Condominio e locazione

“Apparenza” della servitù per destinazione del padre di famiglia in condominio

29 Gennaio 2025

In una fattispecie in cui si controverteva sul diritto, da parte del proprietario dell'appartamento sovrastante, a mantenere le tubazioni di scarico del suo bagno, che correvano lungo il soffitto dell'appartamento sottostante, scoperte dal proprietario di quest'ultimo durante i lavori di ristrutturazione della controsoffittatura, l'ordinanza in commento ha verificato la sussistenza del requisito della “apparenza”, necessario per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, avvertendo, però, in relazione a tale finalità, che tale requisito deve essere valutato caso per caso, riguardo ai singoli contesti, e dando peso, nella fattispecie sottoposta al suo esame, al fatto che trattavasi di unità abitative condominiali in linea, laddove l'acquirente avrebbe potuto rappresentarsi il passaggio di tubi di scarico del piano superiore.

Massima

L'apparenza della servitù si identifica nell'oggettiva e permanente presenza di opere suscettibili di essere viste, ancorché in concreto ignorate, che, per struttura e consistenza, inequivocamente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell'altro; tale requisito mira a garantire l'acquirente del fondo servente dalla presenza di vincoli ignoti e non verificabili e va valutato caso per caso, cosicché risulta significativa, in un contesto di unità abitative in condominio, la possibilità dell'acquirente di rappresentarsi il passaggio di tubi di scarico del piano superiore.

Il caso

La causa - giunta all'esame del Supremo Collegio - originava da un'azione promossa dal condomino X, proprietario di un appartamento posto al terzo piano di uno stabile, nei confronti del condomino Y, proprietario dell'appartamento posto al piano superiore.

L'attore aveva dedotto di aver scoperto, durante alcuni lavori di ristrutturazione della controsoffittatura, l'esistenza di tubature di scarico del bagno dell'appartamento del convenuto e una botola di ispezione quadrata, ed aveva chiesto di accertarsi che il convenuto non aveva alcun diritto di mantenere le tubature e la botola laddove si trovavano e di condannarsi lo stesso convenuto alla rimozione delle une e dell'altra.

Il convenuto, previa chiamata in causa del proprio dante causa, per essere da lui garantito in caso di accoglimento della domanda attorea, aveva chiesto, in via riconvenzionale, accertarsi l'esistenza del proprio diritto di servitù, sorto per destinazione del padre di famiglia, a mantenere le opere ove si trovavano.

Il Tribunale adìto aveva accolto la domanda riconvenzionale, rigettando la domanda principale e dichiarando assorbita la domanda di garanzia.

La Corte d'Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, avendo accertato, in forza di documenti e di testimonianze, la presenza dei tubi e del pozzetto fin dai tempi in cui i due appartamenti appartenevano allo stesso proprietario.

Contro quest'ultima decisione, il condomino soccombente in entrambi i giudizi di merito proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se sussistesse, nel caso di specie, il requisito della apparenza, necessario, ai sensi dell'art. 1061 c.c., per l'acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia, considerando il particolare contesto costituito da unità abitative inserite in un edificio sottoposto al regime condominiale, dolendosi il ricorrente, in particolare, che le tubazioni e il relativo pozzetto di ispezione fossero visibili solo dall'appartamento del proprietario dell'appartamento sovrastante e non dal suo che era posto nel piano inferiore.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tali doglianze infondate.

Invero, il giudice distrettuale aveva ritenuto il suddetto requisito sussistente, dato il fatto pacifico che il ricorrente aveva dichiarato di avere scoperto le tubazioni che correvano orizzontalmente nel solaio di divisione tra gli appartamenti e si immettevano, poi, nella colonna verticale di scarico dei bagni e il relativo pozzetto, in occasione della rimozione di una controsoffittatura, evidenziando, altresì, che il pozzetto, “presente nell'unità al quarto piano, era di pronto ed immediato rilievo”.

Il ricorrente sosteneva che il requisito dell'apparenza era insussistente proprio perché le tubazioni e il pozzetto erano schermati alla vista dalla realizzata controsoffittatura.

Gli ermellini rilevano, però, che, ai sensi dell'art. 1061, comma 1, c.c., è apparente soltanto la servitù al cui esercizio risultino destinate opere permanenti e visibili dal fondo servente, in modo da renderne presumibile la conoscenza da parte del proprietario di quest'ultimo (Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2004, n. 2290; Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 1998, n. 321).

La precisazione per cui le opere permanenti devono essere “visibili dal fondo servente” non costituisce, tuttavia, una specificazione del concetto di apparenza, come tale insensibile a connotazioni puramente topografiche, come dimostra l'irrilevanza - costantemente affermata dai giudici di legittimità - del fatto che le opere sono collocate sul fondo servente, su quello dominante o sul fondo di un terzo (Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2006, n. 7817; Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1997, n. 6357).

La visibilità dal fondo servente è, dunque, un'ipotesi normale, ma non per questo esclusiva, essendo, piuttosto, sufficiente che le opere destinate all'esercizio della servitù siano visibili - anche se solo saltuariamente ed occasionalmente (Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1993, n. 6522) - da qualsivoglia altro punto di osservazione, anche esterno al fondo servente, purché il proprietario di questo possa accedervi liberamente, come nel caso in cui le opere siano visibili da una vicina via pubblica.

Non rileva, quindi, che l'opera sia a vista, né che il proprietario del fondo che si assume asservito abbia, in concreto, conoscenza dell'esistenza dell'opera.

L'apparenza della servitù, senza la quale non è possibile la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, si identifica - in definitiva - nell'oggettiva e permanente sussistenza di opere suscettibili di essere viste (anche se, in concreto, ignorate) che, per la loro struttura e consistenza, inequivocamente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell'altro (Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1995, n. 3556).

Non è necessario che l'apparenza, nei termini predetti, si estenda all'opera nel suo complesso: non è, quindi, l'entità dell'opera che rileva, ma le opere in quanto segno obiettivo ed inequivoco della loro destinazione ad una determinata servitù (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1996, n. 5020; Cass. civ., sez. II, 7 agosto 1992, n. 9371).

Il requisito della apparenza mira a garantire l'acquirente del fondo servente dalla presenza di vincoli ignoti e non verificabili, in modo da consentirgli di tenerne in debito conto nella scelta dell'acquisto e delle sue condizioni (Cass. civ., sez. II, 10 luglio 1969, n. 2528).

Osservazioni

In argomento, va ricordato che l'art. 1062 c.c. dispone che “la destinazione del padre di famiglia ha luogo quanto consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù”, precisando che, “se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s'intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.

In relazione a tale finalità, il requisito della “apparenza” deve essere valutato caso per caso, riguardo ai singoli contesti: nella fattispecie, sottoposta allo scrutinio del giudice di ultima istanza - considerando sempre i limiti intrinsechi del giudizio di legittimità - è apparsa significativa, trattandosi di unità abitative condominiali in linea, la possibilità, in capo dell'acquirente, di rappresentarsi il passaggio di tubi di scarico del piano superiore.

Riguardo ad una situazione assai simile a quella all'origine dell'ordinanza in commento, i magistrati del Palazzaccio avevano avuto modo di puntualizzare che una tubatura idrica, pur se collocata al di sotto del pavimento dell'appartamento che funge da fondo servente, costituisce senz'altro un'opera oggettivamente apparente, “in quanto visibile dal proprietario di quest'ultimo [fondo] in occasione dello svolgimento di lavori edili” (così Cass. civ., sez. II, 8 giugno 2017, n. 14292).

Resta, tuttavia, fermo (ad avviso di Cass., sez. II, 10 maggio 2018, n. 11287) che, in tema di condominio degli edifici, la disciplina sulle distanze legali delle vedute non si applica alle opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l'intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 c.c.) e l'insorgere del condominio, e, dall'altro lato, la costituzione, in deroga (o in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio ed a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, secondo lo schema della servitù per destinazione del padre di famiglia.

La tematica delle servitù in àmbito condominiale è stata approfondita dalla magistratura di vertice riguardo - non tanto ai rapporti tra condomini vicini, proprietari di unità immobiliari contrapposte (in senso verticale o orizzontale) poste nello stesso edificio in regime condominiale, quanto piuttosto - all'esistenza di “pesi”, e correlativi “vantaggi”, rispettivamente, a favore o carico dell'intera compagine condominiale, segnatamente in forza di clausole del regolamento che limitano i diritti del singolo con riferimento all'uso o alla destinazione del proprio appartamento, laddove ci si riferisce, di recente, al concetto di “servitù reciproche” soprattutto al fine di risolvere il problema dell'opponibilità nei confronti del terzo acquirente.

Infatti, la giurisprudenza del Supremo Collegio sembra oramai assestata sulla tesi per cui le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all'interno delle unità immobiliari esclusive, costituiscono servitù reciproche e devono essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e, quindi, con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione.

Si è precisato che l'art. 2659, comma 1, n. 2, c.c., secondo cui, nella nota di trascrizione, devono essere indicati il titolo di cui si richiede la trascrizione e la data del medesimo, va interpretato in collegamento con il successivo art. 2665 c.c., il quale stabilisce che l'omissione o l'inesattezza delle indicazioni richieste nella nota non nuoce alla validità della trascrizione “eccetto che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto”.

Ne consegue che, dalla nota, deve risultare non solo l'atto in forza del quale si domanda la trascrizione, ma anche il mutamento giuridico, oggetto precipuo della trascrizione stessa, che quell'atto produce in relazione al bene; pertanto, non basta che, nella nota di trascrizione, sia citato il regolamento di condominio c.d. contrattuale, ma occorre indicarne le clausole incidenti in senso limitativo dei diritti dei condomini sui beni condominiali(o sui beni di proprietà esclusiva).

La necessaria premessa di tale orientamento risiede nell'ammissibilità - pacifica in giurisprudenza - sia di servitù atipiche, tipico essendo il solo genus così come regolato dagli artt. 1027 ss. c.c., sia di servitù reciproche: queste ultime comportano che ciascun fondo è, ad un tempo, servente e dominante, data la corrispondenza biunivoca del peso imposto da un'apposita previsione contenuta nel regolamento contrattuale, a carico ed a favore di ciascuna unità di proprietà singola.

Trattandosi di servitù, la loro opponibilità ai terzi acquirenti di ciascuna unità singola dipende dalla trascrizione, prevista dall'art. 2643, n. 4, c.c., che deve riguardare la specifica convenzione che contenga la servitù stessa, con particolare richiamo alle clausole relative e al loro contenuto.

Con la creazione del condominio, per effetto della prima alienazione, la servitù è costituita a favore e contro il primo immobile di proprietà singola, da un lato, ed a favore e contro i restanti fondi ancora invenduti, dall'altro, e così via finché con l'ultima vendita ciascuna unità singola diviene servente e dominante verso ognuna delle altre.

In assenza di trascrizione, può essere sufficiente anche il solo contenuto dell'atto di vendita, ma alla duplice condizione, ossia che:

a) esso sia corredato della specifica indicazione delle clausole impositive della servitù, essendo del tutto insufficiente il mero rinvio al regolamento condominiale;

b) dette clausole siano ripetute nei successivi atti di trasferimento, poiché diversamente torna ad operare il limite dell'art. 1372 c.c.

Non senza precisare, tuttavia, che, in tal modo, atteso che il richiamo alla servitù diviene parte integrante di ogni titolo di acquisto della proprietà (dal primo ai successivi), tecnicamente non si può parlare di opponibilità della servitù, bensì dell'iterazione della sua preesistenza negli atti traslativi del medesimo bene immobile.

In quest'ordine di concetti - e con effetti devastanti a fronte della generalizzata prassi difforme - si è, da ultimo, statuito (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2022, n. 24526) che le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il loro immobile a determinate destinazioni, costituiscono servitù reciproche a favore e contro ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale, e sono soggette, pertanto, ai fini dell'opponibilità ultra partes, alla trascrizione in base agli artt. 2643 n. 4 e 2659, comma 1, n. 2, c.c.

Riferimenti

Tortorici, Il caso delle tubature d'acqua condominiale sotto il pavimento di un appartamento, in Quotidianogiuridico.it, 2017;

Spatuzzi, La destinazione del padre di famiglia quale ipotesi costitutiva del diritto di servitù: riconoscibilità della fattispecie e profili applicativi, in Corr. giur., 2015, 828;

Rufo Spina, La necessità dell'apparenza nell'acquisto non negoziale della servitù, in Giur. it., 2010, 1581;

Musolino, La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, in Riv. notar., 2001, 1182;

De Tilla, Sugli elementi costitutivi della servitù per destinazione del padre di famiglia, in Giust. civ., 1996, I, 2639;

Spagnuolo, Servitù per destinazione del padre di famiglia: caratteri e presupposti, in Notariato, 1996, 514;

Tordo Caprioli, Osservazioni in tema di servitù per destinazione del padre di famiglia, comunione e condominio, in Vita notar., 1996, suppl. al n. 1, 117;

De Michel, Servitù e condominio, in Giur. it., 1994, I, 1, 1815.

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