È inopponibile alla liquidazione giudiziale il contratto a canone “vile”
07 Febbraio 2025
Massima La liberazione dei beni immobili occupati da terzi in forza di un titolo non opponibile alla curatela, mediante provvedimento determinato dal giudice delegato ex art. 216, comma 2, CCII senza la previsione di ulteriori particolari formalità, si giustifica per via dell'ampliamento, introdotto dallo stesso codice, dei poteri cognitivi del giudice delegato. Il caso La questione sottoposta al giudice delegato di una procedura di liquidazione giudiziale riguarda la legittimazione del medesimo ad emettere l'ordine di liberazione di un'immobile rientrante nel programma di liquidazione predisposto dal curatore della procedura, nei confronti del terzo occupante in forza di locazione a canone vile, nell'interesse dei creditori a massimizzare il ricavato della vendita, mediante la proposizione dello stesso come libero. La questione Il canone di locazione di un'immobile, se ritenuto vile ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2923, comma 3, c.c. comporta che il contratto di locazione stipulato con il proprietario in epoca antecedente alla liquidazione giudiziale, è da ritenersi per ciò solo, che non sia opponibile alla procedura, e conseguentemente, il giudice delegato può emettere nei confronti dell'occupante l'ordine di liberazione ex art. 216, comma 2, CCII? La soluzione giuridica Il giudice delegato nella procedura di liquidazione giudiziale del tribunale alessandrino - sulla scorta dei poteri conferitigli dall'art. 216, comma 2, CCII - preso atto della relazione del perito nominato dalla procedura, al fine di valutare l'entità del canone locatizio corrisposto per l'occupazione dell'immobile detenuto dal terzo, dopo avere riscontrato la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 2923, comma 3, c.c. e, di conseguenza, l'inopponibilità alla stessa procedura del rapporto negoziale precedentemente intercorso, ordina la liberazione dell'immobile occupato, al fine di consentire la migliore realizzazione possibile del ricavato in sede di vendita giudiziale a disporsi successivamente nell'interesse della massa. Osservazioni L'ordine di liberazione del bene immobile oggetto di espropriazione è una figura elaborata in un primo tempo alla fine dello scorso millennio dalla giurisprudenza - soprattutto di merito di alcuni Tribunali - ed infine recepita dalla riforma del codice di rito a fare tempo dalla novella del 2005 di cui al d.l. n. 35/2005, convertito con modificazion in I. n. 80/2005, quale fondamentale strumento di conseguimento delle migliori condizioni possibili di negoziabilità del bene pignorato sul mercato dei potenziali acquirenti, notoriamente connesse allo stato di immediata, piena ed incondizionata disponibilità del bene immobile. Infatti, l'esplicita regolamentazione dei casi e dei tempi in cui l'ordine di liberazione è escluso nei confronti del debitore o del suo nucleo familiare che vivano nell'immobile espropriato rende evidente che esso è oramai la regola generale in relazione alle espropriazioni immobiliari, in quanto funzionale all'ordinato e proficuo sviluppo di quest'ultime. Ai fini che qui immediatamente interessano, è allora sufficiente concludere che, in quanto tale, l'ordine di liberazione è un provvedimento ordinatorio funzionale agli scopi del processo di espropriazione, il quale, come è noto, consiste non solo nella giuridica, ma pure nella materiale estrazione dal patrimonio del debitore del diritto staggito, al fine della sua liquidazione e cioè trasformazione in denaro, al fine precipuo del maggiore soddisfacimento possibile dei diritti dei creditori, come riconosciuti nei rispettivi titoli esecutivi, ed a salvaguardia dell'effettività della tutela del diritto azionato, impregiudicato il solo diritto del debitore a non subire abusi nell'estrinsecazione di una posizione soggettiva processuale di supremazia della sua controparte (Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387) e rispondendo al suo stesso interesse il soddisfacimento delle sue obbligazioni nella più ampia misura ed alle migliori condizioni possibili. Tale peculiare esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene staggito alle migliori condizioni possibili, fonda allora una peculiare potestà ordinatoria del giudice dell'esecuzione, il quale, sia pure a quei limitati fini e, quindi, - di norma - con efficacia meramente endoprocessuale o interna al processo espropriativo che comunque dirige, è dotato di ampi poteri per conseguire le condizioni di quel bene più idonee alla sua liquidazione, e, anche, di una potestà ordinatoria che necessariamente involge l'esercizio di sommari poteri soltanto lato sensu cognitivi, di delibazione di quelle questioni di diritto la cui soluzione è indispensabile per l'ordinato e proficuo sviluppo della procedura espropriativa. La stessa finalizzazione della procedura alla tutela dell'aggiudicatario, impone l'anticipazione degli effetti favorevoli per quest'ultimo, i quali diverranno definitivi in suo favore col decreto di trasferimento e col suo peculiare regime di efficacia ultra partes ed in tale senso, esige che l'anticipazione sia validamente conseguita col provvedimento ordinatorio tipico consistente nel detto ordine di liberazione, ricostruito come atto autoattuativo, per il quale non è necessaria una ulteriore esecuzione per rilascio dell'immobile, suscettibile di fare conseguire subito alla procedura la disponibilità del bene per la sua offerta in gara e, quindi, in tempo anche anteriore all'aggiudicazione. Quanto sopra evidenziato comporta che quanto non è opponibile all'aggiudicatario non è opponibile neppure alla procedura od ai creditori che ad essa danno impulso, nell'interesse non solo e non tanto del primo, quanto in quello pubblicistico del rituale sviluppo della procedura e, quindi, per ragioni di ordine pubblico processuale. Al giudice dell'esecuzione, al fine della sua attuazione per il tramite del custode da lui nominato quale suo peculiare ausiliario incaricato di attività materiale servente ed indefettibile ai fini del progredire della procedura, è dato allora di adottare il tipico provvedimento finalizzato al conseguimento della disponibilità del bene pignorato - cioè dell'ordine di liberazione - avvalendosi delle stesse inopponibilità che potrà un domani fare valere l'aggiudicatario. Da tanto consegue allora che è pienamente legittima l'emanazione diretta da parte del giudice dell'esecuzione, con la successiva diretta attuazione da parte del custode da lui nominato e senza bisogno di munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva, di un ordine di liberazione sul presupposto della non opponibilità, all'aggiudicatario in futuro ed al ceto creditorio procedente nell'attualità, di un contratto di locazione a canone c.d. “vile”, restando tutelati i soggetti a vario titolo coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento dai rimedi interni al processo esecutivo, nel quale essi sono coinvolti, a tutela delle superiori esigenze pubblicistiche cui quello è ordinato (Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2022, n. 9877). Ciò premesso, la motivazione offerta dal giudice alessandrino muove dall'applicazione in tema di liquidazione giudiziale del disposto dell'art. 2923, comma 3, c.c. che, costituisce la norma di riferimento al fine di stabilire l'opponibilità o meno, nei confronti dell'aggiudicatario e/o del creditore, del contratto di locazione stipulato dal proprietario del bene sottoposto ad esecuzione forzata. Alla regola secondo cui le locazioni opponibili all'aggiudicatario e/o al creditore sono solo quelle stipulate in data antecedente il pignoramento, fa eccezione il disposto di cui al comma 3 dell'art. 2923 c.c., secondo cui l'aggiudicatario e/o il creditore non è tenuto a rispettare la locazione, altrimenti opponibile nei suoi confronti, quando il canone convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo od a quello risultante da precedenti locazioni, dunque, laddove trattasi della fattispecie idonea a configurare il canone c.d. “vile”. Tale fattispecie - la quale presuppone che la locazione sia in astratto opponibile all'aggiudicatario e/o al creditore in base ai requisiti richiesti, alternativamente, dai commi 1, 2 e 4 - risulta improntata all'intento del legislatore di disincentivare il proprietario del bene ed il terzo conduttore alla conclusione di patti stipulati in diretto pregiudizio dei creditori e, di riflesso, in pregiudizio del futuro aggiudicatario dell'immobile pignorato. In tale ottica, si pone allora la duplice questione se da un lato, la verifica dei requisiti di opponibilità della locazione - in relazione al suo carattere vile, o meno, del suo canone - debba essere condotta con riferimento al contenuto del contratto e, dall'altro, se esso resta comunque opponibile alla procedura, a norma dell'art. 2923 c.c. A riguardo, si è affermato il principio che all'acquirente all'asta pubblica, in virtù di una vendita forzata di cosa locata anteriormente al pignoramento, sono opponibili, nei limiti posti dall'art. 2923, comma 4, c.c., soltanto le locazioni in corso e non anche quelle ormai esaurite o sostituite da altro rapporto locatizio nuovo ed indipendente dal precedente (Cass. civ., sez. III, 4 maggio 1962, n. 864). In particolare, se è il pignoramento, come è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità, a porre il vincolo di devoluzione effettiva del patrimonio del debitore al soddisfacimento del creditore, è, in tale momento che si cristallizza la situazione giuridica opponibile ai creditori pignoranti ed ai terzi che dall'esecuzione forzata acquisiscano diritti, sicché, nel caso di locazione concernente i beni pignorati anteriore al pignoramento, l'adeguatezza del prezzo - che l'art. 2923 c.c. pone, insieme ad altre, come condizione per l'applicabilità, alla particolare situazione, del generale principio emptio non tollit locatum - va considerata con riferimento alla data del pignoramento e non a quella di stipulazione del contratto (Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2024, n.7909; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1982, n. 2462). E' vero che, in tema di data della scrittura privata, qualora manchino le situazioni tipiche di certezza contemplate dall'art. 2704, comma 1, c.c., ai fini dell'opponibilità della data ai terzi, è necessario che sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l'anteriorità della formazione del documento, con la conseguenza che tale dimostrazione può anche avvalersi di prove per testimoni o presunzioni, sempre però che esse evidenzino un fatto munito della specificata attitudine, e non anche quando tali prove siano rivolte, in via indiziaria ed induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento (Cass. civ., sez. V, 19 luglio 2023, n. 21446). Alle considerazioni che precedono, aggiungasi che l'acquirente della cosa pignorata può liberarsi dall'obbligo di rispettare la locazione stipulata anteriormente al pignoramento ove dimostri che il canone locativo è inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni, ed a questo scopo egli può avvalersi di presunzioni (Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2005, n. 16243). In buona sostanza, la viltà del canone della locazione cui si riferisce l'art. 2923 comma 3 c.c. ha come corollario la valutazione, sulla base di una presunzione iuris et de iure, che le parti abbiano stipulato la locazione in frode all'aggiudicatario ed ai creditori, i quali ultimi, hanno evidentemente tutto l'interesse a fare andare all'asta il cespite immobiliare come libero per consentire la sua aggiudicazione ad un corrispettivo più alto, al chiaro fine di tutelare le relative ragioni creditizie. Per questa ragione, il Tribunale perviene alla conclusione che la norma considera la locazione a canone vile automaticamente inopponibile ai terzi creditori, senza necessità di esperire un giudizio di cognizione ordinario nell'ambito del quale dimostrare la sussistenza degli altri e più gravosi presupposti per la pronuncia fondata sull'applicazione dell'art. 2901 c.c. Ciò - chiosa il Tribunale - consente di ritenere che la pattuizione di un canone inadeguato comporta di per sé la valutazione che le parti abbiano concluso un contratto pregiudizievole, nella consapevolezza di arrecare un danno ai creditori della parte locatrice, ragione per cui, ricorrendo tale ipotesi non occorre neppure instaurare un giudizio di cognizione né dimostrare quale fosse in concreto lo stato soggettivo dei contraenti. In tale contesto, il giudice delegato alla liquidazione giudiziale ha considerato da un lato, la posizione assunta dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti che ammettono la possibilità che l'ordine di liberazione dell'immobile possa essere emesso anche prima della aggiudicazione, e, dall'altro, che tale strada è ugualmente percorribile nella procedura concorsuale per via della correlazione, posta dall'art. 2919, comma 2, c.c., riguardante i poteri dei creditori e dell'acquirente, di valutazione e gestione dell'opponibilità dei diritti degli occupanti, sulla cui scorta, il medesimo giudicante è legittimato ad emettere l'ordine di liberazione nei confronti del terzo occupante in forza di locazione a canone vile, dovendo tutelare l'interesse dei creditori a massimizzare il ricavato della vendita, mediante la proposizione dello stesso immobile come libero. Riferimenti Cantatore, In tema di ordine di liberazione di immobile pignorato locato a canone vile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2020, 1355; Russo, La liberazione dell'immobile alla luce della l. 12/2019 (parte II), in Riv. esec. forzata, 2020, 964; Russo, La liberazione dell'immobile alla luce delle novelle legislative n. 12 del 2019 e n. 8 del 2020 (parte I), in Riv. esec. forzata, 2020, 678; Marchese, Procedure esecutive immobiliari: l'ordine di liberazione, in Giustiziacivile.com, 2020; Penta, L'ordine di liberazione nell'espropriazione individuale e collettiva, in Fallimento, 2017, 209; Macagno, L'onda lunga delle “prassi virtuose” lambisce la liquidazione fallimentare, in Fallimento, 2014, 292. |