Ripetizione di indebito e competenza del tribunale per oneri condominiali versati dal conduttore
09 Ottobre 2024
Massima In relazione alle pretese creditorie che hanno fonte in un contratto di locazione, ancorché di importo non eccedente il limite di € 5.000,00 di cui all'art. 7, comma 1, c.p.c., deve escludersi la competenza del Giudice di Pace, trattandosi di materia da ritenersi riservata alla competenza del Tribunale. Il caso La fattispecie - sottoposta all'esame del Supremo Collegio in sede di regolamento di competenza - originava da una domanda, proposta da un conduttore, il quale aveva convenuto in giudizio, davanti al Tribunale, il suo locatore ed il Condominio dell'edificio in cui era posta l'unità immobiliare da lui condotta in locazione, chiedendo che fossero dichiarati soggettivamente indebiti gli oneri condominiali da lui versati al suddetto Condominio e, per l'effetto, che entrambi i convenuti fossero condannati, in solido, alla restituzione del relativo importo, pari ad € 3.976,76, oltre accessori di legge. Costituendosi in giudizio, il Condominio aveva eccepito, in via preliminare, l'incompetenza per valore in favore del Giudice di Pace, rilevando che il valore della domanda era stato quantificato, appunto, in € 3.976,96 e che la materia del contendere (ripetizione di indebito) non era rimessa alla competenza esclusiva del giudice togato. Il Tribunale adìto, in accoglimento della suddetta eccezione, aveva dichiarato la propria incompetenza per valore, fissando il termine di giorni 90 per la riassunzione della causa avanti al competente Giudice di Pace e condannando parte attrice al pagamento delle spese del giudizio. Avverso tale ordinanza, il conduttore aveva proposto regolamento di competenza, cui avevano resistito entrambi gli intimati depositando memorie, mentre la Procura Generale aveva concluso per il rigetto del ricorso. La questione Si trattava di verificare se il conduttore, asserendo di aver versato indebitamente al Condominio (per conto del suo locatore) oneri condominiali relativi all'unità immobiliare da lui condotta in locazione, avesse incardinato correttamente il giudizio davanti al Giudice di Pace, considerando che, ratione temporis, la sua pretesa restitutoria rientrava nella soglia di valore attribuita alla competenza del Giudice di Pace, oppure dovesse necessariamente adire il Tribunale, stante che la sua pretesa creditoria traeva la propria fonte in un rapporto locativo, materia, questa, da ritenersi riservata alla competenza del giudice togato. Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il ricorso fondato. Invero, secondo l'impostazione dominante, ai fini della determinazione concreta del valore della causa, occorre aver riguardo al petitum, cioè al valore economico di ciò che si chiede, con riguardo alla causa petendi, cioè al rapporto in base al quale la richiesta viene fatta (Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2011, n. 2259). Nel caso di specie, il petitum è rappresentato dalla domanda di restituzione delle somme indebitamente pagate, oltre che dalla declaratoria di illegittimità di tali pagamenti, e si fonda sull'allegazione della insussistenza dell'obbligazione per la parte in questione delle somme versate, sicchè non può dubitarsi che il vaglio della fondatezza di tale allegazione costituisca non solo il passaggio ineludibile del tema di giudizio demandato, ma anche lo specifico oggetto della relativa declaratoria. Ad esso va, dunque, necessariamente rapportata la determinazione della competenza: essendo l'indebito dedotto in ragione della riferibilità dell'obbligo in questione alla qualità di conduttore dell'immobile ed ai limiti, convenzionali e legali, entro i quali gli oneri condominiali gravano su di esso, viene in rilievo la competenza in materia di locazione, di comodato e di affitto attribuita dall'art. 447-bis c.p.c. al Tribunale (dopo la soppressione dell'ufficio del Pretore). In tal senso, viene evocato il principio affermato dai giudici di legittimità (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2019, n. 28041), secondo cui, ove la pretesa creditoria abbia la propria fonte in un rapporto locativo, trattandosi di materia da ritenersi riservata alla competenza del Tribunale, resta comunque esclusa la competenza del Giudice di Pace, ancorché la pretesa riguardi un credito pecuniario di importo non eccedente € 5.000,00. Pertanto, in accoglimento del ricorso, gli ermellini hanno dichiarato la competenza per materia del Tribunale, dinanzi al quale la causa va riassunta nei termini di legge, restando conseguentemente caducata la statuizione sulle spese resa nel provvedimento impugnato. Osservazioni La pronuncia dei magistrati del Palazzaccio non merita in toto condivisione. Invero, a seguito alla soppressione della figura del Pretore ad opera del d.lgs. n. 51/1998 (istitutivo del giudice unico di primo grado), la competenza in materia di controversie relative a rapporti di locazione di immobili urbani, di comodato di immobili urbani e di affitto, dovrebbe rientrare nella competenza esclusiva del Tribunale del luogo in cui risulta situato l'immobile locato, o oggetto di affitto o di comodato. Tuttavia, secondo l'autorevole parere espresso dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione in un'analoga fattispecie, questo trasferimento “in blocco” di competenze non sussisterebbe poiché - così come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità del tempo (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1998, n. 5986) - la competenza del Pretore e, successivamente, del Tribunale, riguarderebbe le controversie vertenti sulla risoluzione del rapporto, e limitatamente ai casi di diniego di rinnovazione alla prima scadenza dei contratti di locazione ad uso non abitativo (ai sensi degli artt. 29 e 30 della l. n. 392/1978), nel caso di recesso del locatore nei contratti di locazione in regime transitorio di immobile ad uso abitativo (ai sensi dell'art. 59, ultimo comma), e nei contratti di locazione non abitativa in corso all'entrata in vigore della legge (ai sensi dell'art. 73 e per i soli motivi contenuti nell'art. 29), mentre, in tutte le altre ipotesi, opererebbe il criterio generale per cui la competenza debba essere determinata secondo gli ordinari criteri di valore dettati dal codice civile. Tale possibile ricostruzione alternativa rinverrebbe un addentellato normativo nel tenore del citato art. 1 del d.lgs. n. 51/1988 che recita “fuori dei casi in cui è diversamente disposto nel presente decreto” e nella contestuale modifica dell'art. 9 c.p.c. in tema di competenza del Tribunale, potendosi sostenere che la competenza del Pretore sarebbe trasmigrata solo in parte al Tribunale, in quanto il legislatore, mentre non ha modificato l'art. 7 c.p.c., ha inciso sul successivo art. 9, esprimendo la volontà di “disporre diversamente”, e non inserendo espressamente nel nuovo assetto per materia del Tribunale, anche le competenze del soppresso ufficio del Pretore. A ben vedere, la competenza in tema di locazione discendeva dall'art. 8, comma 2, n. 3, c.p.c. che contemplava la cognizione esclusiva del Pretore, indipendentemente dal valore, “per le cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e per quelle di affitto di aziende, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie”, e ad essa si correlava l'operatività di un particolare rito individuato dall'art. 447-bis c.p.c. sulla falsariga di quello applicabile alle controversie individuali di lavoro. Una volta abrogato il predetto art. 8 c.p.c. - nella sua interezza, in forza dell'art. 49 del d.lgs. 51/1998, recante l'istituzione del giudice unico - si è posto, dunque, il problema della competenza per materia in tali controversie e, di conseguenza, del relativo rito applicabile in quanto, nella nuova stesura dell'art. 447-bis c.p.c., non compare più ogni riferimento all'art. 8 citato; d'altra parte, alla suddetta abrogazione dell'art. 8 c.p.c., il legislatore del 1998 non ha accompagnato il trasferimento delle relative previsioni di competenza nel testo del successivo art. 9 c.p.c. che, infatti, al comma 2, nell'elencare le controversie riservate alla competenza esclusiva del Tribunale, non menziona le materie assegnate in precedenza al Pretore. Pertanto, dopo l'istituzione del giudice unico di primo grado e la contestuale scomparsa della figura del Pretore, è mancata una disposizione che stabiliva esplicitamente se la cognizione delle nuove controversie locatizie (prima di competenza pretorile) spettasse soltanto al Tribunale ratione materiae o dovesse, invece, essere ripartita tra quest'ultimo ufficio ed il Giudice di Pace secondo il valore della causa. La maggior parte dei commentatori ha dato per scontato che la competenza in esame fosse trasmigrata tout court dal Pretore al Tribunale con la stessa qualificazione di competenza per materia che aveva secondo il predetto art. 8 c.p.c., sicché risulta isolata l'opinione che ha ritenuto, al contrario, che la competenza ex pretorile in parte potesse ricadere nell'àmbito di quella del Giudice di Pace di cui al comma 1 dell'art. 7 c.p.c., non esistendo più alcuna norma attributiva della competenza per materia ad un solo ufficio giudiziario. Secondo quest'ultima tesi, nelle controversie locatizie, poteva individuarsi - accanto alla competenza generalizzata del Tribunale - una concorrente competenza del Giudice di Pace, nel limite del valore di € 5.000,00, ora raddoppiato con il d.lgs. n. 129/2022 (secondo le regole ordinarie di cui all'art. 14 c.p.c.), purché la controversia investisse solamente il pagamento di somme determinate e non contestate, la cui obbligazione scaturiva da uno di tali rapporti - v., per esempio, oneri accessori (come nel caso affrontato dall'ordinanza in commento), ma lo stesso dicasi per deposito cauzionale, indennità di occupazione ex art. 1591 c.c., ecc. - senza però che venissero posti in discussione altri elementi del contratto di locazione, o la misura di tali corrispettivi, perchè altrimenti la relativa causa doveva essere proposta davanti al Tribunale. L'ordinanza in commento, peraltro, non sembra aver dato la giusta attenzione all'autorevole arresto del massimo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 19 ottobre 2011, n. 21582), ad avviso del quale è competente il Giudice di Pace (nei limiti della sua competenza per valore) in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di un'esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu oculi, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale - siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale - allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato. A favore della tesi volta a riconoscere, sia pure nell'àmbito di precisi paletti, la possibilità che il Giudice di Pace possa conoscere la causa anche qualora si registri la presenza di un bene immobile, le Sezioni Unite hanno offerto i seguenti argomenti, che possono così sintetizzarsi: a) la corretta esegesi dell'art. 14 c.p.c., che accomuna, in punto di competenza, “le cause relative a somme di denaro” e quelle inerenti “a beni mobili”; b) il richiamo all'art. 813 c.c., che estende le disposizioni di legge concernenti i beni immobili ai soli diritti reali che hanno ad oggetto beni immobili (mentre agli altri diritti si applica il regime dei beni mobili, ivi compresi, quindi, i diritti personali su immobili); c) la corretta individuazione dell'elemento discriminante della fattispecie, costituito dalla causa petendi, che si risolve in un titolo obbligatorio personale; d) l'incoerenza e la disfunzionalità di un sistema processuale che, per qualunque azione di risarcimento di danni anche minimi ad immobili, in caso di un semplice dubbio sulla proprietà o sul possesso, o addirittura anche nell'ipotesi di relazione con l'immobile pacifica, costringe l'attore ad addossarsi la spesa sproporzionata di un giudizio di fronte al Tribunale, così impegnando risorse umane e materiali dei relativi uffici; e) la congiunta, coerente ed omogenea attribuzione del genus “cause di vicinato” (condominiali, distanze, immissioni) al Giudice di Pace per materia, e senza limite di valore, rispetto alle quali il riferimento formale e sostanziale del diritto azionato è ontologicamente un bene immobile, oggetto necessario di cognizione seppure come mero antecedente logico, e conseguente incoerenza di un'esclusione tout court di analoghe vicende di tipo risarcitorio avente il medesimo collegamento, sul piano morfologico e funzionale dell'azione esercitata, con il medesimo bene; f) la rilevanza del diritto fatto valere (avente ad oggetto una somma di danaro) sub specie di petitum mediato inerente al conseguimento di un bene della vita rappresentato da un bene mobile, per definizione “diritto concernente una cosa mobile”; g) l'irredimibile esigenza di interpretazioni deflattive della materia del c.d. contenzioso minore. Tale opzione ermeneutica testimonia, dunque, l'impredicabilità di qualsivoglia preclusione “di principio” ad una cognizione lato sensu (anche) immobiliare del Giudice di Pace, sicché proprio quest'ultimo ne sarà il giudice naturale allorchè la relazione che lega il soggetto titolare della pretesa azionata all'immobile appaia, nella sua più intima sostanza, del tutto ininfluente. Più nel dettaglio, la competenza generale per valore del Giudice di Pace deve avere ad oggetto “beni mobili”, intendendosi per tali anche i crediti nascenti da negozio, da atto illecito, da pagamento di indebito - come quella de qua - e da arricchimento senza causa, ma la competenza del magistrato onorario anche relativamente a diritti collegati ad un diritto reale immobiliare, a condizione che non si faccia questione, neppure incidentale, sul rapporto di diritto o di fatto con l'immobile non è oggi seriamente contestabile. Invero, per “causa relativa a beni mobili”, si deve intendere qualsiasi controversia, personale o reale, di accertamento, di condanna o costitutiva, relativa a cosa mobile, anche se diretta all'attuazione di un obbligo pecuniario, che sia sinallagmaticamente collegato con un immobile, con esclusione, quindi, solo delle azioni reali immobiliari. Peraltro, in precedenza, si era abbastanza concordi nel ritenere la competenza del Conciliatore - sempre, ovviamente, nei limiti del valore fissato dalla legge - per le cause aventi come oggetto un diritto di credito pur sinallagmaticamente vincolato con un immobile, e, tra le altre, si annoveravano quelle aventi ad oggetto il pagamento del prezzo dell'alienazione, il pagamento di un canone enfiteutico, il risarcimento dei danni arrecati all'immobile, sicché potrebbe opinarsi venuta oramai meno la convinzione che la mancata estensione della competenza del Giudice di Pace anche alle azioni immobiliari trovi giustificazione nell'esigenza di non gravare il giudice di prossimità del delicato contenzioso in materia di locazioni. Riferimenti Carrato, Lineamenti generali sulla competenza per materia in tema di rapporti di locazione, in Rass. loc. e cond., 2002, 516; Piombo, Sulla competenza per le controversie in materia di locazioni urbane dopo l'istituzione del giudice unico di primo grado, in Foro it. , 2000, I, 116; Grasselli, Cause locatizie e questioni di competenza, in Arch. loc. e cond., 2000, 397; Mirenda, Controversie locative e competenza dopo la riforma del giudice unico, in Rass. loc. e cond., 2000, 101; Spagnuolo, La competenza locatizia per materia anche dopo l'introduzione del giudice unico, in Rass. loc. e cond., 1999, 531. Nicolucci, Sulla competenza del Giudice di Pace in materia di locazioni, in P.Q.M., 1998, fasc. 2, 49; Celeste, Giudice unico e controversie locatizie, in Arch. loc. e cond., 1998, 321; Baio, Nuovo processo civile e giudice di pace: ancora sulle nuove competenze in materia condominiale e locatizia, in Arch. loc. e cond., 1995, 21. |