Regolamento di condominio: esclusa l’interpretazione estensiva delle disposizioni sui limiti di utilizzo delle proprietà individuali
22 Ottobre 2024
Massima I divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze, sicchè l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone i suddetti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'àmbito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti. Il caso La causa - giunta all'esame del giudice di ultima istanza - originava da un'impugnazione, proposta da un condominio, avverso una delibera assembleare, con cui si era approvata l'introduzione di un nuovo articolo nel regolamento condominiale, con la previsione di orari per lo svolgimento di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione (ad esempio, taglio erba, giardinaggio, ecc.), consentiti solo dal lunedì al sabato in determinate fasce orarie e vietati nei giorni festivi. Il Tribunale aveva rigettato la domanda e stessa sorte aveva avuto il giudizio di secondo grado. In particolare, il giudice distrettuale aveva affermato che l'articolo del regolamento in esame, “pur collocato all'interno della disciplina destinata all'uso delle parti comuni, prevede specifici divieti o, comunque, limitazioni ai condomini che risultano obiettivamente riferibili anche alle porzioni di proprietà esclusiva, fra cui battere tappeti e coperte, eseguire lavori rumorosi, arrecare molestia con rumori provocati da macchine o motori nonché da autoveicoli e motocicli e quant'altro fuori dagli orari stabiliti dall'assemblea, in tal modo demandando a quest'ultima il potere appunto di stabilire gli orari per l'esercizio delle predette attività”, potere che l'assemblea aveva legittimamente esercitato approvando il nuovo articolo. Avverso la sentenza di appello, il condomino soccombente proponeva, quindi, ricorso per cassazione. La questione Si trattava di verificare se fosse legittima la delibera assembleare impugnata che, a maggioranza semplice, aveva introdotto fasce orarie per l'esercizio di attività rumorose all'interno delle proprietà esclusive, violando i principi dettati in tema di quorum deliberativi necessari per la modifica di una clausola regolamentare di natura contrattuale relativa alle facoltà di uso e godimento delle parti di proprietà esclusiva; ciò sull'asserito presupposto che l'articolo del regolamento era privo di una formulazione chiara ed esplicita, laddove i regolamenti condominiali di origine contrattuale possono sì porre limiti all'utilizzo dei beni di proprietà esclusiva purché vi siano, però, espressioni non equivoche, occorrendo che una limitazione al diritto di proprietà derivi da una precisa volontà del predisponente il regolamento, al fine di evitare che il condomino subisca restrizioni sulla proprietà esclusiva non volute e non prevedibili al momento dell'acquisto dell'immobile. Si rimproverava, infatti, al giudice distrettuale di aver interpretato estensivamente la clausola del regolamento contrattuale, così derogando la comune volontà delle parti al momento della sua formulazione, considerando, peraltro, che le delibere assembleari, che incidono sui diritti e le facoltà dei condomini sulle proprietà esclusive, devono essere adottate con l'unanimità dei consensi. Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondate le doglianze del ricorrente. Ad avviso della Corte territoriale, l'articolo de quo, pur collocato all'interno della disciplina destinata all'uso delle parti comuni, prevede divieti o comunque limitazioni ai condomini che sono riferibili anche alle porzioni di proprietà esclusiva, fra cui “battere tappeti e coperte, eseguire lavori rumorosi, arrecare molestia con rumori provocati da macchine o motori, nonché da autoveicoli e motocicli e quant'altro, fuori dagli orari stabiliti dall'assemblea, demandando all'assemblea il potere di stabilire gli orari per l'esercizio delle predette attività”, potere da esercitarsi con maggioranza non qualificata, in assenza di diversa specificazione. Il ricorrente giustamente ha sottolineato che la delibera, la quale aveva introdotto il nuovo articolo nel regolamento di condominio - che impone determinati orari per lo svolgimento di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione, come taglio erba, giardinaggio e manutenzioni della casa, durante la settimana, con divieto di eseguirli nei giorni festivi e incide così sulla utilizzabilità di parti dell'edificio di proprietà esclusiva - avrebbe dovuto essere approvata dall'assemblea all'unanimità, dovendo, in caso contrario, considerarsi nulla perché eccedente i limiti dei poteri dell'assemblea (v., al riguardo, Cass. civ., sez. II, 12 maggio 1994, n. 4632; Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1990, n. 7630). Secondo gli ermellini, non convince il ragionamento seguito dai giudici di merito, secondo i quali tale incisione dell'utilizzabilità della proprietà esclusiva troverebbe la propria fonte nell'articolo del regolamento, che pone il divieto di eseguire lavori rumorosi e arrecare molestia con rumori provocati da macchine o motori, nonché da autoveicoli e motocicli, fuori dagli orari stabiliti dall'assemblea, da un lato, senza indicare il quorum necessario per l'individuazione degli orari e, dall'altro lato, senza porre un precetto sovrapponibile a quello di cui all'articolo dello stesso regolamento, che parla di svolgimento di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione senza fare riferimento alla rumorosità o alla molestia arrecata dai medesimi. Osservazioni La pronuncia in commento - la cui motivazione si rivela oltremodo sintetica - richiama l'annosa questione su come debbano essere interpretate le limitazioni contenute nei regolamenti aventi natura contrattuale, come i divieti di un certo uso o i vincoli di una data destinazione. Al riguardo, si opta generalmente per un'interpretazione restrittiva, al fine non limitare ulteriormente la disponibilità ed il libero godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva garantiti al relativo proprietario (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11126). In particolare, i divieti ed i limiti di destinazione delle proprietà individuali sono formulati nei regolamenti condominiali sia mediante elencazione delle attività vietate - pensione, locanda, discoteca, cinema, sala da ballo, scuola di canto o di musica, studio medico, postribolo, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, uffici aperti al pubblico, ecc. - sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare - turbamento della quiete, dell'amenità e della tranquillità dei condomini, contrarietà all'igiene, alla signorilità ed al decoro dell'edificio, ecc. - non escludendo che si possa anche imporre specifiche destinazioni - attività industriali o commerciali, vendita al minuto o all'ingrosso, ecc. - stabilendo quindi degli obblighi di fare. Nella prima ipotesi, è sufficiente, per stabilire se una data destinazione sia vietata o limitata, verificare se la stessa destinazione sia inclusa o meno nell'elenco tassativo, ritenendosi che, già in sede di redazione del regolamento, siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi, sicché la semplice indicazione nello stesso di una data destinazione delle unità immobiliari non può precluderne altre diverse (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4125), essendo tale risultato, comportante la restrizione della sfera di dominio dei condomini sui beni di loro proprietà esclusiva, conseguibile con necessarie specifiche dichiarazioni di volontà, desumibili in modo chiaro, manifesto ed esplicito (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1990, n. 4905). Tali clausole, che inibiscono determinati usi delle unità immobiliari, limitano il diritto dominicale, comprimendo facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli, per cui è inammissibile un'interpretazione estensiva (v. la remota Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1975, n. 970, per la quale il divieto di adibire un immobile a “recapito professionale” non comprende anche quello di ambulatorio medico; più di recente, Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2011, n. 14460, che, a fronte di un divieto di destinare gli appartamenti ad uso di “gabinetto di cura malattie infettive o contagiose”, ha ammesso la possibilità di adibire l'immobile a studio medico dermatologico; in ordine a peculiari fattispecie, v. App. Roma 31 maggio 2006, sul divieto di destinare gli alloggi ad “uso di sanatorio, gabinetto di cura di ambulatorio per malattie infettive o contagiose”; Trib. Milano 31 dicembre 2005, circa il divieto di destinazione all'esercizio di ristorante; Trib. Napoli 19 marzo 1994, che ha dichiarato nulla la delibera con cui si era approvata l'interpretazione del regolamento volta a vietare la destinazione ad esercizio commerciale pur in assenza di norma specifica; Trib. Milano 6 luglio 1993, secondo cui, nel divieto di destinare i locali a “sede di circolo e simili”, rientra anche la destinazione a bar, giusta l'omogeneità dei potenziali inconvenienti; App. Milano 23 luglio 1991, circa la destinazione a centro culturale e di pratica religiosa di un appartamento per il quale era vietato un uso commerciale). Nella seconda ipotesi, siamo in presenza di norme regolamentari che individuano l'attività vietata non in sé, bensì in relazione al danno potenzialmente cagionabile alle parti comuni o ai singoli condomini (tra le fattispecie esaminate dai giudici di merito, si possono richiamare: Trib. Genova 15 giugno 1999, sull'attività medica di ortopedico e di urologo che non comporta particolari assembramenti di persone o altre fonti di disturbo; Trib. Roma 27 ottobre 1980, sul danno alla tranquillità arrecato dall'allocazione in un appartamento di un'emittente televisiva; Trib. Roma 29 marzo 1973, sul divieto di adibire i locali ad esercizi “insalubri o che comportino rumori molesti”; Trib. Roma 11 giugno 1969, in ordine all'attività di pensione; Trib. Genova 2 agosto 1968, circa l'uso di un locale a deposito di casse mortuarie contrario al pacifico godimento dello stabile perché provocava ingombro al modesto viottolo pedonale di accesso). Essendo mancata la valutazione in astratto degli effetti dell'attività, è necessario accertare l'effettiva capacità a produrre gli inconvenienti che si è voluto evitare, ma, al fine di eliminare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, le limitazioni de quibus devono risultare “da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibili di dar luogo ad incertezze” (così Cass. civ., sez. II, 1° ottobre 1997, n. 9564, su un laboratorio per la preparazione e lo spaccio di prodotti suini, rilevando che, dall'intrapresa attività, derivavano cattivi odori, rumori, gravi disagi, anche per la sporcizia, a fronte del regolamento che proibiva qualsiasi “uso contrario all'igiene ed alla moralità”; cui adde Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2010, n. 3002; Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2009, n. 20237; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2009, n. 17893; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1995, n. 1560). Sempre sul presupposto che i divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da “espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze”, più di recente, i magistrati del Palazzaccio (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21307) hanno riformato la decisione impugnata che, dalla presenza di una clausola del regolamento di condominio espressamente limitativa della destinazione d'uso dei soli locali cantinati e terranei a specifiche attività non abitative, aveva tratto l'esistenza di un vincolo implicito di destinazione, a carattere esclusivamente abitativo, per gli appartamenti sovrastanti, uno dei quali era stato invece adibito a ristorante-pizzeria, mediante scala di collegamento interna ad un vano ubicato al piano terra). Resta fermo, comunque, che l'interpretazione della clausola regolamentare non può essere condotta con esclusivo riferimento allo stato di fatto esistente alla data della sua formazione, ma occorre tener conto anche di situazioni che, pure inesistenti a quel tempo, debbano ritenersi, per identità di ratio, da essa previste. Riferimenti Ginesi, Limiti posti dal regolamento contrattuale alle proprietà individuali: natura, opponibilità e rilevabilità in giudizio, in Immob. & proprietà, 2018, 296; Iannone, Regolamento di condominio e limiti alla proprietà esclusiva: opponibilità ai terzi acquirenti, in Riv. neldiritto, 2016, 1469; De Tilla, Il regolamento contrattuale di condominio e le limitazioni alla destinazione delle unità immobiliari, in Arch. loc. e cond., 2010, 284; Gallucci, Regolamento di condominio: i divieti ed i limiti d'uso della proprietà esclusiva devono essere chiari, in Dirittoegiustizia.it, 2010; Baldacci, Il regolamento contrattuale di condominio: forma, contenuto e limiti, in Ventiquattrore avvocato, 2009, fasc. 5, 23; Bordolli, Natura e limiti del regolamento di condominio, in Il Civilista, 2009, fasc. 1, 39; Gasso, Il regolamento condominiale di natura contrattuale: limiti ed inderogabilità, in Contratti, 2008, 794; Ces, Clausole regolamentari e limiti ai diritti dei condomini: requisiti di forma, in Nuova giur. civ. comm., 2005, I, 410; Triola, La trascrizione delle limitazioni alle proprietà individuali previste nel regolamento di condominio, in Giust. civ., 1994, I, 1483; Proto, Regolamento di condominio e limitazioni della proprietà: il punto su dottrina e giurisprudenza, in Riv. notar., 1986, 661. |