si compone di un sistema di canali di scarico verticali e orizzontali collegati alla fognatura. La proprietà comune condominiale dell'impianto fognario riguarda la cosiddetta “verticale di scarico” e la tubazione posta al disotto dell'edificio che raccoglie i liquami rilasciati dagli scarichi dei singoli appartamenti e che, essendo di proprietà condominiale, impone a tutti i condomini l'obbligo di partecipare alle spese di manutenzione; essa si estende fino al punto di diramazione alle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva. Le tubature orizzontali, invece, ovvero quelle che si trovano in corrispondenza di ciascun piano, sono di proprietà del condomino titolare dell'appartamento a cui la tubatura in questione è a servizio, e sul quale incombe l'onere di spesa della manutenzione. E' evidentemente in ragione della proprietà del tratto di tubazione fognaria - se condominiale o privata - che sono da addebitarsi le spese di manutenzione e l'imputazione del soggetto responsabile al pagamento di eventuali danni arrecati. Come da annosa giurisprudenza di legittimità, è condiviso l'assunto secondo cui “la spesa per la riparazione dei canali di scarico dell'edificio in condominio, che, ai sensi dell'art. 1117, n. 3, c.c., sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli imputati ai locali di proprietà esclusiva dei singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti” (così Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1995, n. 12894), con la dovuta precisazione che “i manufatti, come le fognature e simili, rientrano tra le parti comuni dell'edificio, ai sensi dell'art. 1117, n. 3, c.c., le cui spese per la conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà” (così Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2015, n. 13415). Correttamente parte attrice aveva rivolto la richiesta risarcitoria al Condominio per la fuoriuscita di liquami e la contaminazione della merce presente all'interno del proprio immobile adibito ad uso commerciale, e ciò in considerazione del fatto che gli impianti erano di proprietà del Condominio fino al punto di diramazione alle unità immobiliari di proprietà esclusiva ma, meno correttamente, parte attrice non forniva la prova della individuazione della perdita. Pare, infatti, che la relazione di parte sia manchevole sul punto mentre risulta di fondamentale importanza che, per la configurabilità della responsabilità in oggetto, debba sussiste il nesso causale tra la cosa in comune, e quindi in custodia del Condominio, e il danno causato. In seconda analisi, poi, anche la prova in ordine ai lamentati danni non era stata né esauriente nè convincente. Precisamente, secondo la Suprema Corte citata dal Tribunale di Massa nella parte motiva della sentenza: “in tema di responsabilità contrattuale trova applicazione il principio della presunzione della colpa, spettando all'attore/creditore solo l'onere della prova dell'inadempimento e dell'entità del danno, mentre, di converso, al debitore spetta, per sottrarsi all'obbligo risarcitorio, dimostrare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non imputabili, ex art. 1223 c.c., il risarcimento del danno dovuto all'inadempimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore (danno emergente) che il mancato guadagno (lucro cessante) in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (nesso di causalità fra inadempimento e danno)” (così Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24632). Il Tribunale di primo grado prende a riferimento per la propria disquisizione interpretativa il concetto di danno evento, che consiste nella lesione di un interesse giuridicamente rilevante, e del danno conseguenza - che ricomprende, invece, le conseguenze pregiudizievoli alla lesione della situazione giuridica da proteggere e che si possono specificare nei noti concetti del danno emergente e lucro cessante. Soffermandosi su questo ultimo concetto e, in particolare, sul danno patrimoniale, risulta d'evidenza come esso rilevi secondo il principio di causalità e vada risarcito una volta accertato e provato il danno ingiusto. Nel caso di specie, la relazione di parte risultava insoddisfacente anche sotto questo punto di vista dal momento che nulla veniva dedotto circa l'entità e la natura dei danni subiti dagli arredi e dalla merce danneggiata, il cui contenuto si componeva di mere asserzioni di inservibilità dei beni, di fotografie generiche senza alcuna specifica dei materiali, di sole ricevute di acquisto di per sé non bastevoli. Inoltre, sempre il Tribunale negava la possibilità di avvalersi delle presunzioni per fondare il convincimento della esistenza del danno conseguenza perché difettavano, comunque, gli elementi indiziari da allegare e provare sempre a carico della parte danneggiata. Prendendo un chiaro spunto dalla citata sentenza in parte motiva, si può agevolmente concordare con l'assunto secondo il quale, “se è vero infatti che, come afferma Cass. n. 15111/2013, chi chiede il risarcimento del danno in questione, per assolvere all'onere della prova su di lui incombente ex art. 2697 c.c., può certamente avvalersi di presunzioni (che siano gravi, precise e concordanti), non è però meno vero che egli deve, a tal fine, pur sempre prima allegare e poi dimostrare la sussistenza di elementi indiziari e circostanze fattuali […] idonei a fondare la presunzione che da quella perdita egli abbia tratto un pregiudizio economico” (così Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 2018, n. 31233). Quindi, e sempre prendendo esempio dal percorso logico giuridico che il Tribunale di primo grado ci regala sul contenuto della prova, va rimarcato che la valutazione e liquidazione in via equitativa del danno è pensabile solo con il preventivo accertamento, da parte del giudice, della impossibilità - o estrema difficoltà - di una quantificazione del danno connessa a fattori oggettivi e non, certamente, dalla incuria o negligenza della parte danneggiata, sulla quale incombe pur sempre l'onere di allegazione degli elementi dai quali desumerne l'entità. Infatti, secondo una recente pronuncia della Suprema Corte che merita di essere citata (Cass. civ., sez. VI, 1° marzo 2018, n. 4859), viene cristallizzato l'assunto secondo il quale “l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ciò che non esime, però, la parte interessata - per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso - dall'onere di dimostrare non solo l'an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre”. Riferimenti Bianca, La responsabilità, in Diritto civile, vol. 5, Milano, 2015; Bordolli, Guida alla ripartizione delle spese condominiali, Rimini, 2021, 221; Grasso, Atto lecito dannoso e condominio, in Libro dell'anno del diritto, Roma, 2017; Salvati, La responsabilità da cose in custodia, Milano, 2012. |