S.r.l. cancellata dal registro delle imprese: sussiste una responsabilità personale degli ex soci per le sanzioni irrogate alla società?

Giancarlo Marzo
25 Ottobre 2024

Con sentenza 29 agosto 2024, n. 23341, la Corte di cassazione ha mutato il pregresso orientamento giurisprudenziale in ordine alla responsabilità personale degli ex soci di una s.r.l. estinta, per le sanzioni tributarie irrogate alla stessa. La soluzione fornita dalla Corte, tuttavia, presta il fianco a censure e contraddizioni di sistema, non solo per quanto espressamente previsto dalla legge, ma anche alla luce dell'evoluzione del diritto vivente.

Massima

L'estinzione della società di capitali conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese integra un fenomeno successorio connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società, con la conseguenza che i soci sono chiamati a rispondere anche per il pagamento della sanzioni tributarie nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione.

Il caso

La Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza emessa nel 2013, aveva accolto il ricorso interposto dai soci di una società a responsabilità limitata estinta nel 2007, avverso un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione il maggior imponibile, ai fini IRES, IVA ed IRAP, per euro 171.825 in conseguenza di un controllo operato sulle vendite operate dalla società nell'anno d'imposta 2005. L'AdE aveva quindi impugnato la sentenza dei giudici trevigiani e la CTR di Venezia aveva parzialmente accolto l'appello. Nel dettaglio, i giudici di seconde cure avevano ritenuto nullo l'avviso di accertamento notificato al liquidatore della società, mentre ha ritenuto corretti gli avvisi notificati nei confronti dei soci, ad eccezione della parte relativa alle sanzioni. Avverso la sentenza della CTR di Venezia, l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, con un unico motivo di ricorso. Nello specifico, l'AdE ha contestato la violazione dell'art. 2495 c.c., degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 e dell'art. 7 d.l. n. 269 del 2003, ritenendo gli ex soci responsabili personalmente per le sanzioni irrogate alla società estinta. Sul punto, giova evidenziare che l'art. 2495 c.c., al terzo comma, sancisce che «Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi».

Le questioni e le soluzioni giuridiche

Come precisato dalla Corte nella sentenza in esame, secondo giurisprudenza nutrita e consolidatasi nel tempo, «il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s'identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica» (cfr. Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070). Per tale via, l'estinzione della società di capitali conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, dà vita ad un fenomeno di tipo successorio, che si contraddistingue per il trasferimento ai soci del medesimo debito che faceva capo alla società nei limiti di quanto ricevuto in sede di liquidazione. Per vero, tale assunto è già stato consacrato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nel 2013 pronunciatesi sul punto, secondo cui «lo scioglimento della società e l'estinzione conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese devono essere, quindi, lette nella medesima prospettiva che regola la nascita e il funzionamento della società. L'estinzione della società non fa, tuttavia, venir meno i rapporti attivi e passivi di cui la stessa era titolare, ma comporta piuttosto una vicenda successoria» (cfr. Cass. sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070). Il governo dei rapporti passivi di una società estinta, allora, risponderebbe alla logica del principio di garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c., secondo cui «il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri».

Tuttavia, a detta dei giudici, il fenomeno successorio sui generis previsto dall'art. 2495 c.c., è da interpretarsi in senso lato e non in senso stretto: non sarebbe quindi applicabile tout court la disciplina successoria prevista dal Codice civile al Libro II, e ciò al fine di evitare «improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l'estinzione della società e la morte di una persona fisica». Tale ultimo assunto, secondo il ragionamento dei giudici di legittimità, sarebbe funzionale a precludere l'applicazione dell'art. 8 del d.lgs. n. 472 del 1997, secondo cui «L'obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi». Ciò vorrebbe dire, quindi, che i soci di una società estinta sarebbero eredi in senso “atecnico” e non in senso giuridico, non sussistendo possibilità esegetica ragionevole per qualificare l'estinzione della società alla morte della persona fisica, financo tramite l'interpretazione analogica di cui all'art. 12, comma 2, delle disposizioni preliminari al Codice civile.

Tale conclusione troverebbe un ancoraggio all'art. 7 d.l. n. 269 del 2003, secondo cui «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica». La norma appena richiamata, secondo la sentenza citata, «esclude ogni e qualsivoglia responsabilità solidale dei soci (o degli associati) in relazione alle società o agli enti con personalità giuridica e prima ancora con l'autore dell'infrazione. La sua ratio è, infatti, «quella di rompere lo schema penalistico che connota le sanzioni tributarie, al fine di evitare che l'autonomia patrimoniale perfetta conseguente all'acquisizione della personalità giuridica faccia ricadere gli effetti della sanzione su un soggetto diverso da quello che si avvantaggia, in concreto, della violazione della norma tributaria». L'art. 7 d.l. n. 269 del 2003 comporta, quindi, in ultima istanza, una cesura netta tra chi commette materialmente la violazione ed il soggetto giuridico che si avvantaggia dei risultati della stessa. Ciononostante, una volta appurato che il senso ultimo della norma è proprio quello di escludere una responsabilità solidale dei soci in relazione alla società, secondo la sentenza in esame, il predetto art. 7 d.l. n. 269 del 2003 sarebbe da leggere in combinato disposto con l'art. 2495, comma 3, c.c., secondo il quale il socio risponde solo nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione. Diversamente opinando, l'estinzione volontaria della società minerebbe fortemente il già citato principio di garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., nonché la stessa ratio sottesa all'art. 7 d.l. n. 269 del 2003.

Per tali ragioni, in piena controtendenza alla giurisprudenza precedentemente pronunciatasi sul punto, la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: «L'estinzione della società di capitali conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese integra un fenomeno successorio connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società, con la conseguenza che i soci sono chiamati a rispondere anche per il pagamento della sanzioni tributarie nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione».

Osservazioni

Tale indirizzo pretorio, quindi, al contrario di quanto statuito da un pregresso filone giurisprudenziale, rappresentato, ex multis, dall'ordinanza della Cassazione, sez. trib., 13 ottobre 2022, n. 30011, asserisce che gli ex soci di una società estinta sono responsabili a titolo personale del pagamento delle sanzioni tributarie della società, nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione. Tale soluzione ermeneutica, tuttavia, si presta a censure e contraddizioni di sistema.

In primis si asserisce la contiguità descrittiva e linguistica della successione “atecnica” degli ex soci di una società estinta, con il fenomeno successorio tout court disciplinato dal libro II del codice civile, definendola come una successione sui generis, il che di per sé, appare un ragionamento corretto sotto un profilo esegetico. Tuttavia, non si argomenta proficuamente, a sedare ogni dubbio per un interprete attento, perché non sarebbe allora applicabile l'art. 8 d.lgs. n. 472 del 1997, secondo cui «l'obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi»: se la successione in esame sarebbe “atecnica”, non si motiva il perché la locuzione “erede” prevista dalla norma predetta non possa anch'essa essere interpretata in maniera non formalistica, a maggior ragione considerando la ratio sottesa alla norma, sulla non trasmissibilità delle sanzioni ai successori.

In secundis il reale punctum dolens della sentenza riguarda la mancata equiparazione dell'estinzione della società alla morte della persona fisica, assunto che, a detta dei giudici, non potrebbe giustificarsi nemmeno ricorrendo all'interpretazione analogica di cui all'art. 12, secondo comma, delle disposizioni preliminari al codice civile. Tale soluzione ermeneutica, infatti, si pone in aperto contrasto con quanto recentemente statuito dalla Sesta Sezione Penale della Corte di cassazione, che con sentenza n. 25648 del 2024 ha nitidamente equiparato l'estinzione della società dal registro delle imprese alla morte della persona fisica. Nel dettaglio, infatti, la Cassazione ha recentemente stabilito che «le formalità della cancellazione dal registro delle imprese comportino il venir meno della persona giuridica, con l'inevitabile conclusione che le si estendano le disposizioni riguardanti l'imputato, ai sensi dell'art. 35 del d.lgs. n. 231/2001, e si generino, così, gli stessi effetti della morte del reo» (cfr. Cass., sez. trib, 25 settembre 2024, n. 25648). Se tali coordinate ermeneutiche vengono adottate in ambito penalistico, ove vige una interpretazione stricta dalla legge, risulta irragionevole una mancata trasposizione di tale soluzione ai fini civilistici e tributari.

In tertiis, non si comprende in modo alcuno l'invocazione dell'art. 7 d.l. n. 269 del 2003 a giustificazione dell'irrogazione delle sanzioni tributarie agli ex soci di una società estinta. E ciò in quanto, è proprio la norma appena citata a stabilire che «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica». In claris non fit interpretatio: con l'avverbio esclusivamente, è palese l'intenzione legislativa di non voler estendere il regime sanzionatorio a titolo personale ai soci. Eppure, la sentenza sembra ovviare a tale problematica — nonostante i giudici siano soggetti soltanto alla legge ex art. 101, comma 2, Cost. — asserendo che «tale norma non è incompatibile con il meccanismo che regola la responsabilità per i debiti della società estinta ai sensi dell'art. 2495, comma 3, c.c. secondo il quale il socio risponde, nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione» e che «in caso contrario, l'estinzione della società eliderebbe infatti il legame di garanzia generica tra i beni già parte del patrimonio sociale attribuiti ai soci e l'obbligazione avente per oggetto il pagamento della parte del patrimonio sociale attribuiti ai soci e l'obbligazione avente per oggetto il pagamento della sanzione tributaria». In buona sostanza, a livello logico, il «fine giustificherebbe i mezzi»: se l'obiettivo è quello di consentire l'irrogazione delle sanzioni a titolo personale agli ex soci, basterebbe affermare che l'art. 7 d.l. n. 269 del 2003 non è incompatibile con quanto previsto dall'art. 2945 c.c., senza spiegarne funditus le ragioni, sol perché diversamente si lederebbe il principio di garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., nonostante la stessa norma fondante il principio preveda che «Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge». Le limitazioni, a ben vedere, sono proprio quelle espressamente previste dall'art. 7 d.l. n. 269 del 2003, ossia dalla stessa norma che viene invece invocata per giustificare la legittimità delle contestazioni mosse.

Conclusioni

In conclusione, la questione sembra tutt'altro che definita, sussistendo un contrasto giurisprudenziale in atto, impattando fortemente sulla libera calcolabilità degli effetti tributari della propria condotta.

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