Crisi d'impresa
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Il consolidamento del debito dovuto alla transazione fiscale nel concordato

La Redazione
19 Dicembre 2024

Il tribunale di Piacenza aderisce alla tesi del consolidamento fiscale quale effetto necessario della transazione fiscale, ritenendo applicabile anche all’art. 182-ter l. fall. post l. n. 232/2016 – vigente ratione temporis – il principio secondo cui deve ritenersi preclusa all’Amministrazione l’emissione di atti impositivi in relazione ad obbligazioni tributarie precedenti al deposito della proposta di concordato.

Con ricorso ex art. 26 l. fall., l'Agenzia delle Entrate pone al tribunale di Piacenza la questione relativa al c.d. effetto di consolidamento del debito fiscale derivante dalla transazione fiscale proposta in sede di concordato preventivo omologato.

Si tratta, cioè, di giudicare se sia o meno precluso all'Ente impositore di operare nuovi accertamenti per debiti erariali relativi ad un periodo di imposta oggetto di transazione fiscale e, quindi, rientranti nella categoria dei debiti concordatari sottoposti a falcidia concorsuale e all'effetto obbligatorio ex art. 184 l. fall. (nel caso di specie, l'Agenzia chiedeva al tribunale di “comprendere” nella transazione fiscale somme corrispondenti ad avvisi di accertamento notificati dopo la notificazione della certificazione del credito, dell'accoglimento della proposta di transazione e della dichiarazione di voto).

«La questione – rileva il Collegio – non ha mai trovato una soluzione lineare e unanime, anche alla luce dalle modifiche normative intervenute negli anni sull'istituto della transazione fiscale, prima nella legge fallimentare e, ora, nel CCII (da ultimo anche ad opera del decreto correttivo D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136, che ha riscritto l'art. 88 CCII)».

Dato atto delle alterne soluzioni proposte da dottrina e giurisprudenza, il tribunale evidenzia che «il tempestivo esercizio del potere di accertamento da parte dell'ente impositore già in sede di transazione fiscale consentirebbe al debitore, eventualmente, non solo di contestare le pretese impositive ritenute illegittime (impugnando innanzi al giudice tributario i relativi atti), ma anche di porre utilmente i crediti fiscali contestati nell'ambito della proposta concordataria, appostando i necessari fondi rischi. È di lampante evidenza, al contrario, che l'emersione di obbligazioni tributarie solamente post omologa costituirebbe circostanza idonea a compromettere la puntuale esecuzione del piano concordatario, compromettendone così la natura stessa di strumento finalizzato a superare la crisi o l'insolvenza».

Tanto premesso, secondo il tribunale di Piacenza: «la presentazione di una transazione fiscale in sede concordataria risulta logicamente inconciliabile con la possibilità, per l'Amministrazione stessa, di esercitare post-omologa poteri di accertamento relativi a debiti che avrebbero dovuto essere oggetto di preventiva certificazione in sede di transazione, o comunque di accertamento già in sede concordataria». In questo senso, notano i giudici piacentini che l'effetto di cristallizzazione del debito fiscale è valorizzato anche dal “nuovo” art. 88 c.c.i.i.

In definitiva, il tribunale aderisce «alla tesi del consolidamento fiscale quale effetto necessario della transazione fiscale, ritenendo quindi applicabile anche all'art. 182-ter post legge 232/2016 – vigente nel caso in esame ratione temporis - il principio secondo cui deve ritenersi preclusa alla amministrazione l'emissione di atti impositivi nei confronti del contribuente, in relazione ad obbligazioni tributarie precedenti al deposito della proposta di concordato».

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