Non sempre colui che scivola sulle scale condominiali ha diritto ad essere risarcito

18 Novembre 2024

Uno degli incidenti che si verificano più di frequente nel condominio è rappresentato dalla caduta sulle scale, nell'androne oppure in uno dei luoghi comuni. Raramente colui che subisce il danno ammette che il fatto è dipeso dalla propria scarsa attenzione. Spesso la responsabilità di quanto avvenuto viene addossata al condominio e, in conseguenza e con pervicacia, vengono avviate azioni risarcitorie nei confronti dello stesso. Nella maggioranza dei casi, la domanda viene respinta, difettando dei presupposti di legge previsti per il riconoscimento del danno provocato dalla cosa in custodia. Questo è nuovamente avvenuto per effetto di una recente sentenza di merito, che ha messo in luce come sia risolutivo, per l'esito favorevole dell'azione, che all'evento non abbiano contribuito anche fattori causali diversi da quelli legati alla violazione degli obblighi connessi al dovere di custodia.

Massima

In tema di risarcimento danni da cosa in custodia, la parte danneggiata ha l'onere di provare il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la res in custodia, tanto con riferimento alla responsabilità da cosa in custodia (art. 2051 c.c.), quanto con riferimento alla responsabilità da fatto illecito (art. 2043 c.c.). Per la configurazione della responsabilità ex art. 2051 c.c., si richiede che il custode fornisca la prova liberatoria del caso fortuito, mentre, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., la parte danneggiata dovrà fornire prova del fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva al danneggiante, il quale avrà l'onere di dimostrare l'assenza di colpa o il concorso di colpa del danneggiato o la presenza di un caso fortuito.

Il caso

L'oggetto della controversia era costituito da una richiesta risarcitoria avanzata da un soggetto, il quale aveva dichiarato di essere scivolato sugli scalini posti davanti al portone del palazzo, bagnati, privi di linee antiscivolo e di qualsiasi segnalazione di pericolo, con conseguente danno ricollegabile all'evento. L'attore, in particolare, aveva sostenuto che il fatto fosse addebitabile al convenuto condominio, il quale aveva omesso di provvedere alla messa in opera di quelle necessarie accortezze che avrebbero evitato il verificarsi di quanto accaduto.

Dall'istruttoria, tuttavia, non erano emersi elementi tali da dimostrare che la caduta fosse riconducibile alle condizioni della scala, né utili a tal fine erano state le dichiarazioni di un solo testimone, il quale non aveva potuto riferire la dinamica dell'incidente limitandosi, tra l'altro, ad affermare che in quel momento non pioveva.

Il Tribunale, a fronte dell'assenza di prova in merito ai difetti della scala, aveva ritenuto che l'evento dovesse essere attribuito esclusivamente alla disattenzione dell'attore, con conseguente rigetto della sua domanda.

La questione

La controversia esaminata dal giudice monocratico ripropone un tema classico, ovvero quando il soggetto abbia diritto al risarcimento per i danni causati nell'uso di una parte comune dello stabile condominiale.

Le soluzioni giuridiche

La decisione si richiama al dettato normativo contenuto nell'art. 2051 c.c. rispetto al quale il Tribunale etneo ha evidenziato come danneggiato e danneggiante si trovino, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento danni determinati da cose in custodia, su fronti decisamente differenti: il primo deve dimostrare che l'evento dannoso è diretta conseguenza  della res, il secondo che il fatto si è verificato per un caso fortuito, in quanto non prevedibile e non riferibile alla propria sfera di volontà.

Sulla base di tale pacifico presupposto, il giudicante, dal contenuto dell'atto di citazione oltre che dalle risultanze istruttorie, ha ritenuto non dimostrate le modalità del sinistro dalle quali trarsi la prova che la caduta fosse riconducibile ad un unico difetto dei gradini della scala, quale l'assenza della striscia antiscivolo, non avendo lo stesso attore riscontrato altre criticità della struttura. Il fatto, inoltre, che lo stesso attore avesse genericamente dichiarato che i gradini erano bagnati non provava nulla, tanto è vero che il teste aveva dichiarato che quel giorno non pioveva e che, comunque, si era reso conto dell'accaduto quando l'attore era già a terra.

La conclusione cui è giunto il Tribunale, quindi, è stata quella di dichiarare che l'evento si era verificato per una disattenzione del danneggiato il quale, ove le scale fossero state effettivamente bagnate per la pioggia, avrebbe dovuto adottare un comportamento più accorto, anche in considerazione del fatto che l'evento si era verificato in pieno giorno ed in totale visibilità dello stato dei luoghi.  

Osservazioni

La responsabilità ex art. 2051 c.c. si caratterizza per due elementi: da un lato, la natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità, che non si fonda sulla presunzione di colpa, essendo sufficiente che il danneggiato fornisca la prova del nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno e, dall'altro, l'accertamento della sussistenza del caso fortuito che, quanto al comportamento del custode, può esercitare un effetto liberatorio, totale o parziale, del medesimo rispetto all'evento dannoso.

In questo quadro, si va ad inserire - come nel caso in esame - il c.d. “fatto colposo del danneggiato”, ossia il comportamento messo in atto dal danneggiato, il quale ha contribuito al verificarsi del fatto che ha determinato il danno ed è configurabile allorché non sia stata messa in atto alcuna condotta alternativa e tale da impedire o prevenire l'eventualità dell'accadimento dannoso. Sul punto, la giurisprudenza si è più volte espressa in modo costante, affermando che “in tema di danno prodotto da cose in custodia, l'esclusiva condotta colpevole del danneggiato è equiparabile al caso fortuito ed esclude, pertanto, la responsabilità del proprietario della cosa, da cui il danno deriva, agli effetti sia dell'art. 2051 c.c. che dell'art. 2043 c.c.” (così, ex multis, Cass. civ. sez. III, 26 marzo 2002, n. 4308).

Si tratta di principi di ordine generale che devono essere traslati nell'ambito dell'istituto del condominio nel quale quest'ultimo, custode dei beni e dei servizi comuni, deve adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, essendo chiamato, in caso contrario, a rispondere dei danni da queste cagionati ad altri (siano essi condomini o terzi) ai sensi dell'art. 2051 c.c.

La configurazione giuridica del condominio, tuttavia, non esclude che nel verificarsi di un evento dannoso classificabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. citato non vi possa essere una responsabilità personale dell'amministratore. Questi, infatti, ai sensi dell'art. 1130 c.c., è titolare di una attività gestionale ad ampio spettro, nella quale “assicurare a ciascuno dei condomini il miglior godimento delle cose e dei servizi comuni” (n. 2) può assumere un significato più ampio di quello testuale, estendendosi anche alla custodia delle stesse. Egli, tuttavia, è soggetto, ai sensi dell'art. 1218 c. c., solo all'azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati (Cass. civ., sez. III, 14 agosto 2014, n. 17983).

Interessante e degna di menzione la motivazione della Corte territoriale su questo particolare aspetto della questione, allorché ha posto in evidenza che per quanto l'attività dell'amministratore sia quella ora richiamata (gestione, custodia, obbligo di vigilanza), la responsabilità extracontrattuale verso i terzi risulta praticabile - ex art. 2051 c.c. -  esclusivamente a carico del condominio, residuando per l'amministratore esclusivamente la possibilità di incorrere in responsabilità contrattuale, nel rapporto interno che lo lega al condominio.

Ma la suddetta Corte non si è fermata qui, avendo evidenziato che la “custodia giuridica”, posta a fondamento dell'art. 2051 c.c., è altra cosa rispetto al compito di custodire i beni comuni che rientra negli obblighi contrattuali assunti dall'amministratore nei confronti dei condomini, talchè l'accertamento della violazione di questo si esaurisce nei rapporti interni al condominio senza, tuttavia, escludere o diminuire l'eventuale responsabilità del condominio medesimo nei confronti di altri soggetti.

Tornando al sinistro identificabile come “caduta dalle scale condominiali”, la mole delle sentenze di merito e di legittimità dà conto di come la questione sia particolarmente delicata al fine di accertare la responsabilità dell'evento. A titolo di esempio va citato il caso di una caduta asseritamente causata da una rottura di un gradino della scala per il quale, pur a fronte di un effettivo vizio dello stesso, è stato ritenuto (App. Genova 18 ottobre 2021, n. 1048; Cass. civ. sez. III, 4 marzo 2024, n. 5708) che, anche ove provato che lo stesso fosse “sbeccato” già prima del verificarsi del sinistro, il danneggiato non poteva non avere notato lo stato della struttura avendola più volte utilizzata. Ergo, il medesimo avrebbe dovuto adottare una condotta consona allo stato dei luoghi, anche in considerazione delle dimensioni della profondità e lunghezza dello scalino, della presenza del corrimano nonché dell'orario in cui l'incidente si era verificato.

Diverso, invece, il caso rappresentato dalla rottura improvvisa di un gradino verificatasi in conseguenza di un vizio dello stesso, rispetto al quale l'amministratore pur essendone a conoscenza non abbia provveduto ad intervenire (Trib. La Spezia 27 settembre 2021, n. 512).

Ed ancora è stato affermato (Trib. Ascoli Piceno 5 luglio 2024), in via generale, che una rampa di scale non può essere considerata, di per sé, pericolosa per cui è chiaro che ciascun soggetto, nel percorrerla, debba adottare le cautele che appare ragionevole attendersi dall'uomo medio, tra cui certamente rientra la “normale” attenzione. Così come l'eventuale assenza del “corrimano” non è di per sé un elemento tale da configurare la responsabilità del condominio ex art. 2051 c.c., quando l'edificio sia stato edificato prima del 1989, essendo il relativo obbligo riconducibile al d.m. n. 236/1989, ed applicabile solo agli immobili edificati successivamente a tale data.

Riferimenti

Celeste, Inadempimento dell'obbligo di custodia e riparto delle responsabilità, tra locatore e conduttore, per danni recati a terzi, in IUS Condominioelocazione, 23 giugno 2023;

Foffa, La responsabilità da cose in custodia, 2019;

Mirabile, La responsabilità dell'amministratore di condominio dopo la legge n. 220/2012 in Resp. civ. e prev., 2014, fasc. 5, sez. 2, 1482.

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