Il diritto alla detrazione dell'IVA in presenza di un contratto di cessione nullo non viene automaticamente meno
05 Novembre 2024
Massima Il diritto alla detrazione dell'IVA in presenza di un contratto di cessione nullo non viene automaticamente meno. La nullità del contratto, infatti, non costituisce, di per sé, un automatismo che preclude al cessionario il diritto alla detrazione dell'imposta sul valore aggiunto. Tale diritto, infatti, è subordinato innanzitutto all'effettiva realizzazione di un'operazione economica rientrante nel campo di applicazione dell'IVA. Il diritto alla detrazione IVA in un caso di contratto di cessione nullo viene meno se, innanzitutto, è dimostrato il carattere fittizio dell'operazione in questione. In secondo luogo, il diritto alla detrazione IVA può essere escluso nel caso in cui l'operazione di cessione, sebbene sia effettivamente stata posta in essere, tragga origine da un'evasione d'imposta o da un abuso di diritto. Il caso I fatti in questione prendono avvio da un avviso d'accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate contestava il diritto alla detrazione Iva da parte di una società contribuente. Nello specifico veniva fatto presente come il contratto di cessione fosse nullo e, quindi, secondo l'amministrazione finanziaria, il cessionario non avesse il diritto alla detrazione dell'IVA. Il contribuente presentava ricorso in commissione tributaria provinciale, la quale rigettava. La questione proseguiva presso il giudice di secondo grado, il quale riformava la sentenza, rigettando le tesi dell'erario. I giudici regionali ritenevano che, pur essendo emersa una irregolarità nel rogito notarile, questa non fosse tale da determinare la nullità del contratto. Inoltre, stante l'autonomia del piano civile rispetto a quello tributario, la pretesa nullità del contratto, comunque, non avrebbe potuto di per sé comportare la perdita del diritto alla detrazione IVA a favore del cessionario/contribuente. Su tema è stata chiamata ad esprimersi la Cassazione che ha deciso con sentenza n. 16279 del 12 giugno 2024, cassando la sentenza impugnata e rinviando al giudice competente. Fra i vari punti affrontati, la Suprema Corte, in estrema sintesi, ha ricordato che la nullità del contratto di cessione di un bene non comporta automaticamente la preclusione del diritto alla detrazione IVA da parte del cessionario. Infatti il diritto alla detrazione IVA è subordinato, innanzitutto, alla prova della effettiva realizzazione dell'operazione e quindi viene meno nel caso in cui l'operazione venga dimostrata fittizia o frutto di evasione fiscale. La questione La questione giuridica su cui verte la sentenza oggetto del presente commento riguarda il diritto alla detrazione IVA nel caso in cui il contratto di cessione di beni sia dichiarato nullo. Innanzitutto è utile ricordare come l'art. 1418 c.c. disciplini la nullità del contratto e, nello specifico, la definisca: “Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”. Nel caso specifico, la Suprema Corte ha richiamato anche l'art. 63 della direttiva 2006/112 che recita: “Il fatto generatore dell'imposta si verifica e l'imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi.” Da tale premessa, la Cassazione si è soffermata ad analizzare quali siano le condizioni – previste dalla normativa europea e nazionale – necessarie per la detrazione dell'IVA. Per sviluppare l'analisi suddetta la corte ha richiamato anche la giurisprudenza della UE. Le soluzioni giuridiche Le soluzioni giuridiche prospettate dalla sentenza n. 16279/2024 riguardano il diritto alla detrazione IVA. Richiamando la Corte di Giustizia è stato chiarito che il diritto a detrarre l'IVA nasce nel momento in cui l'imposta stessa diventa esigibile, ovvero quando avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi. In altre parole, per poter detrarre l'IVA, è necessario che l'operazione economica sia stata effettivamente realizzata. Questa interpretazione è coerente con la logica alla base dell'IVA: l'imposta va detratta solo sulle spese sostenute per operazioni che generano un'attività imponibile. Di conseguenza, un'operazione fittizia o simulata, non avendo effetti economici reali, non dà diritto alla detrazione. Per riassumere, quindi, il diritto alla detrazione dell'IVA è strettamente collegato alla realizzazione effettiva dell'operazione economica sottostante. Se manca questa effettiva realizzazione, non può sorgere alcun diritto alla detrazione. Sulla base di tali premesse, con riferimento al caso concreto oggetto del presente ricorso, il rifiuto di concedere ad un soggetto passivo il diritto a detrazione può essere giustificato nei seguenti due casi:
Riguardo al primo punto, la Cassazione ha confermato che, in linea di principio, per appurare l'esistenza del diritto alla detrazione è necessario verificare se l'operazione a fondamento di tale diritto sia stata effettivamente realizzata. A tal proposito, per il diritto eurounitario l'onere della prova grava sul soggetto passivo, il quale è tenuto a fornire una dimostrazione oggettiva del fatto che beni e servizi gli siano stati effettivamente ceduti o prestati a monte da un altro soggetto passivo, ai fini della realizzazione di proprie operazioni soggette ad IVA e con riguardo alle quali l'imposta sia stata effettivamente assolta. Qualora, invece, da tale valutazione globale risulti che la cessione sia stata effettivamente realizzata e che i beni ceduti siano stati impiegati a valle dal soggetto passivo ai fini delle sue operazioni soggette ad imposta, il diritto a detrazione non può, in linea di principio, essergli negato. Riguardo, invece, il secondo punto, il diritto alla detrazione può comunque essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che esso viene invocato in modo fraudolento o abusivo. Infatti, la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla normativa e dalla giurisprudenza unionale, secondo le quali i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell'Unione. Pertanto, quand'anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto alla detrazione, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo. Riguardo alla questione se lo scopo essenziale di un'operazione si limiti all'ottenimento di tale vantaggio fiscale, in materia di IVA è acquisito che se il soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, non è obbligato a scegliere quella che implica un maggiore pagamento di imposta, e ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di ridurre la sua contribuzione fiscale. Restano invece vietate le costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica, realizzate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. La Cassazione ha ricordato che l'accertamento di un comportamento abusivo in materia di IVA richiede, da un lato, che le operazioni di cui trattasi debbano avere come risultato l'ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito da dette disposizioni. Dall'altro, è richiesto che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale di dette operazioni si limita all'ottenimento di tale vantaggio fiscale. Quanto al profilo dell'evasione dell'IVA, per giurisprudenza eurounitaria consolidata il beneficio del diritto a detrazione dev'essere negato non solamente quando un'evasione sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche allorquando si dimostri, alla luce di elementi obiettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l'acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione. In questo caso, per consolidata interpretazione incombe sull'Amministrazione finanziaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere nel senso che il soggetto passivo ha commesso un'evasione dell'IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una simile evasione. Da queste premesse la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini dell'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA da parte della cessionaria in caso di nullità del contratto di cessione del bene e relativa fattura emessa dalla cedente, in applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sentenza C-114/22 del 25 maggio 2023, il soggetto passivo non è privato del diritto alla detrazione per il solo fatto che il contratto è viziato da nullità sulla base del diritto civile, se non è dimostrato che sussistono gli elementi che consentono di qualificare tale operazione ai sensi del diritto unionale come fittizia oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un'evasione dell'imposta o da un abuso di diritto”. Osservazioni La sentenza n. 16279/2024 ha messo in luce i seguenti aspetti:
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