Esente da IMU l'alloggio sociale solo qualora sia provato il fine di solidarietà sociale

19 Novembre 2024

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, nella sentenza n. 2811 del 28 ottobre 2024, si è pronunciata sull'interpretazione della definizione di alloggio sociale e ha chiarito che il riparto dell'onere probatorio della solidarietà sociale della destinazione abitativa degli immobili grava, in primis, su chi invoca il diritto all'esenzione. 

Massima

Il dettato letterale della definizione di “alloggio sociale” è tutto incentrato sulla finalità di solidarietà sociale della destinazione abitativa di tali immobili. Quanto alla verifica circa la effettiva e concreta destinazione delle unità abitative ad “alloggio sociale”, l'onere della prova, gravante su chi invoca il diritto all'esenzione, non può dirsi assolto nella misura in cui si risolva in una attestazione meramente generica, priva di riferimenti specifici e analitici alle singole unità abitative o ad affermazioni assertive, senza alcuna indicazione di dettaglio sulle moralità di assegnazione degli alloggi, sui criteri di individuazione degli occupanti e sulle modalità di determinazione dei canoni.

Il caso

La peculiare controversia concerneva un provvedimento di diniego di rimborso IMU e TASI per il 2019 e IMU per il 2020, emesso su istanza del Comune di Milano in relazione ad unità immobiliari di civile abitazione destinate ad alloggi sociali, situate in altro Comune della medesima città metropolitana. Secondo il Comune di Milano le unità immobiliari dovevano considerarsi, ai sensi dell'art. 13, comma 2, lettera b) del D.L. n. 201/2011 e successive modifiche, esenti da imposta in quanto “alloggi sociali” così come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008. Il diritto al rimborso veniva correlato alla circostanza che la definizione di cui al detto DM richiede, come presupposto dell'esenzione, unicamente che si tratti di immobili destinati ad "alloggi sociali", indipendentemente dal fatto che siano di proprietà di Enti pubblici o meno, che si trovino sul territorio del medesimo Comune titolare della proprietà, indipendentemente dal fatto che sia corrisposto un canone.

Le questioni

Le questioni controverse investivano due profili:

— l'interpretazione della norma di riferimento e l'individuazione dei presupposti necessari a qualificare una unità immobiliare come “alloggio sociale” ai fini della fruizione della esenzione;

— la verifica della esistenza di una prova adeguata della sussistenza dei presupposti che consentono di qualificare le unità immobiliari come “alloggio sociale” (onere probatorio gravante sul soggetto che intende fruire della agevolazione).

Osservazioni

Con riferimento al primo profilo, gli interpreti hanno ricordato che il citato DM del 2008, in una norma espressamente dedicata alla sua definizione, ha stabilito che è alloggio sociale “l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L'alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie”. Il successivo comma 3 precisa, poi, che: “Rientrano nella definizione di cui al comma 2 gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà'”. È di palmare evidenza, ha osservato la Corte, che il dettato letterale della definizione di "alloggio sociale'" è tutto incentrato sulla finalità di solidarietà sociale della destinazione abitativa di tali immobili sicché, come già precisato dalla Suprema Corte nella sentenza 28 ottobre 2020, n. 23680, non occorrono altri presupposti (onere di presentazione di dichiarazione, titolarità della proprietà in capo a specifici enti).

Quanto alla verifica dell'assolvimento dell'onere della prova sulla effettiva e concreta destinazione delle unità abitative ad "alloggio sociale", lo stesso, secondo i giudici, non era stato adeguatamente assolto nella misura in cui la relazione dell'ente richiedente il rimborso era una attestazione meramente generica, priva di riferimenti specifici e analitici alle singole unità abitative (si trattava di 150 immobili), contenente affermazioni assertive, ma senza alcuna indicazione di dettaglio sulle moralità di assegnazione degli alloggi e sui criteri di individuazione degli occupanti, sulle modalità di determinazione dei canoni. I giudici hanno quindi ravvisato la carenza della prova che, concretamente ed effettivamente, si trattasse di immobili destinati a sopperire a situazioni di disagio sociale e bisogni abitativi primari di categorie e nuclei familiari in condizioni svantaggiate. Ciò soprattutto tenuto conto delle caratteristiche oggettive degli immobili in questione (villette a schiera con box di pertinenza, classificate al catasto come A2 e A7, con numero di vani elevato e anche fino a 12) non in linea con le finalità prospettate. Tale approdo trovava, altresì, conforto dal fatto che la controparte aveva contestato la concreta destinazione degli immobili in questione a finalità di alloggio sociale indicando una serie di elementi rilevanti in tale direzione; dall'altro lato, dal fatto che il Comune richiedente il rimborso si era limitato a produrre documenti formali che attestavano l'iter procedimentale formale di assegnazione degli alloggi senza provare concretamente a chi ciascun immobile fosse stato assegnato e le relative condizioni di disagio sociale.

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